Tra gli interventi sullo
speciale di “micropolis” per il trentennale di Capitini, questo
di Lanfranco Mencaroni è – a mio avviso – quello che con più
chiarezza esplicita il nesso tra religiosità e impegno politico. Gli
auspici finali, del compagno Mencaroni, medico, comunista e
capitiniano, soffrono un po' di idealismo, confondono le speranze
(anche illusorie) con la realtà. Nuove guerre, nuove violenze, nuovi
odi e nuove intolleranze erano alle porte. Il capitale trionfante fa
strame della non-violenza e trasforma la democrazia in un vuoto
simulacro. (S.L.L.)
Aldo Capitini sulla torre campanaria del comune di Perugia |
Aldo Capitini era nato a
Perugia il 23 dicembre del 1899, a Perugia è morto il 19 ottobre del
1968. Laureato in lettere e filosofia a Pisa, vi rimase come
assistente e come segretario-economo della Scuola Superiore Normale
fino al gennaio del 1933, quando fu messo fuori per non aver
accettato la tessera del Partito Fascista, divenuta obbligatoria per
i dipendenti statali.
Durante la dittatura e le
guerre fasciste visse poveramente a Perugia dando lezioni private: fu
attivissimo antifascista nonviolento, fondò insieme al filosofo
Guido Calogero il Movimento Liberalsocialista, dal quale si distaccò
quando, dopo il 25 aprile 1943, da movimento si trasformò in Partito
d'Azione; fu messo due volte in carcere.
Dopo la guerra ottenne
una cattedra universitaria di Pedagogia prima a Cagliari poi a
Perugia.
Dal 1937 al 1968 ha
scritto numerosi libri e moltissimi saggi e articoli in cui esponeva
e approfondiva la sua posizione di libero riformatore religioso,
esterno e critico delle religioni tradizionali; di politico
indipendente di sinistra, esterno ai partiti, trasformatore della
società verso il potere di tutti con i metodi della nonviolenza e
del controllo dal basso; di pedagogo, maestro ma sopratutto profeta,
che rifiuta ed esorta i giovani a rifiutare la violenza e
l'insufficienza della società e della realtà.
Indignato per
l'esaltazione e l'ostentazione della violenza da parte dei fascisti e
per la benedizione che a quella violenza veniva data dalla chiesa
cattolica dopo il Concordato del '29, Aldo Capitini fece due scelte
fondamentali alle quali rimase coerente per tutta la vita.
La prima fu l'impegno a
pensare e vivere in Italia una posizione religiosa che stimolasse gli
italiani, notoriamente restii a discutere i problemi della fede, a
riflettere sull'insufficienza delle risposte religiose alle domande
della società contemporanea, anche tenendo conto dei cinque secoli
di pensiero laico. Risposte che alcune delle religioni tradizionali
hanno difficoltà a dare senza mettere in discussione le chiusure dei
dogmi e l'autoritarismo delle strutture, e senza sottrarsi a un
giudizio di condanna sul comportamento violento e conservatore tenuto
nella storia.
La seconda scelta fu
quella della nonviolenza come apertura religiosa all'umanità, come
rifiuto della insufficienza e della violenza del mondo, come modello
di comportamento nella vita privata, e come metodo di lavoro nella
vita pubblica e politica, metodo che Capitini definì più tardi come
''nonviolenza attiva". L'adesione di Aldo Capitini alla teoria e
alla pratica della nonviolenza maturò nel decennio tra il 192O e il
193O. Da quegli anni, come Gandhi e Martin Luther King, "all'ideale
della nonviolenza - ci ricorda Bobbio - dedicò la parte migliore di
sé stesso; ne fu il filosofo, il maestro, il propagatore e
l'infaticabile organizzatore".
Tra le realizzazioni
della nonviolenza attiva ricordiamo l'invenzione dei C.O.S. (Centri
di Orientamento Sociale), libere e periodiche assemblee di controllo
dal basso e potere di tutti, a tutti aperte per l'informazione e la
discussione su problemi locali e generali; e l'organizzazione nel
1961 della prima Marcia della Pace italiana da Perugia ad Assisi.
Gli avvenimenti della
storia hanno sempre relegato Capitini nel ruolo di minoranza, inviso
alla destra, onorato dalla sinistra ma da questa anche incompreso e
ritenuto estraneo alle proprie scelte culturali e politiche. A
trent'anni dalla sua morte, pur nel frastuono del consumismo e
nell'idolatria della competizione liberista più sfrenata, vediamo
anche realizzarsi l'intuizione di Capitini su questo secolo, che dopo
le aspre e cruenti lotte politiche e sociali si trova davanti a un
bisogno diffuso di spiritualismo e di religione. La sinistra, che per
motivi di lotta politica ha sempre confuso religione e chiese, dà
perlopiù le risposte difficili e individuali del laicismo razionale,
scientifico, agnostico, pessimista.
Chi si interroga sui
problemi che secondo Capitini sono alla base della scelta religiosa,
i problemi del dolore, del rimorso, della morte, e percepisce
l'insufficienza delle religioni tradizionali, trova risposte
effimere, come quelle odierne della new age, e finisce spesso
in braccio a gruppi e sette intrise di valori regressivi, vicino alla
magia. Molti altri, anche se in maniera critica, rimangono
formalmente nelle chiese storiche, e vanno nel grande fiume del
volontariato a testimoniare la loro fede con le azioni in favore del
prossimo. Qui portano, nella millenaria prassi della carità verso il
povero e l'infermo, la esigenza di nonviolenza e di giustizia
proveniente dai nostri tempi, e la intuiscono come base di ogni
discorso di libertà, di rispetto e amore per i diversi, di equa
distribuzione delle ricchezze. Questa impostazione politica della
carità è una grande novità del nostro secolo, e sollecita dal
basso le istituzioni religiose, legate da sempre a interessi e usanze
conservatrici. Abbiamo assistito a dibattiti, appelli, reazioni su
questi temi anche nelle chiese più vicine a noi.
Assieme a Gandhi,
Capitini è il pensatore che ha dato maggiore spessore teorico a
questa novità rivoluzionaria di giustizia e nonviolenza come
espressione di religione. E' una novità che mette in crisi gli
schieramenti interni delle chiese, dove molti esponenti degli
apparati, da sempre legati al potere mondano, resistono alla
diffusione di una immagine e di una presenza nella società nuove e
diverse dalla tradizione. Alcuni grossi personaggi della sinistra e
dei laici, disorientati dall'emergere di queste emozioni e di questi
problemi, hanno accettato un inizio di dialogo in incontri ad alto
livello con qualificati esponenti delle chiese.
Sarebbe scelta migliore
quella, mai fatta prima, di stimolare la conoscenza, la riflessione,
il dibattito sulle idee di Gandhi, Capitini e Luther King, che
insieme a pochi altri hanno dato in questo secolo le uniche risposte
moderne alle domande di religione. Risposte che si riassumono in due
righe: un religioso non può accettare la violenza della realtà e
della società, la violenza dello sfruttamento sugli altri uomini,
donne, bambini, la violenza sulla natura; non si può essere
religiosi se non si ha un impegno politico per gli altri e con gli
altri; un religioso deve essere e agire come un rivoluzionario
nonviolento.
L'impostazione di Gandhi,
di Luther King e di Capitini, di mettere la nonviolenza al centro
della vita religiosa e politica; di passare dalla scelta personale
alla nonviolenza attiva per intervenire dal basso e tutti insieme
sulla società in difesa della libertà e della giustizia, dei poveri
e degli oppressi; è passata nei fatti tra le grandi opzioni dei
popoli, alcuni dei quali l'hanno già vittoriosamente sperimentata.
Aldo Capitini, come
scrive Bobbio nella prefazione alla ristampa di Elementi di
un'esperienza religiosa, "ebbe sempre ben chiaro in mente
che l'ideale della nonviolenza, nella tradizione realistica del
pensiero politico italiano, era la novità assoluta della sua opera
(... ) Molta strada ha fatto anche in Italia l'idea che la
nonviolenza non è più un sogno da visionari, un'illusione da
spiriti deboli, un'evasione dalla realtà, se non addirittura una
stravaganza, che gli spiriti forti non debbono prendere troppo sul
serio, ma è un ideale da perseguire senza illusioni, con tenacia,
con serietà, con la convinzione che la potenza degli strumenti della
violenza è tale da richiedere un mutamento radicale nelle nostre
riflessioni sul passato e del nostro modo di andare incontro
all'avvenire".
Il silenzio della
sinistra su questo ideale è inspiegabile anche guardando ai vasti
consensi che nel mondo odierno nonviolenza e pacifismo possono
suscitare contro le posizioni della destra, sempre pronta a difendere
i privilegi da qualsiasi minaccia con la forza delle armi, con la
violenza delle leggi, manipolando al meglio i mezzi di formazione
dell'opinione pubblica.
Nel 1997 tutti i Premi
Nobel per la pace hanno inviato ai capi di stato del mondo la
richiesta che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite deliberi: "che
il primo decennio del nuovo millennio, gli anni 2000-2010, sia
proclamato Decennio per una cultura della nonviolenza"; "che
l'inizio del decennio, l'anno 2000, sia definito Anno per
l'educazione alla nonviolenza"; "che la nonviolenza sia
recepita ad ogni livello della nostra società, durante questo
decennio, per rendere coscienti i bambini del mondo, con la riduzione
della violenza e delle conseguenti sofferenze inflitte a loro e
all'umanità, del reale e pratico significato e dei benefici della
nonviolenza nella loro vita quotidiana". I Nobel hanno chiesto a
tutte le associazioni pacifiste di promuovere campagne di appoggio
alla loro richiesta.
In Italia né le
associazioni pacifiste né tanto meno la sinistra hanno preso in
considerazione questa importante iniziativa: solo alcuni sacerdoti
hanno rimproverato alla chiesa di non aver accolto quest'ultimo
appello di Madre Teresa, dopo il grande clamore e le lacrime per la
sua morte. Tuttavia è probabile che l'ONU accoglierà la proposta
dei Nobel: per la prima volta nella storia la nonviolenza forse si
presenterà alla ribalta mondiale con tutto il peso politico
conferitole dalla comunità dei popoli.
Il primo decennio del
2000 potrebbe fare da spartiacque fra i periodi della nostra storia,
se lo vorremo. Quel giorno nell'Assemblea dell'ONU non potranno non
essere evocati i nomi di Gandhi, di Luther King, di Capitini.
E' opportuno, oltreché
doveroso, che il governo italiano, in cui la sinistra ha un certo
peso, approfitti del 1998, trentesimo della morte di Capitini, e del
1999, centesimo della nascita di Capitini, per ricordarsi e ricordare
questa grande figura del nostro secolo e presentarsi all'ONU con
l'orgoglio della nazione in cui è nato, è vissuto, ha lottato, ha
studiato, ha scritto, è morto trent'anni fa Aldo Capitini.
micropolis maggio 1998
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