2.6.12

Picchiatori fascisti (di Miguel Gotor)

Il testo che segue, degli inizi del 2009, recensisce il libro autobiografico di Giulio Salierno, scomparso nel 2006, che era stato appena repubblicato. Salierno, picchiatore fascista in gioventù e a lungo galeotto,  studiò sociologia e la insegnò nelle Università di Sassari e Teramo. Marxista critico fu direttore di un'importante ricerca sulle popolazioni del Sahel per conto dell'Eni e si occupò con continuità della realtà carceraria e dell'emarginazione. (S.L.L.)
I libri, come certi amori, a volte ritornano.
E' questo il caso dell'Autobiografia di un picchiatore fascista di Giulio Salierno, un successo editoriale quando fu pubblicato nel 1976 per i tipi Einaudi, oggi riproposto dalla Minimum fax (249 pagine, 14 euro) con una prefazione di Sergio Luzzatto e una nota della figlia dell'autore Simona. Un libro postumo due volte: Salierno è morto nel 2006 e la storia che racconta è ormai lontanissima da noi, eppure, a distanza di oltre 30 anni, si rinnovano le ragioni del suo interesse.
Quando il volume uscì, fu la vicenda dell'autore ad attrarre l'attenzione del pubblico. All'inizio degli anni Cinquanta, Salierno era stato un giovane dirigente missino della sezione romana di Colle Oppio, che aveva contribuito a trasformare nella più importante d'Italia. Nel 1953 progettò di assassinare l'ex partigiano Walter Audisio, l'uccisore di Mussolini, ma alla vigilia dell'agognata vendetta ammazzò un ragazzo a cui voleva rubare la macchina necessaria per l'attentato. Denunciato da una lettera anonima forse proveniente dall'interno del Msi, fuggì dall'Italia per arruolarsi nella Legione straniera, ma fu arrestato e condannato a 30 anni di carcere. Nel 1968, dopo l'intervento di Umberto Terracini, ottenne la grazia. Nel frattempo aveva abiurato il fascismo e si era convertito al marxismo critico della nuova sinistra, scoprendo lo studio e trasformandosi in un sociologo di successo. Un boccone troppo ghiotto per sfuggire alla propaganda comunista, ma anche un modello di reinserimento sociale che non aveva voluto abbandonare il mondo dell'emarginazione a cui avrebbe dedicato il secondo tempo della sua vita. Quel percorso di redenzione, infatti, lo condusse ad attraversare il girone dantesco degli ultimi (tossicodipendenti, pazzi, prostitute, emigrati, ergastolani), armato non più di martelli e spranghe, ma dei pensieri e delle categorie di Foucault e Gramsci. Dal superomismo del giustiziere fascista al dramma del giustiziato vittima delle strutture classiste della società, comunque fedele a un ribellismo anti-sistema per cui aveva ondeggiato dall'estrema destra all'estrema sinistra, restando sempre un radicale.
Oggi la storia dell'ex picchiatore Salierno non interessa perchè racconta una conversione che si vorrebbe esemplare, tutta incentrata su una dialettica tra espiazione e riscatto; oggi che i fascisti non sono più delle carogne da ricacciare nelle fogne e il sol dell'avvenire è tramontato dietro le nostre esili spalle. Malgrado ciò il libro rimane un documento prezioso nel suo genere. Anzitutto, perché costituisce un viaggio nella militanza missina (luoghi, persone, parole d'ordine, simboli) raccontata senza acrimonia o soverchi rancori, ma con un certo gusto sociologico per l'obiettività. Ci si ritrova il mondo degli sconfitti del '45: chi scelse il fascismo quando il fascismo non c'era più, ma Mussolini viveva ancora, ben oltre la parentesi in cui i benpensanti l'avrebbero voluto concludere. Un territorio umbratile e cameratesco, percorso da un'urgenza esistenziale tanto distante dalle piazze virtuali e asettiche degli amici di Facebook di oggidì. Un libro che sembra un fossile in grado di restituire uno spaccato della storia del Msi nel triennio 1950-53, gli anni dell'emarginazione di Almirante, dell'affermazione della destra in doppiopetto e dei feroci scontri interni con un oltranzismo di sinistra, legato alla socializzazione, e un oltranzismo di destra, l'ala spiritualista incarnata da Julius Evola e diretta da Pino Rauti. Due oltranzismi fra loro conflittuali, animati da un antisemitismo viscerale e attraversati da una lucida ossessione nei riguardi di un nemico multiforme: i comunisti, il gregge democratico, l'America. Certo, à la memoria di un testimone e non un documento di storia, ma chi vorrà studiare la strategia della tensione in Italia tornerà a leggere con interesse i vividi ritratti di Junio Borghese e di Evola, o il resoconto dell'intervento di un giovane Rauti nella sezione di Colle Oppio alla vigilia delle elezioni del '53, che, in base al racconto di Salierno, auspicava una serie di attentati nelle piazze, nei magazzini, nelle linee ferroviarie per creare le condizioni di un golpe fascista. Quel Rauti, oggi ottuagenario, rinviato a giudizio per concorso nella strage di Piazza della Loggia del 1974. Il libro si trasforma in una rara testimonianza che scopre le radici dell'oltranzismo neo-fascista, una realtà multiforme e ambigua che è vissuta dentro e fuori il Msi, un partito ove si è combattuta una dura battaglia per emarginare, contenere, gestire quell'area gravida di drammatiche conseguenze per la storia d'Italia. Sarebbe ora che quanti oggi sono al governo del nostro paese e in gioventù hanno militato nel Msi affrontino questo passato con un atto di coraggio e senza reticenze. Si preferisce, invece, un velo di rimozione, una strabica indulgenza, un impasto di vittimismo e di orgoglioso autocompiacimento, un indistinto senso della comunità che alimenta la duplice retorica della «guerra civile» e dei «cuori neri». E così Salierno ci restituisce un album di famiglia, che nessuno però vuole sfogliare.

"La Stampa", 5 gennaio 2009 

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