Ci sono argomenti e
luoghi, nella storia, che godono di una sovraesposizione: per il
medioevo Venezia e per il rinascimento Firenze, ad esempio. Altri,
invece, restano meno noti, e non perché poco interessanti. È il
caso di regioni come la Calabria e la Basilicata che, strette fra
Sicilia, Campania e Puglia, finiscono per esser considerate marginali
nel quadro storico; meno indagate dalla storiografia e soprattutto
ignorate dalla cultura condivisa.
A colmare questa lacuna,
almeno per alcuni secoli della nostra storia, arrivano Pietro Dalena
e il suo Calabria medievale. Ambiente e Istituzioni, secoli XI-XV
(Adda Editore, pp. 388, euro 20) che, come il titolo promette,
ripercorre la storia della regione nei secoli bassomedievali.
Per ciò che attiene alla
scelta della cronologia, vale quanto nota Franco Cardini nella
prefazione: «La regione appartiene appieno a quello scacchiere
bizantino (…) che in questo inizio di secondo millennio è la forza
trainante in un’Italia, per non parlare del resto d’Europa, che
ancora fatica a uscire da una condizione di ruralità, di economia in
lentissima ripresa rispetto ai secoli più difficili compresi tra V e
VIII. La Calabria è una terra ricca di risorse minerarie, di centri
relativamente popolosi, di coltivazioni pregiate come vigne e olivi,
di allevamento abbondante. È indubbio che, di fronte a questa
situazione preesistente, la conquista normanna, con i saccheggi
prima, con l’istituzione di un ordine feudale poi, abbia
rappresentato un forte elemento di discontinuità se non addirittura
di rottura. Ci si potrebbe chiedere se la ’storia spezzata’, la
cesura tra tardoantico e medioevo risieda, per la Calabria,
soprattutto quella centro meridionale (rimasta estranea agli influssi
longobardi), proprio in quest’epoca».
Eppure, la storia della
regione sembra seguire sostanzialmente quella del resto della
penisola e dell’Europa all’inizio del secondo millennio, quando
si palesano con evidenza i segni della ripresa; sebbene, come ormai
appare chiaro, il «risveglio dell’Anno Mille» altro non era se
non l’emergenza di un graduale processo che si ebbe a partire
dall’VIII-IX secolo, quando da molte parti dell’Europa giungono
prove di un incremento demografico; il miglioramento climatico
attestato da quel momento può aver agito sulla società,
contribuendo alla crescita demografica, in due modi: anzitutto grazie
ai raccolti più abbondanti e alla fine delle carestie causate dal
maltempo; e poi anche a causa della diminuzione delle malattie
caratteristiche del clima freddo, che colpiscono soprattutto i
bambini. L’intiepidirsi dell’aria e il miglioramento qualitativo
e quantitativo del vitto non solo posero un argine alla mortalità
infantile (del resto molto forte in tutta l’età preindustriale),
ma alzarono in genere il livello della vita media. Oltre a ciò, le
meno dure condizioni di vita dovettero incoraggiare le famiglie a
diventare più numerose.
Non sono dettagli
insignificanti: il libro di Dalena si apre infatti con un’ampia
analisi del paesaggio, delle risorse, delle catastrofi naturali della
Calabria nei secoli presi in esame. Soltanto dopo tale doverosa
premessa si passa ai quadri istituzionali: ed è, difatti, questo il
primo punto di forza del libro: saper tracciare un quadro di storia
à part entière, dalla quale si evince come le istituzioni non
possano prescindere dalla realtà profonda di un territorio; che nel
caso della Calabria è certamente una realtà aspra, difficile, dove
la natura è bella ma anche impietosa; al punto che, negli anni
terribili della Peste Nera di metà Trecento, la regione fu
martoriata anche dal terremoto del 1349, come nota Dalena.
A quel punto però la
regione viveva già in uno stato di crisi differente, meno passeggera
da quello di altri territori d’Europa; il governo angioino,
infatti, con le sue politiche fiscali, aveva spopolato le campagne e
distrutto l’economia. Non sembra che il successivo, decisamente
migliore governo aragonese abbia potuto fare più di tanto,
nonostante l’autore ne registri le positive strategie
amministrative.
Con il governo aragonese
il libro esaurisce il suo compito e si ferma. Compito che peraltro
assolve pienamente; perché il secondo merito di Calabria
medievale non sta nel fatto di essere un unicum: come già
detto, l’area ha registrato un interesse moderato nella
storiografia, ma una tradizione in materia esiste, e di essa lo
stesso Dalena dà conto già in apertura; ma qui per la prima volta
siamo dinanzi a un quadro di sintesi che, attraverso il rinnovamento
del metodo di indagine (con il ricorso alla climatologia storica e
alla storia ambientale), diviene fruibile anche per un pubblico di
non specialisti.
“il manifesto”, 25
luglio 2015
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