Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi |
In novembre, su “pagina
99”, Gabriella Colarusso, oltre a raccontare in termini generali la
scalata all'economia italiana dei paesi arabi del petrodollaro
(Arabia Saudita, Qatar, Emirati arabi ecc.), esamina un caso
specifico, la Piaggio Aerospace, che sta specializzandosi nella
costruzione di “droni”, aerei senza pilota. Gli Emirati Arabi
sono, secondo gli analisti, uno dei paesi che conservano rapporti
sociali di tipo feudale e in cui la sottomissione della donna è
feroce, oltre che tra i finanziatori dei jiadisti dell'Isis. Quanti
pericoli contenga il controllo di un'azienda produttrice di Droni da
parte dei “fondi sovrani” degli Emirati mi pare tema di
riflessione e preoccupazione. (S.L.L.)
Superdroni della Piaggio Aerospace |
Nel 2013 la Piaggio
Aerospace rischiava il fallimento e gli azionisti di Mubadala, il
fondo sovrano di Abu Dhabi che oggi controlla il 100% della società,
furono accolti come i salvatori. Di fatto, hanno evitato la chiusura
dell’azienda, investendo circa un miliardo di euro per rilanciarla.
Ma ora dal sovrano è arrivata la richiesta di un maggior impegno
italiano per mandare avanti i costosi e delicati programmi
aeronautici in cui l’azienda è impegnata. Il bilancio 2015 della
società dovrebbe essere chiuso con perdite tra i 38 e i 45 milioni
di euro, stando a quanto comunicato ai sindacati a ottobre (rispetto
ai 63 milioni del 2014), ma gli emiratini temono un rosso più
profondo e la necessità di dover alla fine investire nuovo capitale.
A pesare su Abu Dhabi
sono anche considerazioni politico-strategiche. Piaggio lavora a un
ambizioso programma militare, lo sviluppo dei droni P.1HH e P.2HH e
avere un partner industriale, magari italiano, a sostegno del
progetto, significherebbe per gli emiratini la garanzia di portarlo a
termine. Il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed Al
Nahyan – che ha anche frequentato l’accademia della Nunziatella a
Napoli negli anni ’80 – ne ha parlato nei diversi incontri avuti
con Matteo Renzi e con il ministro della Difesa, Roberta Pinotti.
Il governo, secondo
quanto risulta a "pagina99", si è impegnato a valutare possibili
soluzioni, si parla degli americani di General Electric o degli
italiani di Finmeccanica, ma sono ancora solo indiscrezioni. Sul
tavolo poi ci sono i finanziamenti pubblici della legge 808. Piaggio
ne ha fatto richiesta al ministero dello Sviluppo economico un anno
fa, «per un progetto di ricerca e sviluppo che riguarda le
tecnologie abilitanti per la realizzazione di 2 velivoli a pilotaggio
remoto», proprio il P.1HH e il P.2HH. Dal Mise non è arrivata
ancora nessuna risposta.
L’azienda ligure è la
prima e unica industria italiana controllata al 100% da un fondo
sovrano estero. Produce aerei per il mercato civile e sta lavorando,
con il supporto della Difesa, dell’Aeronautica e di Finmeccanica
(Selex), al P.1HH, il primo drone di fattura italiana, che servirà
per missioni di sorveglianza, intelligence e pattugliamento. Almeno
nella prima fase, perché allo studio c’è già una versione più
evoluta, il P.2HH, con capacità tecniche superiori e potenzialmente
armabile. Un affare in cui si incrociano innovazione tecnologica,
interessi strategici e relazioni internazionali. L’ingresso di
Mubadala come azionista di maggioranza, infatti, è stato valutato
attentamente dal governo e l’ok ai nuovi proprietari, in base al
golden power, è arrivato ad alcune condizioni, prima tra tutte «la
tutela delle capacità tecnologiche e industriali» dell’azienda. I
software e l’intelligenza del drone, sviluppati da Selex, sono così
rimasti sotto il controllo dell’Italia.
Il progetto ha un grosso
potenziale, perché la sua riuscita darebbe a Roma un vantaggio
competitivo nei confronti degli altri Stati europei in un’industria,
quella degli Uav (i velivoli a pilotaggio remoto), che sarà centrale
nel futuro mercato internazionale della Difesa. Il Male2020, infatti,
il drone europeo che l’Italia dovrebbe realizzare insieme con
Francia e Germania, è ancora ai nastri di partenza.
L’aeronautica ha
fornito a Piaggio le proprie basi per i test di volo e sarà il primo
cliente del drone. «Il P.1HH è un velivolo con caratteristiche
diverse e più avanzate di quelle che hanno i sistemi già in nostro
possesso, come i Predator americani», spiegano dall’Aeronautica
militare.
La consegna del primo
sistema dovrebbe avvenire all’inizio del 2016, poi bisognerà
integrarlo con «i sistemi» già a disposizione delle nostre forze
armate, mettere a punto le «procedure per la manutenzione e
l’addestramento dei piloti». La scuola di formazione per i piloti,
la nostra Holloman, potrebbe sorgere ad Amendola, dove opera il
32esimo stormo, che ha già in dotazione i sistemi Rpv.
Una volta certificati, il
P.1HH e, in prospettiva, il P.2HH, saranno pronti per il mercato. Con
delle differenze a seconda dei Paesi potenziali acquirenti. L’Italia
infatti aderisce al Mtcr (Regime di controllo delle tecnologie
missilistiche), l’accordo internazionale siglato nel 1987 per
limitare l’esportazione di droni armati, e per vendere aerei senza
pilota, armabili, ha bisogno delle licenze di esportazione.
All’interno del Mtcr, gli Stati Uniti fanno la parte del leone, per
evidenti ragioni tecnologiche, essendo leader di un’industria in
cui non hanno interesse a vedere ridimensionata la propria
supremazia, e politiche, trattandosi di un mercato che risponde ad
alleanze internazionali e a interessi di sicurezza nazionale. Se Abu
Dhabi, insomma, volesse acquistare i P.2HH, i nostri droni armabili,
sarebbero necessari il lasciapassare Mtcr e l’ok americano. Ci sono
già richieste in questo senso da parte dell’Emirato? Tra Difesa e
azienda, sul tema, la riservatezza è massima.
Pagina 99we, 21
novembre 2016
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