16.8.12

1941: la battaglia di Mosca. Chi fermò i nazisti in Europa (S.L.L.)

Stella Rossa contro svastica
Chi vinse in Europa la Seconda Guerra Mondiale contro i nazifascisti che la avevano quasi interamente assoggettato?
I vincitori sono – come è noto – tanti e il contributo di molti di essi fu in vari modi determinante: l’Inghilterra con il suo Impero e il suo Commonwealth, gli Usa, i movimenti di resistenza in Francia, Italia, Yugoslavia, Grecia, paesi scandinavi ed Europa Orientale eccetera. E tuttavia la convinzione che ho maturato fin dalla gioventù, quando da studente e da militante della sinistra ho approfondito per la prima volta la questione, non mi pare scalfita dal tempo o da nuovi studi: fu nella Russia sovietica che maturò la svolta decisiva. 
Stalingrado è il primo nome che viene in mente, il luogo dove, con costi umani e materiali immani, l’Armata Rossa accerchiò il poderoso esercito hitleriano, determinando la fine ingloriosa della “Operazione Barbarossa”. Oggi, sfogliando un opuscoletto delle Storie parallele offerte nel 1993 come omaggio ai lettori dal “manifesto” diretto da Pintor, mi convinco che non va sottovalutata anche la prima fase di quella che Stalin chiamò e tuttora in Russia chiamano “grande guerra patriottica”.
Il volumetto si intitola La battaglia di Mosca 1941 e una sorta di sommario, in quarta di copertina, ne sintetizza il senso: “6 dicembre 1941: nei pressi di Mosca l’esercito tedesco conosce la prima vera sconfitta della seconda guerra mondiale. Lanciate nella primavera precedente sulla strada di Mosca le truppe di Hitler vengono fermate dall’Armata Rossa a poche decine di chilometri dalla capitale sovietica. Mentre la città diventa un’immensa retrovia, si prepara la resistenza e la controffensiva russa. La ‘battaglia di Mosca’ dimostra al mondo che l’espansionismo nazista non è inarrestabile”.
Il volumetto è costituito da testi storici, documenti, schede cronologiche e statistiche. Funge da quadro un ampio brano dello storico inglese Alexander Werth, tratto da La Russia in guerra (Mondadori 1966), di cui riprendo qui – come appendice - la prima parte, che ha al centro due forti discorsi di Stalin.
Della condotta di Stalin nei primi giorni dell’aggressione nazista diversi storici, anche sovietici, danno un giudizio negativo. Raccontano che, sorpreso dall’invasione, impreparato come l’esercito e l’opinione pubblica, s’era rifugiato nella sua dacia e aveva così contribuito a un certo sbandamento generale. Non credo che questa ricostruzione sia del tutto attendibile: qualche evidente esagerazione rende palesi gli intenti denigratori. In ogni caso una storiografia onesta dovrebbe riconoscere il ruolo di Stalin nell’unire il popolo russo e organizzare la Resistenza che portò alla prima disfatta l’esercito hitleriano a Mosca e condusse alla battaglia di Stalingrado e alla ritirata dell’esercito invasore.
Una analoga damnatio memoriae sembra investire in generale il ruolo dell’Urss nella Seconda guerra mondiale: in diversi libri di scuola si leggono stupidaggini sui miracoli del “Generale Inverno” e sull’arretratezza e sull’abitudine al freddo e alla fame che avrebbe reso i russi più coriacei e capaci di resistere ai tedeschi e ai loro alleati, italiani, rumeni, ungheresi e finlandesi. Diciamocelo chiaro e diciamolo anche a quei popoli ove tornano in auge tendenze di estrema destra, nutrite di antisemitismo: senza l’eroismo e il sacrificio prima della Russia, poi dell’intera Unione Sovietica, sarebbero andati in porto i progetti nazisti sugli Untermensch, sui “sottouomini” dell’Est europeo da schiavizzare nel “Nuovo Ordine”. 
C’è nei discorsi di Stalin che da Werth sono raccontati un particolare che fa riflettere: il “piccolo Padre”, anche per rassicurare soldati e civili, si dichiara certo che la cacciata degli invasori sarà favorita dalla imminente apertura in Europa di un nuovo fronte di guerra da parte degli alleati anglo-americani. Non andò così. L’America di Roosevelt non fece mancare all’Urss aiuti militari per la Resistenza e la controffensiva, specie nel primo periodo, ma l’apertura del secondo fronte nell’Europa continentale si ebbe solo con lo sbarco in Sicilia e la conquista alleata dell’Italia meridionale, cioè nell’estate del 1943. Nello stesso periodo, ad Est, i tedeschi battevano in ritirata dopo la resa a Stalingrado il 2 febbraio di quello stesso anno. Russi e sovietici avevano respinto la possente macchina da guerra nazista praticamente da soli.
Dopo la fine dell’Urss, i vincitori occidentali di questa fase storica lavorano per cancellare questa memoria, la memoria del ruolo fondamentale della Russia di Stalin nella sconfitta del nazifascismo. Chi sa e può deve fare di tutto per preservarla e consegnarla a tempi a venire sperabilmente migliori. (S.L.L.) 
La patria chiama

Appendice
I tedeschi alle porte del Cremlino
di Alexander Werth

Nei primi diciannove giorni della loro offensiva i tedeschi erano avanzati a meno di 80 Km. da Mosca, a Noro-Fominsk, e ancora più vicino alla capitale nel settore di Volokolamsk. Ma per tutto quel periodo la resistenza russa s'andava irrigidendo e il 18 ottobre contrattacchi russi rallentarono l'avanzata tedesca. Gravissime erano le perdite delle due parti; nei tedeschi c'erano segni di crescente stanchezza, e fra il 18 ottobre e il principio di novembre progredirono pochissimo.
Le memorie di guerra tedesche insistono sulla difficoltà di rifornimenti della Wehrmacht, ma è senz'altro evidente che il famoso "inverno russo" non fu affatto decisivo, né in ottobre né ai primi di novembre.
La notte del 6 novembre - cioè una settimana dopo che la prima offensiva aveva in pratica fatto cilecca e dieci giorni prima dell'inizio della seconda - Mosca celebrò il 24° anniversario della rivoluzione. I tedeschi erano ancora a circa 60 Km. da Mosca e in qual­che punto ancora più vicino, e benché l'atmosfera fosse quella d'una città assediata, con decine di migliaia di feriti che affollavano gli ospedali, e altre decine di migliaia che anda­vano ogni giorno, nelle ultime settimane era sempre andata crescendo la convinzione che Mosca non sarebbe stata perduta.
Il solito comizio alla vigilia della giornata celebrativa si tenne quella sera del 6 novembre nel grande atrio decorato della stazione della metropolitana Majakovskij. L'atrio era affollato di centinaia di delegati del Soviet cittadino e di svariate organizzazioni sinda­cali e di partito, e di rappresentati delle forze armate. Quanti dei presenti me ne parlarono in seguito, mi dissero che l'ambiente sotterraneo del comizio era irreale, deprimente e umiliante.
Il discorso di Stalin fu uno strano miscuglio d'umor nero e d'assoluta fiducia. Dopo aver ricordato che la guerra aveva assai ridotto, e in molti casi del tutto fermato, la costru­zione pacifica del socialismo proseguita per tanti anni, Stalin disse: "In quattro mesi di guerra, abbiamo avuto 350.000 morti, 378.000 dispersi e 1.200.000 feriti. Durante lo stesso periodo il nemico ha perso più di 4.500.000 fra morti, feriti e prigionieri. Non può esservi dubbio che la Germania, le cui riserve si stanno esaurendo, si è indebolita molto più dell'Unione Sovietica, le cui riserve non sono state interamente impiegate".
E' estremamente dubbio che vi sia stato in Russia chi abbia creduto a quelle cifre, ma era forse essenziale gonfiare le perdite tedesche per avvalorare la tesi che la Blitzkrieg era già fallita. Era fallita, disse Stalin, per tre motivi: i tedeschi, come si poteva vedere dalla missione di Hess in Inghilterra, avevano sperato che l'Inghilterra s'unisse a loro nella guerra contro la Russia o, almeno, lasciasse mano libera alla Germania in Oriente.
Questo non era avvenuto; Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica erano nel medesimo campo. In secondo luogo, i tedeschi avevano sperato che il regime sovietico crollasse e che l'Urss si sfasciasse. "Invece, le retrovie sovietiche sono oggi più salde che mai. E' probabile che qualsiasi altro paese, avendo perso tanto territorio quanto noi, sarebbe crollato".
Infine, i tedeschi s'aspettavano che le forze armate cedessero, dopo di che, senz'alto intralci, si sarebbero spinti sino agli Urali. In verità l'esercito tedesco aveva più esperienza dell'esercito sovietico, ma i russi avevano il vantaggio morale di combattere una guerra giusta. Inoltre, i tedeschi combattevano ora in territorio nemico, lontani dalle loro basi di rifornimento e con le comunicazioni continuamente minacciate dai partigiani.
"Il nostro esercito, al contrario, combatte nel proprio ambiente, costantemente sostenuto dalle retrovie e rifornito di uomini, munizioni e viveri... La difesa di Mosca e di Leningrado mostra... che si vanno foggiando al fuoco della grande guerra patriottica nuovi soldati, ufficiali, aviatori, artiglieri, carristi, fanti, marinai, uomini che domani diventeranno il terrore dell'esercito tedesco". (Applausi calorosi.)
Con tutto ciò, diceva Stalin, v'erano elementi anche sfavorevoli, che non si potevano negare. Uno era l'assenza d'un secondo fronte in Europa. Mentre i tedeschi combattevano l'Armata Rossa con l'aiuto di numerosi alleati - finlandesi, romeni, italiani, ungheresi - non c'erano sul continente europeo eserciti inglesi o americani che aiutassero la Russia.
"Ma è fuori dubbio che la formazione d'un secondo fronte in Europa - e indiscutibilmente dev'essere attuato in un termine brevissimo (applausi clamorosi) - faciliterà molto la posizione del nostro esercito, e renderà le cose più difficili per i tedeschi".
Altro elemento sfavorevole era la superiorità tedesca in cani armati e aviazione. L'Armata Rossa aveva soltanto una parte dei carri che avevano i tedeschi, benché i nuovi carri russi fossero superiori a quelli tedeschi. Era essenziale, non soltanto produrre molti più carri armati, ma anche molti più aerei, cannoni, fucili, mortai e bombe anticarro, nonché costruire e mettere in atto ogni genere d'ostacoli anticarro.
Dopo aver dimostrato che, lungi dall'essere "nazionalisti" o "socialisti", i nazisti erano imperialisti della peggior specie, decisi in primo luogo ad annientare o ad asservire i popoli slavi, e dopo aver citato alcune asserzioni particolarmente rivelatrici riguardo agli "Untermensch", Stalin fece questo appello, estremamente significativo, all'orgoglio nazionale russo: "Ed è questo popolo senza onore né coscienza, questo popolo con la morale degli animali che ha la sfacciataggine di volere lo sterminio della grande nazione russa: la nazione di Plechanov e Lenin, di Belinskij e Cemysevskij, di Puskin e Tolstoj, di Gor'kij e Cechov, di Glinka e Cajkovskij, di Secenov e Pavlov, di Suvorov e Kutuzov! Gli invasori tedeschi vogliono una guerra di sterminio, l'avranno! (Prolungati applausi clamorosi). Nostro compito ora... sarà di distruggere ogni tedesco, sino all'ultimo uomo che sia venuto per occupare la nostra patria. Nessuna pietà per gli invasori tedeschi! Morte agli invasori tedeschi!" (Applausi clamorosi.)
Non soltanto per ragioni morali quelle belve feroci sarebbero perite, soggiunse Stalin. Il "nuovo ordine" in Europa non era qualcosa su cui i tedeschi potessero fare affidamento. In secondo luogo - e riecheggiava ancora, qui, debole, la precedente distinzione di Stalin fra la "cricca nazista" e il "popolo tedesco" - non ci si poteva fidare nemmeno delle retrovie tedesche. Il popolo era stanco della guerra di conquista che gli aveva procurato milioni di perdite, fame, povertà, epidemie.
"Soltanto gli hitleriani non erano arrivati a capire che, non soltanto le retrovie europee, ma anche quelle tedesche erano un vulcano pronto a esplodere e a seppellire gli avventurieri hitleriani".
E, in terzo luogo, c'era la coalizione dei Tre Grandi, contro gli imperialisti tedesco-fascisti. Questa era una guerra di motori, e fra Gran Bretagna, Usa e Urss, potevano produrre il triplo di motori della Germania.
Accennò, quindi, alla recente conferenza di Mosca cui avevano partecipato Beaverbrook e Harriman, alla decisione di rifornire sistematicamente l'Urss di aerei e carri armati, alla precedente decisione inglese di fornire alla Russia materie prime quali alluminio, stagno, piombo, nichel e gomma, e all'ultima decisione americana di concedere all'Unione Sovietica un prestito d'un milione di dollari.
"Tutto questo mostra che la coalizione fra i tre paesi è una realtà molto concreta (applausi clamorosi) che andrà crescendo, nella causa comune della liberazione".Concludendo, Stalin disse che l'Unione Sovietica conduceva una guerra di liberazione, e che non aveva alcuna ambizione territoriale, sia in Europa, sia in Asia, compreso l'Iran. Né l'Unione Sovietica aveva l'intenzione d'imporre la sua volontà o il suo regime agli slavi o a qualsiasi altro popolo che attendeva d'essere liberato dal giogo nazista. Non ci sarebbe stato un intervento sovietico nelle questioni interne di quei popoli. Ma, per arrivare a questo, i popoli dell'Unione Sovietica dovevano fare di tutto per aiutare l'Armata Rossa con le armi, le munizioni, i viveri. Ed egli terminò con la nota abituale: "Evviva la nostra Armata Rossa e la nostra Marina Rossa! Evviva il nostro paese glorioso! La nostra causa è giusta. La vittoria sarà nostra!"
Molto più drammatica e ispiratrice fu la cornice nella quale Stalin pronunciò il discorso alle truppe la mattina dopo. In lontananza rombavano i cannoni russi e tedeschi, e gli aerei da caccia russi pattugliavano su Mosca. E qui, sulla Piazza Rossa, in quella fredda mattina di novembre, Stalin si rivolse ai soldati, molti dei quali erano di ritorno dal fronte o vi si dirigevano.
"Compagni! Celebriamo il 24° annuale della rivoluzione d'ottobre in condizioni durissime... Il nemico è alle porte di Mosca e di Leningrado... Eppure, nonostante insuccessi temporanei, il nostro esercito e la nostra marina stanno respingendo eroicamente gli attacchi nemici lungo tutto il fronte".
La Russia, continuò Stalin, era sopravvissuta a prove peggiori. Ricordò il 1918, il primo anniversario della rivoluzione, e soffermandosi su alcuni particolari storici, disse: "Tre quarti della nostra patria erano allora in mano agli interventisti stranieri... Non avevamo alleati, né Armata Rossa - che incominciavamo appena a formare - né viveri, armi, equipaggiamento. Quattordici stati assalivano allora il nostro paese... in un campo militare. La grande mente di Lenin c'ispirò nella lotta contro gli interventisti... La nostra posizione è molto migliore di ventitré anni fa. Siamo più ricchi di industrie, di viveri, di materie prime, di quanto lo fossimo allora. Abbiamo ora degli alleati, e il sostegno di tutte le nazioni occupate in Europa. Abbiamo un esercito magnifico e una marina stupenda... Non abbiamo grave penuria di viveri, d'armi e d'equipaggiamento... Lo spirito di Lenin ci ispira nella lotta, come ventitré anni or sono.
Può qualcuno dubitare che possiamo e dobbiamo sconfiggere gli invasori tedeschi? Il nemico non è così forte come s'immaginano alcuni piccoli intellettuali atterriti ... La Germania, in realtà, si trova davanti a una catastrofe".
Dopo aver ripetuto che la Germania aveva perduto negli ultimi quattro mesi quattro milioni e mezzo di uomini, Stalin soggiunse: "Non v'è dubbio che la Germania non può sopportare molto a lungo questo sforzo. Fra pochi mesi, entro un semestre, forse un anno, la Germania hitleriana deve crepare sotto il peso dei propri delitti.
Compagni! Uomini dell'Armata Rossa e della Marina Rossa, ufficiali e attivisti politici partigiani, uomini e donne! Il mondo intero guarda a voi come alla potenza capace di distruggere le orde dei predoni tedeschi! I popoli asserviti d'Europa guardano a voi come ai loro liberatori... Siate degni di questa grande missione! La guerra che combattete è una guerra di liberazione, una guerra giusta. Possiate voi ispirarvi in questa guerra alle figure eroiche dei nostri grandi antenati, Aleksandr Nevskij, Dmitrij Donskoj, Minin e Pozarskji, Aleksandr Suvorov, Michail Kutuzov! Siate benedetti dalla grande bandiera vittoriosa di Lenin. Morte agli invasori tedeschi! Evviva la nostra patria gloriosa, la sua libertà e indipendenza! Sotto la bandiera di Lenin, avanti alla vittoria!"
Questa invocazione ai grandi antenati - i grandi uomini della civiltà russa: Puskin, Tolstoj, Cajkovskij, i grandi scienziati e pensatori, e ai grandi eroi nazionali: Aleksandr Nevskij che aveva sconfìtto i Cavalieri Teutonici, nel 1242, Dmitrij Donskoj che aveva sconfitto i tartari nel 1380 e Minin e Pozarskij che avevano combattuto contro gli invasori polacchi nel secolo XVII, Suvorov e Kutuzov che avevano combattuto contro Napoleone - tutto questo, significava fare appello specificamente all'orgoglio del popolo russo. Perduti gli Stati Baltici, persa l'Ucraina, era nella vecchia Russia, quasi si potrebbe dire nell'antica Moscovia, che principalmente si racchiudeva il potere di resistere ai tedeschi.
Nella Russia in guerra, quando ogni asserzione ufficiale, e specie ogni parola di Stalin erano attese con una speranza quasi disperata, quei due discorsi, e specialmente quello tenuto nell'ambiente drammatico della Piazza Rossa, con i tedeschi ancora poco distanti dalle porte di Mosca, fecero molta impressione, così sull'esercito come sugli operai. La glorificazione della Russia - e non soltanto della Russia di Lenin - ebbe un effetto enorme sul popolo in genere, anche se forse fece arricciare il naso, in segreto, a pochi puritani del marxismo-leninismo. Tuttavia, persino quelli si resero conto che la propaganda patriottica, nazionalista, che identificava il regime sovietico e Stalin con la Russia, con la Santa Russia, era quella che più s'addiceva a dar vita allo slancio necessario.
Comunque, non era una novità di zecca. Era stato il nazionalismo di Stalin a trionfare già da anni dell'internazionalismo trockista; da anni Stalin era stato presentato alla fantasia popolare alla stregua d'un costruttore di stati nella tradizione di Aleksandr Nevskij (per es., nel romanzo di Aleksej Tolstoj).
Così, nel novembre del 1941, tutte quelle rievocazioni dell'invasione di tartari, del periodo di torbidi con l'invasione polacca, e del 1812, non furono inascoltate. Il popolo russo risentì profondamente l'oltraggio dell'invasione germanica, qualcosa di più profondamente oltraggioso di tutto ciò che mai avesse provato. Nel discorso del 6 novembre Stalin non aveva mancato di indicare la differenza fra Hitler e Napoleone. Questi aveva fatto una brutta fine, ma almeno non aveva introdotto nei paesi conquistati alcuna dottrina degli Untermensch.
Tutto, in principio di novembre, tendeva a dimostrare che i tedeschi si preparavano a un altro assalto generale, e stavano concentrando grandi forze, non soltanto a ovest, ma anche a nord-ovest di Mosca. Il fallimento della prima offensiva aveva dato all'alto comando sovietico appena il tempo di radunare grandi riserve strategiche dietro Mosca, e di rafforzare in ogni settore la linea del fronte.
Il fatto che Mosca non fosse caduta in ottobre aveva avuto un effetto infinitamente salutare sul morale dei soldati. Oggi si attribuisce un qualche significato alla sollecitudine con cui i soldati e gli ufficiali aderivano al partito al Komsomol. In un mese (da ottobre a novembre) il numero degli iscritti al partito nei tre gruppi d'armate all'esterno di Mosca salì da 33.000 a 51.000 e quello degli iscritti al Komsomol, da 59 a 78.000. Fu specialmente in quel periodo che si adottò la direttiva d'ammettere al partito, con un minimo di formalità, quasi ogni soldato che si fosse segnalato in battaglia. L'identificazione fra partito e paese era al culmine, o, piuttosto, il partito si adattava come meglio poteva allo spirito nazionalista della resistenza.
Anche il morale dei civili migliorò, dopo il fallito primo assalto tedesco a Mosca. Lo sfollamento della città era continuato per tutto ottobre e nella prima metà di novembre. Circa metà della popolazione se n'era andata, con gran parte dell'industria: così, dei 75.000 torni per la lavorazione dei metalli soltanto 21.000 rimanevano a Mosca, in industrie che si dedicavano principalmente a fabbricare armi portatili e munizioni, e a riparare carri armati e automezzi. Il cielo di Mosca era punteggiato di palloni di sbarramento e nella maggior parte delle strade principali c'erano ostacoli anticarro e numerose batterie contraeree. Quest'ultime erano molto più severe, impegnando in quel servizio migliaia di moscoviti. L'atmosfera era severa, militare ed eroica, diversissima da quel ch'era stata al momento dell'esodo dovuto al panico…

da La Russia in guerra, Mondadori, 1964

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ogni europeo serio e coscienzioso dovrebbe sentirsi fiero di vivere in un continente di cui fanno parte i Russi.

Anonimo ha detto...

La storia ha fatto grandi i popoli,ma la Russia fara´ grande la storia.
F.Dostoievski

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