Le più note poesie di Marino Moretti da Cesenatico mi pare che siano La signora Lalla (poi diventata La domenica della signora Lalla) e A Cesena (“Piove. E’ mercoledì. Sono a Cesena”). Credo che chi voglia intendere il “crepuscolarismo” debba leggere Moretti e non Gozzano, poeta in cui l’elemento crepuscolare è solo uno degli ingredienti di un impasto tematicamente e stilisticamente assai più ricco; e non Corazzini, il cui lamento è pieno di echi maledetti e simbolisti (Verlaine soprattutto).
Uno delle cifre ricorrenti del Moretti (per esempio nelle due poesie citate) è la precisa collocazione del discorso nel tempo: non nel tempo lungo degli anni, o nel grande ciclo della natura, quello dei mesi o delle stagioni. Ad attrarre Moretti sono i giorni della settimana, il tempo breve convenzionale della ripetizione (e della monotonia). Così in questa domenica di Bruggia, cioè di Bruges, la cittadina belga che taluno considera una Venezia del Nord, ma della quale Moretti, con il suo riduttivismo, trasforma la laguna in pantano ed i cigni in ochette (quelle che “nel pantano vanno piano piano piano”), al di là di qualche esotismo linguistico. L’andare, il fuggire, che nella scelta della destinazione sembra perfino avere un qualcosa di stravagante, ribadisce l’impossibilità di solitudini davvero nuove: a Bruggia c’è solo un paesaggio che s’aduggia, beghine che fanno beghinaggio, acque stagnanti e cigni stanchi e un “beffroi” la cui campana “piange piange” “a mezzo lutto”. E’ questo il regno della ripetizione com’è sottolineato dalla povertà del lessico, dalla banale facilità della rima, dal gusto dell’iterazione: in questi limiti la poesia ha una sua peculiare godibilità. Può perfino invogliare ad andarci davvero. A Bruggia. (S.L.L.)
Chinar la testa che vale?
E che val nova fermezza?
Io sento in me la tristezza
del giorno domenicale;
del giorno crepuscolare
nel quale l’anima prova
il bisogno d’una nuova
solitudine e d’andare…
sì, d’andare fino a Bruggia
fino al vecchio beghinaggio
per vedere un paesaggio
lagunare che s’aduggia.
Qui nessun ti vuol più bene,
qui nessuno ti vuol più
e tu, dolce anima, tu
va’ pur dove ti conviene:
ti conviene fare un viaggio
per cacciare un poco l’uggia
ed andare fino a Bruggia,
fino al vecchio beghinaggio.
Oh dolcezza del mio cuore,
dei miei sensi un poco stanchi.
Vanno i cigni i cigni bianchi;
van sul pio Lago d’Amore;
van gli uccelli frettolosi
frettolosi sui canali,
vanno insieme uguali uguali
sotto cieli freddolosi;
nel mattino che par sera,
tra la nebbia fine fine
vanno insieme le beghine
le beghine alla preghiera,
vanno là presso l’altare
del dolcissimo convento
mentre io sento sento sento
un desìo folle d’andare…
sì, d’andare fino a Bruggia,
fino al vecchio beghinaggio
per vedere un paesaggio
lagunare che s’aduggia.
Oh dolcezza del mio cuore!
Tra la nebbia fine fine
vagan meste pellegrine
presso il pio Lago d’Amore;
e guardando il bel paese
che di nebbie ancor s’ammanta
pregano pregano Santa
Elisabetta ungherese.
Lenta lenta lenta va
nei canali l’acqua verde
e co’ suoi cigni si perde
nella grigia immensità,
nell’eterno mezzo lutto
mente il giunco tristemente
s’è chinato a bere il flutto
della placida corrente.
Il tintinno d’una folla
di campane fa tremare
lievemente la corolla
d’uno smorto nenufare;
scioglie il salcio la sua chioma
e il suo pianto nel canale
e diffondersi un’aroma
pio d’incenso e di messale…
Oh dolcezza del mio cuore,
dei miei sensi un poco stanchi!
Vanno i cigni i cigni bianchi
sullo specchio dell’Amore;
lenta lenta lenta va
nei canali l’acqua verde
e coi suoi cigni si perde
nella grigia immensità;
e sull’umile città
che dal tempo s’allontana
piange piange la campana
dall’alto del Beffroi;
e nell’aria che s’annera
al cader del vecchio giorno
piangon essi tutt’intorno
i carillons della sera…
E’, sì, in questo crepuscolare
giorno che l’anima prova
il bisogno di una nuova
solitudine e d’andare…
sì d’andare fino a Bruggia,
fino al vecchio beghinaggio
per vedere un paesaggio
lagunare che si aduggia,
sì, di far questo viaggio
per cacciare un poco l’uggia,
fino a Bruggia, fino a Bruggia,
fino al vecchio beghinaggio.
Da Poesie scritte col lapis, 1910
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