Posto qui - a futura memoria - l’editoriale di Norma Rangeri, pubblicato stamani sul “manifesto”. Temo che le sue dure parole sul quotidiano comunista, di argomentato pessimismo, di irrevocabile condanna di un ceto politico inetto e intellettualmente disonesto, non perderanno valore al tramontare del sole, ma lo conserveranno nei prossimi giorni, mesi, anni. (S.L.L.)
L’industria sprofonda nella recessione, l’Italia arretra scendendo all’ottavo posto tra i paesi industrializzati, su ciascun cittadino il Censis stima un debito di 31 mila euro. Naturalmente la crisi ha ragioni strutturali profonde, europee, globali, ma può contare su un contributo italiano di assoluto rilievo. Nell’arretramento economico registrato dal centro studi di Confindustria, maturato
nell’ultimo ventennio e oggi alimentato dal governo tecnico, non è affatto secondario il ruolo cruciale svolto dalla comunicazione, dal potere straordinario della televisione, dalla subalternità della sinistra alla sottocultura liberista e populista del berlusconismo.
Il micidiale triangolo economico, politico, culturale è operante ancora oggi quando un governo di centrodestra è finito e l’uomo che lo incarnava è stato sostituito dal governo dei professori. Lo dimostra la lottizzazione dei membri dell’Agcom (uno al Pd, due al Pdl, uno all’Udc) e di quelli dell’autorità della Privacy (uno al Pd, che avrà anche il presidente, uno alla Lega, uno al Pdl) decisi con un voto parlamentare, di camera e senato.
Antipasto che probabilmente annuncia la prossima abbuffata quando i partiti si occuperanno delle nomine per il Cda della Rai. Per sette anni l’autorità delle comunicazioni (Agcom) deciderà quali regole dovranno governare lo sviluppo di infrastrutture strategiche del paese: banda larga, frequenze, par condicio, televisione, mercato pubblicitario, il diritto d’autore on line. Le funzioni decisive di una democrazia moderna sono ancora affidate ai custodi berlusconiani dell’etere, a un funzionario della camera dei deputati gradito a Casini (offerto dal Pd), a un tecnico indicato dal partito di Bersani. Pennellata finale: Augusta Iannini, magistrato, moglie di Bruno Vespa, entra nell’autorità della privacy, probabilmente per controllare la cronaca al sangue di Porta a Porta.
Non fosse vero sembrerebbe una scenetta di quelle che Beppe Grillo recita nelle piazze. Se uno spettacolo così indigesto, un modo di gestire la cosa pubblica punito sonoramente dagli elettori torna sulla scena in tutto il suo impresentabile splendore, vuol dire che i gruppi dirigenti sono irriformabili, che la loro sordità a ogni sollecitazione di cambiamento nella gestione delle istituzioni, è parte di un codice genetico incurabile.
L’unica spiegazione è credere che il segretario del Pd, nel farsi garante del conflitto di interessi, abbia ottenuto qualche contropartita centrista sullo scacchiere delle future alleanze. Con Vendola e Di Pietro («una pagina nera che può pesare moltissimo sulla scena politica italiana») siamo ai minimi termini. L’Idv e i radicali non hanno partecipato al voto, le associazioni hanno protestato, il Pd non ha avuto dubbi. Meglio l’accordo con Casini e Berlusconi.
Da quel giorno d’inverno del 2002 quando, Berlusconi trionfante a Palazzo Chigi, Nanni Moretti salì sul palco di piazza Navona per gridare «con questi dirigenti non vinceremo mai», sono passati giusto dieci anni e un paio di generazioni, ma nulla è cambiato.
Quei nomi al governo delle Authority, la pantomima del curriculum dei candidati, la beffa della finzione delle "primarie" per sceglierli quando tutto era già deciso, avranno un prezzo che pagheremo tutti.
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