L'intervista,
pubblicata per i 50 anni dall'inizio della II Guerra Mondiale,
utilissima nella prima parte a spiegare il consenso a Hitler perfino
di settori pacifisti della società tedesca, è assai discutibile e pasticciata nella valutazione del patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop. Lo si
collega artatamente con cose ancora a venire e tutt'altro che certe
(la spartizione della Polonia) e ad altre antiche come i buoni rapporti tra
Federico II di Prussia e Caterina nel 700, come se fosse indifferente, nel frattempo, la nascita dell'Urss. (S.L.L.)
BONN
Tra
gli storici tedeschi, Karl D. Bracher è quello che si è impegnato
maggiormente nello studio del Terzo Reich: notissimo, ad esempio, è
il suo La dittatura tedesca. Origini, strutture,
conseguenze del nazionalsocialismo in Germania,
tradotto in Italia dal Mulino.
Professor
Bracher, ancora oggi molti tedeschi sono convinti che Hitler sarebbe
stato un grande statista, se non ci fossero stati la guerra e
l'Olocausto. Ma è pensabile il nazismo senza la guerra?
Hitler
ha sempre parlato, nello stesso tempo, di pace e di guerra. Questo in
un certo senso era facile, perché il fine da lui proclamato la
revisione del trattato di Versailles era considerato legittimo ed
auspicabile da tutti i tedeschi. Tutti i tedeschi, infatti,
rifiutavano Versailles: la diplomazia, l'esercito, i partiti, perfino
quello comunista. Quanto invece ai mezzi per ottenere la revisione
del trattato, non c'era accordo; ma quando un fine viene ritenuto
giusto, è facile mettere in secondo piano la scelta dei mezzi.
Specialmente perché Hitler passava da un successo all'altro. Così,
fino al 1939, Hitler fa apparire ogni sua mossa come tesa alla
riparazione dei torti subìti a Versailles: il ripristino
dell'obbligo di leva, l'occupazione della Renania, perfino quella
dell'Austria sembrano far parte di questa politica di revisione. Una
politica che soltanto la diplomazia e la Wehrmacht cercavano di
frenare, e non perché fossero contrarie, ma perché temevano
l'isolamento internazionale della Germania.
Dunque,
la politica estera di Hitler incontrava il consenso generale
(compreso quello della borghesia, le cui riserve riguardavano, se
mai, la sua politica interna). Il
Fuhrer teneva discorsi rassicuranti, diceva: vogliamo mantenere la
pace perché vengano riconosciuti i nostri diritti. E, fatta
eccezione per l' occupazione della Cecoslovacchia, tutti i suoi
obiettivi, in quel momento, appaiono revisionistici. Quanto ai
dissensi interni, un peso decisivo per la loro liquidazione lo ebbe
la conferenza di Monaco. A Monaco, infatti, Hitler dimostrò che
poteva ottenere ciò che voleva senza dover ricorrere alle armi: le
potenze occidentali capitolarono ancora una volta. In questo senso
Monaco rappresentò, in Germania, la sconfitta definitiva di
qualsiasi opposizione: per esempio, il capo di stato maggiore Beck,
che aveva espresso apertamente i suoi dubbi e i suoi timori a
proposito della questione cecoslovacca, si dimise. Insomma, Hitler
riuscì a mescolare abilmente la politica di revisione con la
politica di aggressione. Ma oggi è provato che aveva messo nel conto
la guerra fin dal ' 33 e che aveva cominciato ben presto a lavorare
in questa direzione.
Hitler
programmava o improvvisava?
Aveva
obiettivi di fondo, ma era capace di adattarsi rapidamente alle
situazioni via via che queste mutavano. All'inizio mirò ad una
alleanza con l'Inghilterra: per quanto oggi possa sembrarci ingenuo,
aveva proposto a Londra una sorta di spartizione del mondo: lui
avrebbe garantito l'integrità dell'impero britannico, e in cambio
voleva mano libera in Europa. Sono del 37 i negoziati per un patto
tedesco-britannico. L'Inghilterra finì per rifiutare la proposta; fu
l'Urss ad accettare il piano hitleriano di spartizione dell'Europa.
Questa, voglio sottolinearlo, è la differenza decisiva tra una
democrazia e una dittatura: dalle democrazie non parte, di regola,
una guerra di aggressione. All'inizio, comunque, gli inglesi si
lasciarono coinvolgere nel negoziato, la cosiddetta politica
dell'appeasement.
Ancora nel 37 il ministro inglese degli Esteri, Lord Halifax, andò a
Berlino. Nel 38, poi, ci fu Monaco. Tutti Halifax, Chamberlain,
l'ambasciatore Henderson erano convinti che si poteva salvare la pace
attraverso una soluzione negoziata con i nazisti. L'antefatto della
seconda guerra mondiale risale, al più tardi, al 36. Con la guerra
di Abissinia si spostano le alleanze: senza quella guerra, Mussolini
non sarebbe diventato così rapidamente succube di Hitler. Non molti
sanno che nel 36 Hitler inviò armi all'Etiopia: perché fossero
usate contro l'Italia, evidentemente. Non è chiaro se dietro a
quell'iniziativa ci fosse un disegno machiavellico, se cioè Hitler
intendesse impedire una facile vittoria italiana per costringere
Mussolini a ricorrere a lui per aiuto. C'è poi un'Europa divisa e
sconcertata dalla guerra civile spagnola. Quella fu per Hitler una
specie di prova generale, in primo luogo ideologica: rappresentava lo
scontro tra le democrazie occidentali e il comunismo, da una parte,
il fascismo e il nazismo dall'altra. La Francia quasi non esisteva
sul piano internazionale, era paralizzata dai suoi problemi interni:
cresceva il radicalismo di destra, anche Pétain svolse un suo ruolo,
e crescevano le simpatie per Franco. Il Fronte Popolare di Blum
doveva risolvere problemi ardui e in più era tendenzialmente
pacifista, nel senso che non era disposto a controbattere la politica
di riarmo di Hitler riarmandosi a sua volta. Anche l'Inghilterra
all'inizio era contraria al riarmo: questo, almeno, era
l'atteggiamento dei laburisti. Comunque, gli inglesi cominciarono a
riarmarsi prima dei francesi. Non dimentichiamo, infine, che siamo
nel mezzo dei grandi processi staliniani, i quali in pratica mettono
fuori gioco l'Unione Sovietica. La isolano, perché ne screditano il
prestigio anche tra i simpatizzanti (la conversione di Orwell, per
esempio, risale a questo periodo); e la indeboliscono all'interno,
perché tra le vittime dei processi ci furono i capi dell'esercito.
Ecco perché le potenze occidentali non insistettero perché l'Urss
fosse invitata a Monaco, anche se a quel tempo i russi erano alleati
della Francia e della Cecoslovacchia.
Quando
comincia Hitler a parlare esplicitamente di guerra?
Gli
anni decisivi sono il 37 ed il 38. Il 5 novembre del 37 Hitler
illustra per la prima volta il suo piano di guerra. E' il famoso
Protocollo Hossbach.
In realtà il termine Protocollo è improprio: Hossbach, aiutante
della Wehrmacht distaccato alla Cancelleria, non stese subito quel
documento, ma più tardi. Non si tratta quindi di un vero e proprio
verbale; e, al pari di altre fonti (per esempio I miei
colloqui con Hitler di
Rauschning) va preso con cautela. Esistono anche altre versioni di
quella riunione. Quando per esempio il Protocollo
fu mostrato agli imputati di Norimberga, Goring ed alcuni generali ne
contestarono l'esattezza. Ad ogni modo, il Procollo
corrisponde sostanzialmente al vero. E la sua importanza consiste in
questo: dimostra che fin dal 37 Hitler aveva enunciato, di fronte a
una piccola cerchia di generali, diplomatici e funzionari, i suoi
progetti di espansione. Li aveva motivati con precisi principi
ideologici: il cosiddetto spazio vitale, considerazioni di natura
economica e militare, idee tratte dal darwinismo sociale. Da parte di
alcuni ci furono delle riserve. Segnali d' inquietudine vennero ad
esempio dal ministero degli Esteri e dal vertice della Wehrmacht,
cosa che spinse Hitler a silurare parecchie persone. Il ministro
degli Esteri Kostantin Von Neurath dovette andar via e fu sostituito
con Ribbentrop. Werner Von Blomberg dovette dimettersi e così
Fritsch.
Qual
era la struttura di potere del nazismo?
Hitler
aveva in mano tutto il potere. Non c'erano in Germania altri centri
di potere, come ne esistevano per esempio in Italia: il re, la
Chiesa. Lo dimostra proprio il fatto che, nel periodo che va dal
Protocollo Hossbach alla conferenza di Monaco, Hitler cambia tutti
gli uomini che non lo soddisfano. Non bisogna poi dimenticare certe
tradizioni tedesche, quella della Obrigkeitstaat in primo luogo: il
rispetto, tutto tedesco, per l'autorità, una concezione dello Stato
autoritaria. Hitler riuscì a creare e consolidare una dittatura
moderna, a cominciare dalla propaganda e dall'organizzazione della
sicurezza interna: uno Stato nello Stato, che agiva quando lo Stato
vero e proprio non funzionava come i nazisti volevano. Per esempio,
uno poteva essere assolto dal tribunale civile e poi spedito
ugualmente in campo di concentramento. Questo sistema resse fino
all'ultimo, talvolta perfino dopo la capitolazione. Hitler si era
rifatto anche ad un'altra tradizione tedesca, quella dell'impero. La
Germania non è stata solo uno Stato nazionale, è stata anche un
impero, l'impero romano della nazione tedesca. Il concetto di Reich
era molto importante perché portava oltre i confini dello Stato
nazionale e quindi oltre la politica revisionistica.
Quando
ha cominciato, Hitler, a giocare la carta sovietica?
I
precedenti del patto Hitler-Stalin risalgono al 39. Ma naturalmente
c'è una lunga storia di collaborazione precedente, che spiega come
sia stata possibile l'intesa tra i due paesi nello spazio, per così
dire, di una notte. In poche ore, dal 23 al 24 agosto del 39, la
Polonia fu spartita. Il patto di non aggressione russo-tedesco fu una
sorpresa solo per chi non conosceva i precedenti. Lo scopo principale
di Hitler era quello di evitare una guerra su due fronti. La
tradizione di collaborazione tra Germania e Russia rese possibile un
accordo immediato, malgrado la propaganda antisovietica e
anticomunista nel Terzo Reich. Come dicevo, la storia della
collaborazione russo-tedesca è lunga. Federico il Grande venne
salvato dall' intervento di Caterina; Napoleone fu sconfitto quando
la Prussia si alleò alla Russia; insieme, prussiani e russi
marciarono su Parigi. Solo Guglielmo II non rinnovò l'alleanza con
la Russia e proprio per questo, secondo molti, la Germania perse la
prima guerra mondiale. La collaborazione tra i due paesi riprese
subito dopo, al tempo di Weimar, sul piano economico come su quello
militare: e, si badi, con un governo conservatore, non con uno
socialdemocratico. Anche dopo il 33 i contatti economici e
commerciali russo-tedeschi proseguirono. Il primo contratto concluso
dal Terzo Reich fu il prolungamento del Trattato commerciale con l'
Unione Sovietica, nell'aprile del 33. C'erano anche rapporti tra i
servizi segreti. Quelli di Hitler fornirono alla Ghepeu prove
falsificate contro i generali sovietici durante i grandi processi.
Ecco perché io dissento totalmente dalle tesi sostenute da Nolte: si
può dimostrare che, per Hitler, il fattore determinante non era
l'antibolscevismo, ma il razzismo, il darwinismo sociale. Certo,
l'antibolscevismo esisteva tra i nazisti, come esisteva in tutti i
movimenti di destra; ma poteva essere messo da parte in ogni momento.
In verità, Hitler non fece mai una politica antibolscevica, mentre
sarebbe stata per lui del tutto impensabile una collaborazione con
l'ebraismo.
“la
Repubblica”, 28 luglio 1989
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