5.12.15

Carlo Cuor di leone. Intervista su de Gaulle a Jean Lacouture (Bernardo Valli)

Jean Lacouture, per più di quattro anni lei, che non è gollista, ha vissuto con de Gaulle: ha ricostruito la sua vita, dalla nascita alla morte, e adesso l'imponente biografia in tre volumi, duemilaquattrocentocinquanta pagine, edita dal Seuil, troneggia su una montagna di libri, più di ottocento, dedicati al generale. Gollisti e non gollisti considerano, con ragione, la sua opera magistrale. E' un po' come se un ateo avesse scritto la storia di Gesù, e questa storia venisse adottata quasi senza riserve da credenti e non credenti, chiese cristiane comprese. In quei quattro anni ha finito con l'innamorarsi di de Gaulle?
Mi ha interessato l'uomo che affronta la politica come un'opera d'arte, che cerca di fare delle sue imprese una tragedia di Corneille. De Gaulle è al tempo stesso un protagonista della storia e uno storico. Trasforma le sue azioni in tragedie, a volte anche in melodrammi, e poi le presenta al pubblico come facevano i grandi cronisti che nel Medio Evo accompagnavano i sovrani. Come Philippe Commynes, oppure sire de Joinville. Fa della sua vita politica un'opera d'arte illustrandola con pennellate mitologiche destinate a colpire le fantasie e a imporre un'interpretazione storica favorevole.

Prima del de Gaulle, lei ha scritto le biografie di Malraux, di Mauriac, di Léon Blum, di Mendès France, tutti uomini con cui aveva alcune affinità intellettuali o politiche, che le consentivano ritratti intimistici. E poi i tre sorprendenti volumi sul Commandeur, che domina ancora, sovrasta la Francia sedici anni dopo la morte. Il mostro sacro, di cui lei assapora il talento di grande attore, di cui descrive i gesti enormi ed enfatici, le mimiche da boulevard du Crime, senza mai scivolare nell'agiografia, ma anche con evidente passione. Tre ritratti distinti del generale: quello del grande patriota cinquantenne, un po' avventuriero, un po' mago se non istrione, che riesce nel 44 a trasformare la disfatta francese in una vittoria, a legittimare l'illegalità; poi l'uomo politico sessantenne che fonda la Quinta Repubblica; infine il sovrano sbeffeggiato dai giovani parigini, che dopo avere ristabilito la sua autorità se ne va con dignità alla vigilia degli ottant'anni. Cosa l'ha spinta ad occuparsi di questo monumento, che aveva osservato con un certo distacco quand'era ancora in vita?
Vent'anni prima di cominciare la biografia di de Gaulle avevo scritto un libro abbastanza antigollista, sarcastico nei confronti del generale vivente. Mi sono lanciato nella nuova impresa per ragioni che definirei sportive.

Perché era difficile?
Perché per uno storico era come per un ciclista il Giro di Francia, o per un tennista il campionato di Wimbledon. Se ci riesci, mi sono detto, significa che sei un campione. Le altre biografie che ho scritto riguardano, è vero, uomini dei quali ero complice. Ed era più facile o più difficile, non so. De Gaulle è un personaggio diversissimo da me, è uno dei grandi uomini della storia di Francia, del nostro tempo. Come Napoleone o Clemenceau, come Churchill o Roosevelt. Ero preoccupato perché l'assenza di simpatia poteva privare di calore il mio libro.

E poi cosa è accaduto?
L'ammiravo perché ci ha evitato la guerra civile alla Liberazione e più tardi durante la guerra d'Algeria. Ma è stata la sua corrispondenza che mi ha fatto scoprire un uomo diverso da quel che pensavo. Un personaggio gentile, sensibile con i parenti, gli amici, con la moglie soprattutto. Una vera arte di vivere, secentesca, settecentesca. Dall'epistolario emerge un'attenzione per il prossimo che mi ha sedotto. Ed è così che ho cominciato ad avere con quel vecchio signore defunto rapporti affettuosi. Nella biografia affiora spesso il carattere avventuroso di de Gaulle. La sua è una vita segnata da fallimenti dolorosi. E' un'esistenza che sollecita spesso la simpatia. Perché egli incontra costantemente ostacoli, è sempre minacciato, all'interno e all'esterno della Francia. Anche per questo si è conquistati dal personaggio che passa da una prova all'altra, come i protagonisti dei romanzi picareschi. Ora sta per essere aggredito dai briganti, ora sta per essere avvelenato, ora la sua diligenza sta per essere attaccata. Ci sono sempre imboscate, rischi. E' un po' come nel film di Ettore Scola in cui si racconta la fuga di Varenne. E noi siamo sulla carrozza. Io perlomeno ci sono salito ricostruendo la sua vita. La più grande avventura di de Gaulle è quella del 40, quando lancia l'appello del 18 giugno a una Francia che ha accettato la sconfitta e segue il maresciallo Pétain, al quale il Parlamento ha delegato i poteri. Può fare la fine di un traditore, di un disertore; grazie a Dio diventa invece il salvatore della Francia. Ma poi corre anche il rischio di essere dimenticato dai francesi. Nel 1956, due anni prima di ritornare al potere, soltanto un cittadino su cento pensa che gli possano essere affidate responsabilità politiche importanti. E invece nel 58 è di nuovo in sella. E ricomincia l' avventura. Durante il conflitto algerino corre più volte il pericolo di essere assassinato. Se i generali ribelli d'Algeri avessero vinto, de Gaulle sarebbe finito davanti all' Alta Corte di Giustizia.

E poi arriva il 68, la rivolta di maggio. De Gaulle è stato autoritario e democratico, un miscuglio... 
E' un personaggio bizzarro. Bislacco. Doveva vivere ai tempi della Crociate. Una specie di Riccardo Cuor di Leone o di Federico Barbarossa. Un uomo dotato di un'intelligenza superiore. Un barone medievale che ha il senso della modernità. Capisce, negli anni Trenta, come colonnello, la necessità di prepararsi a una guerra motorizzata, di carri armati. E nessuno l'ascolta. Più tardi, ritornato al potere, si adegua all'epoca nucleare. Promuove una nuova industrializzazione della Francia. Ma era più incline all'autoritarismo o alla democrazia? Il suo percorso non è reazionario. Le istituzioni che dà alla Francia, quelle della Quinta Repubblica, sono efficaci, adeguate ai tempi, democratiche. Ma egli è ambiguo, sempre ambiguo. Nel mio libro lo chiamo il Connestabile, che è un titolo del Quattordicesimo, del Quindicesimo secolo. E' un personaggio che si ispira a un' etica e a un'estetica molto lontane. Io lo vedo come un uomo dell'Occidente. Non lo trovo molto francese. Anche se ci sono pagine eccezionali nella nostra storia, noi francesi siamo dei moderati. Lui invece ama la dismisura. I francesi non hanno il senso dell'epopea. Nella nostra letteratura non abbiamo né Shakespeare, né Dante, né Cervantes. E' vero, c'è Corneille, ma il nostro genio è nel Settecento, è in quel secolo, il secolo di Voltaire, che esplode il nostro genio critico, ironico. I nostri poemi sono i saggi. De Gaulle ha scritto dei saggi, ma è un uomo da epopea. E' un po' Don Chisciotte. Sembra uscito da Cervantes. La sua ispanicità è evidente. Con un amico spagnolo ci siamo divertiti a parlare di questo aspetto. Abbiamo fatto un paragone tra Franco e de Gaulle. A me irrita un po' questo gioco, perché i due uomini non hanno la stessa statura. De Gaulle è un presidente-generale democratico, Franco un generale-dittatore. Ma direi che Franco è la caricatura del borghese francese, e de Gaulle la caricatura di un hidalgo spagnolo.

E' divertente questo gioco.
Lo è, ed è quasi esatto. Non credo sul serio che de Gaulle ci assomigli molto. E' stato il nostro capo, ci ha reso tanti enormi servigi storici, ci ha drogati, gonfiati in modo smisurato.... Drogati? La Francia è troppo umiliata quando la raccoglie a pezzi nel 1944, alla Liberazione. Ha bisogno di essere rimontata. E' la stessa cosa nel 58, nel pieno del dramma algerino. De Gaulle deve ridarci coraggio. Quindi quella droga è salutare. Lui a volte esagera nella dose, questo è vero. Ci dà qualche pedata nel sedere per spingerci avanti, perché ci teniamo dritti, impettiti davanti alla società internazionale. Il più delle volte quei calci nel culo sono necessari; talvolta sono troppo violenti. I popoli hanno bisogno di sogni, di epopee, di miti, entro certi limiti. Abusarne è pericoloso, non averne è deprimente. Alcuni francesi si scandalizzano quando dico queste cose. Ma io sono un uomo del Sud-Ovest, di Bordeaux, e la Francia ha tante anime. La mia Francia non è quella di de Gaulle. Sono contento che abbia giocato per noi, ma era un giocatore esterno che ha giocato per la nostra squadra.

Lei insiste sul carattere ispanico di de Gaulle, ma lui era un uomo del Nord in alcuni risvolti del suo carattere.
Sì, era nato nelle Fiandre. Era uno spagnolo e un uomo delle Fiandre. Un uomo dell'impero di Carlo Quinto.

E questa unanimità di oggi per de Gaulle? Questo consenso acritico sul personaggio?
C'è un po' di nostalgia per il paradiso perduto, per un'epoca in cui la Francia sognava di essere più forte, più rispettata... È il ricordo di un sogno che non impegna a nulla. Un sogno di grandezza. E poi ce n' è uno più realistico di ricordi: quello degli anni Sessanta, tra il 62, la fine della guerra d'Algeria, e il 68. Anni di crescita economica e di pace. I redditi crescono e nessun francese muore più in Indocina o in Algeria. E poi ci sono le nuove istituzioni che mettono fine all'instabilità della Quarta Repubblica. Ordine, prosperità, sogno. Ma se poi si studiano in dettaglio i comportamenti di de Gaulle, il consenso, l'unanimità si disgrega molto presto. Un grande occidentale dunque, il suo de Gaulle, un carattere ispanico, un personaggio che aveva una grande idea della Francia, del suo ruolo in Europa e nel mondo. Ma un europeista tiepido. Quando de Gaulle ritorna al potere, nel 58, l'Europa sta per compiere notevoli progressi. Ma di natura diversa da quelli invocati dai padri fondatori, che immaginavano gli Stati Uniti d' Europa. Gli Stati schiacciati dalla guerra, impauriti dal fantasma di Stalin, volevano unirsi, coalizzarsi. Ma al momento della prosperità, che esplode nei Sessanta, riaffiorano le vecchie fierezze nazionali. La Comunità avanza ma su un terreno che può condurre, al massimo, verso il miraggio di una confederazione. De Gaulle è realista. La sua Europa delle patrie corrisponde alla nuova situazione. Ma il realismo è guastato dal francocentrismo, dal nazionalismo. Vuole allineare l'Europa sulla Francia. E per una volta lo storico de Gaulle non tiene conto della storia e dei dati geografici: dimentica che per un olandese, per un belga, ed anche per un tedesco o un italiano, il peso degli stati maggiori politici e militari americani è meno sentito, meno irritante dei tentativi in qualche modo egemonici di una potenza media come la Francia. Una potenza media vicina, carica di riferimenti storici che si chiamano Richelieu, Luigi XIV, Napoleone o Poincaré.

Lei è il biografo di Malraux e di de Gaulle. Come spiega l'amicizia tra due uomini tanto diversi?
Li ha avvicinati la passione per la storia. Entrambi avevano il sentimento che la storia di Francia è un blocco, è un tutto che va da San Bernardo a Saint-Just. E questa non è un' idea diffusa nel nostro paese. L'Ancien Régime, l'89, la Comune, Clemenceau esprimono una continuità, dicono Malraux e de Gaulle. Questa non è la tesi tradizionale, che tende piuttosto a tagliare la storia di Francia a fette.

Malraux era stato un rivoluzionario, de Gaulle non lo è mai stato.
E' vero che Malraux sposa a un certo punto la causa rivoluzionaria, dal 32 al 40. Ma prima è stato un avventuriero. Ha scritto la prefazione a un libro di Charles Maurras. È stato zigzagante. Ed è un ribelle. Un po' come de Gaulle, che, quando Malraux è rivoluzionario, si oppone a tutte le scuole militari, a tutte le idee dominanti negli stati maggiori. Ci sono molte cose in comune nei due personaggi. E poi sono stati chiaramente antifascisti. Malraux in modo effervescente, de Gaulle nella sua corrispondenza. E poi entrambi nell' azione. De Gaulle non ama che i civili indossino la divisa militare, come accade nella Germania nazista e nell' Italia fascista. E più generalmente non ama le dittature. Inoltre Malraux è un letterato appassionato dell'azione, e de Gaulle è un uomo d'azione appassionato di letteratura. C' è una forte convergenza. Sono complementari. Ma si deve aggiungere che Malraux non ha alcuna influenza su de Gaulle.


“la Repubblica”, 23 novembre 1986  

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