La
Conferenza di Monaco è passata alla storia come emblema della
debolezza e del cedimento di Francia e Inghilterra di fronte
all'espansionismo di Hitler e del suo Reich. In quella occasione
l'Italia di Mussolini sembra ormai pienamente allineata con la
Germania, senza più le velleità arbitrali del tempo del primo
tentativo di annessione dell'Austria. L'attacco all'Etiopia aveva già
creato una grave frattura dell'Italia fascista con Francia e
Inghilterra, mentre il sostegno congiunto al colpo di Stato di Franco
e al suo esercito reazionario nella guerra civile creava tra Hitler e
Mussolini un rapporto sempre più stretto. La Conferenza si svolse
tra il 28 e il 29 settembre 1938; tra il 29 e il 30 è redatto questo
breve resoconto di Ciano, genero del Duce e ministro degli Esteri,
pieno di notazioni curiose, che io ho recuperato da “Repubblica”.
(S.L.L.)
Monaco 29 settembre 1939 . In prima fila Chamberlain, Daladier, Hitler, Mussolini, Ciano |
29-30
SETTEMBRE
In
viaggio il Duce è molto di buon umore. Pranziamo insieme e parla con
grande vivacità di ogni argomento. Critica duramente la Gran
Bretagna e la sua politica. “Quando in un paese si adorano le
bestie al punto di far per loro cimiteri, ospedali, case; quando si
fanno dei lasciti ai pappagalli è segno che la decadenza è in atto.
Del resto, oltre le tante ragioni, ciò dipende anche dalla
composizione del popolo inglese. 4 milioni di donne in più. Quattro
milioni di insoddisfatte sessualmente, che creano artificialmente una
quantità di problemi per eccitare o placare i loro sensi. Non
potendo abbracciare un uomo solo, abbracciano l'umanità”.
A
Kufstein, incontro col Fuhrer. Saliamo nel suo vagone ove, spiegate
su di un tavolo, sono tutte le carte geografiche dei Sudeti e delle
fortificazioni occidentali. Egli illustra la situazione: intende
liquidare la Cecoslovacchia, quale ora è, poiché gli immobilizza 40
divisioni e gli lega le mani nei confronti della Francia. Quando la
Cecoslovacchia, sarà, come conviene, deflazionata, basteranno dodici
divisioni per immobilizzarla. Il Duce lo ascolta con raccoglimento.
Ormai il programma è preciso: o la Conferenza riesce in breve tempo,
o la soluzione avrà luogo con le armi. D'altronde, aggiunge il
Fuhrer, verrà una volta in cui uniti dovremo batterci contro Francia
e Inghilterra: tanto vale che ciò avvenga finché alla testa dei
nostri Paesi siamo il Duce ed io, e ancor giovani e pieni di vigore.
Ma tutto ciò sembra superato dall'atmosfera che in realtà si è
creata: atmosfera di accordo. Anche il popolo che saluta lungo la
ferrovia, lascia comprendere la sua gioia per l'evento che è
nell'aria. Dopo breve sosta al palazzo in cui il Duce ed io
risiediamo, andiamo alla Fuhrerhaus, ove avrà luogo la riunione. Gli
altri sono già arrivati e sono raccolti intorno ad un tavolo, sul
quale sono preparati antipasti e bibite. Il Fuhrer ci viene incontro
a mezza scala e, con tutto il suo seguito, riserva a noi, italiani,
un trattamento di marcata distinzione rispetto agli altri. Brevi,
fredde strette di mano con Daladier e Chamberlain, poi il Duce, solo,
si avvia in un angolo della sala ove i gerarchi nazisti lo
circondano. C'è un vago senso di impaccio, particolarmente da parte
dei francesi. Parlo con Daladier, poi con Francois Poncet, di piccole
frivole cose. Poi con Chamberlain che mi chiede di farlo parlare col
Duce. Lo ringrazia per quanto ha fatto sinora. Ma il Duce, freddo,
non approfitta dell'apertura e il colloquio si smorza...
La
discussione si svolge regolarmente e senza troppa animazione.
Chamberlain si attarda piuttosto su questioni legali, Daladier
difende con poca convinzione la causa dei cechi, il Duce preferisce
tacere e riassumere, tirando le conclusioni, alla fine delle altrui
dissertazioni. Sospendiamo per la colazione che ha luogo nella casa
privata del Fuhrer: modesto appartamento, in un palazzo pieno di
altri inquilini. Dentro, però, molti quadri di grande pregio. La
riunione continua nel pomeriggio e, praticamente, si frammenta in
tanti gruppetti che ricercano le formule. Ciò permette di parlare
con maggiore confidenza e si rompe il ghiaccio. Daladier,
soprattutto, è loquace nella conversazione personale. Dice che
quanto oggi avviene è unicamente dovuto alla cocciutaggine di Benes.
In questi ultimi mesi, molte volte gli aveva suggerito di dare l'
autonomia ai Sudeti. Ciò avrebbe perlomeno ritardato la crisi
odierna. Se la prende con i guerrafondai di Francia, i quali
avrebbero preteso di spingere il Paese in una guerra assurda e
soprattutto impossibile, poiché Francia e Inghilterra non avrebbero
mai potuto far niente di veramente utile per la Cecoslovacchia, una
volta che questa fosse stata attaccata dalle truppe del Reich. Il
Duce, un po' annoiato dall' atmosfera vagamente parlamentaristica,
che sempre si crea nelle conferenze, s'aggira per la stanza, con le
mani in tasca e un po' distratto. Di tanto in tanto, aiuta nella
ricerca di una formula. Nel suo grande spirito, sempre all'
avanguardia degli eventi e degli uomini, l' accordo è ormai
scontato, e, mentre gli altri ancora si affannano in problemi più o
meno formali, a lui quasi non interessa più. È già oltre e medita
altre cose... Intanto hanno luogo i colloqui a due. Si accenna anche
alla possibilità di un ritardo nella partenza del Duce per
permettere un suo incontro con Chamberlain. Ma l'idea è dal Duce
scartata poiché pensa che ciò potrebbe urtare la suscettibilità
tedesca. Parlo io con Chamberlain e poi il Duce. Più o meno gli
diciamo le stesse cose: disinteresse nei confronti della Spagna,
prossimo ritiro di 10.000 volontari, buona volontà di mettere presto
in vigore il nostro patto del 16 aprile. Chamberlain accenna alla
possibilità di una Conferenza a 4 per risolvere il problema
spagnolo. Infine, alla 1 del mattino, il documento è completato.
Tutti sono soddisfatti, persino i francesi; persino i cechi, secondo
quanto mi dice Daladier. Francois Poncet, collazionando il documento,
ha un momento di rossore ed esclama: “Voilà comme la
France traite les seuls alliés qui lui étaient restés fideles”.
Firma, strette di mano, partenza.
In
Italia, dal Brennero a Roma, dal Re ai contadini, il Duce riceve
accoglienze quali io non avevo mai visto. Egli stesso mi dice che un
eguale calore vi fu soltanto la sera della proclamazione dell'Impero.
Ribbentrop mi ha consegnato un progetto di alleanza tripartita
Italia, Germania, Giappone. Dice che è la cosa più grande del
mondo. Sempre iperbolico, Ribbentrop. Credo che lo studieremo con
molta calma, e forse, l' accantoneremo per qualche tempo.
“la
Repubblica”, 4 agosto 1989
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