Fra le numerose inadempienze della Regione una è stata nei giorni scorsi portata all’attenzione dell’opinione pubblica dai radicali di Perugia, da Libera Umbria, dall’associazione delle comunità di accoglienza (Cnca) e dal Forum dei Detenuti con un convegno e una conferenza stampa. Il Consiglio regionale approvò nel dicembre 2006 una legge che istituiva il Garante delle persone private della libertà personale e ne prescriveva la nomina entro 90 giorni. Dopo cinque anni e mezzo non se n’è fatto nulla, nonostante il caso Bianzino e nonostante il fatto che i penitenziari umbri abbiano oggi una popolazione doppia rispetto al massimo previsto, un personale quasi dimezzato e non poche magagne.
Le ragioni del ritardo sono due, fra loro connesse. Prima: per la nomina è necessaria una maggioranza di due terzi. Seconda: il ruolo non prevede sontuosi appannaggi manageriali, ma un rimborso modesto, non si presta perciò ad abbuffate spartitorie. Poi, col clima forcaiolo di questi tempi, occuparsi di quella discarica sociale che sono diventate le carceri non appare igienico alla castetta regionale. Dal convegno è emerso, attraverso esperienze di altre regioni e città, che l’istituzione di una figura di tutela, pur non risolutiva, è certamente utile non solo per i detenuti, ma per la stessa amministrazione penitenziaria. Ma il presidente Brega, che avrebbe l’obbligo di inserire la questione all’ordine del giorno, e, con sparute eccezioni, tutti i consiglieri non ci sentono. Le associazioni, in mancanza di risposte, fra un paio di mesi proporranno direttamente una terna di nomi inattaccabili per competenza e indipendenza e passeranno a forme più incisive di sensibilizzazione: “Chi fa le leggi, deve per primo rispettarle”. Non hanno ragione di disperare, hanno un buon argomento: prima o poi anche i consiglieri regionali potrebbero aver bisogno del garante.
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