Riprendo qui un ampio
stralcio da un articolo apparso sul “domenicale” del “Sole 24
Ore”, dedicato alle rimozioni nella memoria della guerra civile
spagnola. Il cosiddetto, tacito, “patto dell'oblio” tra
franchisti e antifranchisti sembra non reggere al bisogno di verità
delle nuove generazioni. (S.L.L.)
La Valle de Los Caídos, il monumento ai caduti voluto da Francisco Franco e inaugurato il I° aprile del 1959 |
Il biglietto costa nove
euro, ma prima si sale per sei chilometri lungo una strada fitta di
conifere, abeti e pini tipici della Sierra di Madrid, quasi a voler
creare un’attesa nel visitatore. Si rimane effettivamente spiazzati
dalla maestosità della Valle de Los Caídos, il monumento ai
caduti voluto da Francisco Franco e inaugurato il I° aprile del
1959, a 20 anni dalla fine della Guerra civile, con una croce alta
105 metri incombente su tutto e tutti. Qui, il prossimo 20 novembre,
si ricorderà il 40° anniversario della morte del Generalísimo
- la cui tomba è sull’altare - e si raduneranno i nostalgici
franchisti. Ma l’immensa e cupa basilica è anche il simbolo di una
lacerazione mai ricomposta che il Paese si porta dietro, più o meno
consapevolmente, da quasi mezzo secolo: scavata nella roccia dai
prigionieri di guerra, contiene i resti delle vittime del conflitto,
33.833 si legge in una pagina web del Governo spagnolo, di cui 12.410
non identificati. Un immane, macabro ossario, ma non isolato. Sono
infatti centinaia le fosse comuni sparse nel Paese, molte delle quali
mai aperte.
La legge della «Memoria
histórica», approvata alla fine del dicembre 2007 dal Governo
Zapatero, ha cercato di rispondere a un popolo che vuole la
restituzione dei propri morti, chiede di riconoscerli e piangerli.
Un’esigenza sollecitata dalle tante associazioni costituite
soprattutto dalle giovani generazioni, spinte dall’urgenza di
conoscere la sorte dei loro nonni, familiari e dal bisogno di verità
e comprensione del processo di transizione, dopo il ’75, basato sul
patto dell’oblio.
José Álvarez Junco,
professore emerito di Storia del pensiero e dei movimenti sociali
all’Università Complutense di Madrid, spiega che in realtà non è
corretto definirlo patto dell’oblio come comunemente si fa: «Della
guerra, del franchismo, del disastro in cui tutto era culminato si
parlò apertamente, si cercò una formula di amnistia proposta dalla
sinistra. L’accordo riguardò piuttosto la non utilizzazione
politica della storia, si decise - per fare un esempio - di non
chiamare reciprocamente assassini il ministro franchista Manuel Fraga
che firmò la pena di morte di Julián Grimau nel ’63 (esponente
del Pce, ndr) e il segretario comunista Santiago Carrillo che avrebbe
potuto impedire la strage di Paracuellos compiuta dai repubblicani.
Si stabilì che era più importante per entrambe le parti andare
verso una Costituzione democratica, ma non ci fu né silenzio né
oblio in questa scelta. La destra non aveva un progetto né un
leader, si assicurò che non ci sarebbero state epurazioni nella
polizia, tra i militari e nella magistratura (motivo per cui abbiamo
una classe di giudici conservatrice e inefficace): a sinistra,
dinanzi a un regime franchista comunque ancora forte e strutturato e
al rischio di una nuova guerra civile, ottenne l'amnistia e le
elezioni democratiche». Sia il sito internet dell'Associazione per
il recupero della Memoria storica si apre con la foto dei firmatari
della Costituzione del ’78, sulla quale campeggia scritta
eloquente: «Perché i Padri della Costituzione hanno tonao mio nonno
nella fossa?».
Spiega ancora Junco: «Il
Governo non promuove le esumazioni, se c’è una iniziativa privata
l’appoggia con aiuti economici e giuridici. Lo ha stabilito la
legge che prevedi anche la rimozione dei simboli franchisti più
aggressivi e celebrativi, o la compensazione con simboli
repubblicani: vuol dire ne accanto a una croce o lapide o monumento
franchista ce ne deve essere un’altra repubblicana». Questo dà la
misura di quanto le ferite siano ancora aperte, e il tema della
Guerra civile e della dittatura resti in qualche modo irrisolto. «Per
me la legge è troppo moderata. Io ho fatto parte della prima
Commissione di stesura del provvedimento - prosegue Junco - che è
stata in discussione più di un anno. Si è dibattuto della Valle de
Los Caídos, a proposito di simboli celebrativi di Franco.
Personalmente penso che non dovrebbe essere rimosso, ma visitato con
consapevolezza: bisognerebbe spiegare che cos’è, cosa rappresenta,
con delle fotografie dei prigionieri che lo hanno costruito, e
accanto dovrebbe sorgere un centro sulle guerre civili. Insomma,
Auschwitz non è stato distrutto ma tutti sanno. Questo mio progetto
è stato messo da parte. La Guerra civile è un trauma per gli
spagnoli, ricorda loro il tempo in cui erano poveri, violenti, li fa
vergognare, mentre ora sono ricchi ed europei. I giovani non hanno il
peso di tutto questo su di sé, stanno cambiando le cose, vogliono
giustizia, sono più radicali».
Lo si capisce parlando
con José Antonio Millàn, 40 anni, lo sguardo fiero, che dal 2005
combatte la battaglia della memoria. È avvocato penalista e
presidente dell’associazione di Ciudad Real, capitale della Mancha,
200 chilometri a sud di Madrid. Uno zio del padre, Ramón,
sindacalista anarchico di 25 anni, dopo «il colpo di Stato dj Franco
del 18 luglio del ’36, perché ricordiamolo fu un colpo di Stato»,
fu arrestato con un centinaio di persone e fucilato il 6 ottobre del
’39, il suo corpo fu buttato in una fossa comune. Millàn è
riuscito a ricostruirne i movimenti - e identificarne il corpo, e da
allora è impegnato ad aiutare quanti «vogliono sapere, trovare i
loro cari e non sanno nemmeno da che parte cominciare. Le fosse,
questo è un dato governativo, sono oltre 2.050».
A Barcellona, [...] ha
appena presentato il suo ultimo libro Los besos en el pan
AlmudenaGrandes, scrittrice molto amata in Spagna (tradotta in Italia
da Guanda) e sensibile alle questioni politiche. Quando le chiediamo
una riflessione sull’evoluzione post bellica e sul tema della
memoria, fa un distinguo interessante, partendo da sé e da quelli
della sua generazione «del 1960, educati in un ambiente e con uno
spirito che non aveva più nulla del regime. Però credo che la crisi
che la democrazia spagnola sta vivendo sia legata alla transizione
democratica che ha reso la Spagna un Paese fragile: non ci fu una
rottura estesa ed efficace con la dittatura, le istituzioni
conservano molto di quell’epoca. C’è dunque all’origine un
problema sentimentale e morale, e il problema territoriale (della
Catalogna ndr) è la manifestazione di un Paese che non si riconosce
nei simboli nazionali spagnoli, perché non si è fatto un progetto
rotondo e la transizione è stata ambigua». Grandes, che ha scritto
diversi romanzi ispirati alla Guerra civile (pensiamo a Inés e
l’allegria o a Il ragazzo che leggeva Verne), non
risparmia le critiche a chi governa: «Non c’è una politica
pubblica della memoria. Il Governo Rajoy non ha cancellato la legge
ma non ha mosso un dito. Ricordiamoci che abbiamo 150 mila cadaveri
senza un nome, con 1000 famiglie che non possono recuperare i corpi.
C’è gente che pensa che sia una questione ideologica, e invece
questa è una vicenda di diritti umani. La memoria non ha a che
vedere con il passato ma con il presente e il futuro: è la nostra
grande questione pendente».
“Il Sole 24 Ore
domenica”, 15 novembre 2015
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