2.12.15

In morte di Ronald D.Laing (Giovanni Jervis)

Ronald David Laing nacque a Glascow nel 1927, morì a Saint Tropez ne 1989. Opere come L'Io diviso, Nodi, La politica della famiglia (in Italia tutte tradotte da Einaudi) ne diffusero la fama e le idee anticonformiste. Qui riprendo da “Repubblica” il necrologio firmato da Giovani Jervis. (S.LL.)

La morte, inattesa, di un uomo che fu amico, e che per le sue caratteristiche di personalità suscitava in me - come credo in molti altri - simpatia e tenerezza, subito richiama immagini e ricordi personali, prima che pensieri. Non so se per sua fortuna, Ronnie Laing fu un uomo affascinante, sincerissimo e indifeso.
Lo conobbi a Londra nel 1967, ancora molto giovane, bello, vivace, arrabbiato, carismatico, già noto alla contro-cultura, a volte raffinatamente autocosciente dei suoi atteggiamenti, anticonformista - ma mai ingenuo - sempre sul rischio di esser ridotto al rango di un personaggio «alternativo», cultural-mondano eppure ogni volta salvato dalla presenza, nelle sue scelte rischiose, di una sorta di disarmata autenticità, di una sincerità di tratto che lasciava trasparire nel suo intimo aspetti fragili.
A quell'epoca egli fu il principale animatore e organizzatore di un vivacissimo convegno («Dialectics of Liberation») cui avevano accettato di partecipare, e di interagire con una massa di giovani ai vari paesi, poeti come Alien Ginsberg, vari esploratori della cultura (fra tutti, Gregory Bateson) filosofi marxisti come Paul Sweezy ed hegeliani post-marxisti come Herbert Marcuse, leaders neri come Stokely Carmichael, e molti altri.

Ginsberg suonava un organetto
Era anche l’epoca della «sua» comunità «antipsichiatrica» di Kingsley Hall, un luogo anti-autoritario di ricovero per pazienti psichiatrici gravi, e del suo tentativo di creare una «antiuniversità di Londra», le cui lezioni e seminari si tenevano - in quell'estate il tempo fu miracolosamente bello - sui prati dei parchi londinesi.
Non è un caso se quel convegno del 1967 covava in realtà mille contraddizioni. Ad esempio, Marcuse e Sweezy consideravano il marxismo e la rivoluzione con occhi molto diversi (ma non sempre lo dicevano apertamente), e la confusione delle lingue a volte era considerevole.
Ricordo che fra tutti si muoveva Ginsberg, serafico, che suonava un organetto e cantava dei mantra tibetani molto noiosi, i quali piacevano ai «figli di fiori» di allora ma irritavano i più politicizzati. Del resto anche gli psichiatri e antipsichiatri presenti già cominciavano a non andare affatto d’accordo fra di loro.
Ricordo che Laing cercava d: mediare, ma la sua stessa personalità non gli facilitava il compito.
L’antiuniversità di Londra - come forse si poteva prevedere - non decollò; e se è vero che negli anni successivi le idee di Laing conobbero un successo considerevole di pubblico fra i non-specialisti, è anche vero che furono - mollo spesso – male interpretate.
Lo stesso Laing si distacco un poco dagli esperimenti «antiistituzionali» in psichiatria, passò molti mesi a meditare in un monastero buddista, mitigò talune sue posizioni, esplorò nuove idee, scrisse poesie. Ebbi occasione di incontrarlo, negli anni, varie volte, e sempre con piacere.
Ma Ronald Laing non fu solo uno dei sacri mostri della controcultura degli anni ’60. A distanza di tempo, alcuni fra i suoi libri (e in particolare il primo, L’io diviso, del 1959) segnano una tappa nella storia della psichiatria moderna. Più cauto di molti altri (come ad esempio David Cooper) egli seppe mantenere una distanza dal rischio della difesa della sregolatezza e dell’autoemarginazione, e così si guardò bene dal dire che la malattia mentale non esiste, non coniò affatto il termine «antipsichiatria» (che è di Cooper) e neppure ne difese lo slogan, ritenendolo semplificativo, e soprattutto non sostenne mai che i ricoverati dei manicomi andassero semplicemente «liberati» cioè in pratica mandati allo sbaraglio nella società. Al contrario Laing fu sempre, e dichiarata-mente, medico, psichiatra e psicoanalista.

Uomo generoso e geniale
I contributi principali di Laing alla psichiatria sono stati due, uno teorico e uno - per così dire - politico o politicoculturale. Sul piano teoretico, Laing ci ha lasciato un contributo importante alla comprensione della schizofrenia. Il suo approccio combina fra loro in modo originale i contributi dei fenomenologi, gli studi di Sullivan sulle distorsioni comunicative, la psicoanalisi moderna, e le ricerche sui sistemi di comunicazione interpersonale.
Su un piano più politico-culturale, si può ben dire che Laing ha contribuito più di chiunque altro nel mondo a sensibilizzare il vasto pubblico, e soprattutto i giovani, al problema psichiatrico, e in particolare alla necessità di non considerare il pazzo come un organismo che si è rotto, ma come una persona sofferente lolto spesso anche
A distanza di anni è facile rimproverargli taluni errori ed eccessi: sia, ad esempio, taluni slittamenti mistico-poetici che possono apparire confusionari agli occhi disincantati dell’ oggi; sia forse anche talune sue illusioni ottimistiche, da lui espresse negli anni Sessanta, circa la follia come forma, oltre che di confusione, anche di ricerca esistenziale.
Resta comunque prevalente per me, e credo per molti altri, nel ricordo, la gratitudine per aver incontrato le idee, la passione, la straordinaria complessità - ma anche la contraddittorietà - di un uomo generoso e geniale.


“La Repubblica”, 25 agosto 1989

1 commento:

Veruska ha detto...

Conoscenza di nuovi e geniali punti di vista su un tema così sensibile per tanti individui e tante famiglie, non solo per quanto riguarda la follia patologica, ma anche per quelle fasi di crisi transitorie che si presentano a ogni salto evolutivo. Gratitudine per la forza innovativa, la capacità di ascolto e di comprensione che ha saputo comunicare.

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