Riprendo del “domenicale”
del Sole, un ampio stralcio da un articolo rievocativo dello storico
Emilio Gentile. (S.L.L.)
«Dio mio, quanto è duro
morire», disse il generalissimo Francisco Franco, capo dello Stato
spagnolo, poche settimane prima della morte, avvenuta il 20 novembre
1975. Avrebbe compiuto 83 anni il 4 dicembre. L’agonia fu lunga. Il
suo corpo senza coscienza fu tenuto in vita da macchine. Era un
espediente per preparare la successione all’uomo che aveva
governato la Spagna con un regime autoritario per quasi quaranta
anni, dopo aver vinto nel 1939 una feroce guerra civile, da lui
stesso iniziata nel 1936 con altri generali contro il legittimo
governo della repubblica instaurata nel 1931. Dagl’insorti Franco
era stato proclamato capo dello Stato con pieni poteri: e tale
rimase, con l’appellativo di «Caudillo (duce) per grazia di Dio»,
fino al giorno della morte.
La mattina del 20
novembre, alla televisione, il presidente del governo piangendo lesse
il testamento di Franco al popolo spagnolo. Il Caudillo dichiarava di
essere pronto a comparire davanti all’«inappellabile giudizio di
Dio», morendo come era vissuto da «figlio fedele della Chiesa». A
tutti chiedeva perdono, come perdonava «quanti si erano dichiarati
suoi nemici, pur non avendoli mai considerati tali», perché «non
ho avuto altri nemici se non i nemici della Spagna»; ma avvertì gli
spagnoli che «i nemici della Spagna e della civiltà cristiana sono
sempre all’erta», e li esortò «a mantenere unita la terra di
Spagna, esaltando la ricca molteplicità delle sue regioni come fonte
di forza per l’unità della patria».
L’identificazione della
sua persona col destino della Spagna, la guerra contro i suoi
oppositori politici come nemici della nazione e della civiltà
cristiana, l’inflessibile salvaguardia dell’unità statale contro
il separatismo di baschi, catalani o galiziani: erano questi gli
argomenti con i quali Franco impose il suo potere personale,
paragonabile nella storia della Spagna solo alla monarchia assoluta
di Filippo.
Intellettualmente
mediocre ma molto ambizioso, astuto, opportunista, Franco si
considerò sempre inviato da Dio per salvare la Spagna dal comunismo
e dalla democrazia laica. Combattè la guerra civile come una
crociata contro i nemici della nazione e della religione. La Chiesa
fu un pilastro fondamentale del regime franchista e partecipò alla
glorificazione del Caudillo come uomo della Provvidenza; in cambio,
ottenne da Franco il controllo sull’istruzione e sulla moralità
degli spagnoli. Il nazionalcattolicesimo reazionario fu l’ideologia
del franchismo.
Franco aveva vinto la
guerra civile con l’aiuto di Mussolini e di Hitler. Li univano
l’odio per il comunismo, il disprezzo per la democrazia, la
repressione terroristica delle opposizioni. Dopo la vittoria, furono
migliaia le esecuzioni capitali inflitte ai difensori della
repubblica, e oltre 250 mila gli antifranchisti detenuti in carcere e
in campo di concentramento. [...]
Pur aspirando a conquiste imperiali, il Caudillo non partecipò alla
Seconda guerra mondiale a fianco di Mussolini e Hitler: evitò così
d’esser essere travolto nella loro fine. La vittoria delle potenze
antifasciste condannò la Spagna all’isolamento, ma Franco, dopo
aver ripudiato il fascismo e cancellato “totalitario” dalla
definizione del suo regime, approfittò abilmente della Guerra Fredda
per offrirsi agli Stati Uniti come alleato contro il comunismo: nel
1953, gli accordi militari con gli americani e il Concordato con la
Santa Sede posero fine all’ostracismo internazionale; nel 1955 la
Spagna fu ammessa all’Onu. Pio XII conferì a Franco «nostro
diletto figlio» il Supremo ordine di Cristo, la più alta
onorificenza vaticana. Nel 1959 il Caudillo accolse a Madrid il
presidente Eisenhower.
La fine dell’isolamento
favorì in Spagna, fra il 1957 e il 1970, uno straordinario sviluppo
economico. Dopo un ventennio di corporativismo autarchico, che aveva
aggravato la povertà del Paese arretrato e sconvolto dalla guerra
civile, il Caudillo accettò le riforme proposte danuovi tecnocrati,
che realizzarono l’industrializzazione con un miglioramento delle
condizioni di vita. Franco, che voleva per gli spagnoli prosperità
senza libertà, attribuì il “miracolo economico” alla
Provvidenza che lo manteneva a capo della Spagna, e continuò a
imporre il centralismo autoritario e il cattolicesimo
tradizionalista, denunciando continuamente un complotto intemazionale
di comunisti, democratici e massoni per scatenare una nuova guerra
civile. Invece, il “miracolo economico” provocò profondi
mutamenti sociali e la nascita di una società civile ribelle al
franchismo. Studenti universitari e lavoratori si mobilitarono con
agitazioni e scioperi, repressi con violenza. Anche la Chiesa del
Concilio Vaticano II prese le distanze dal Caudillo e protestò
contro la repressione. Al terrorismo di Stato, i nazionalisti baschi
reagirono con il terrorismo dell’Eta, che nel dicembre 1973 uccise
il presidente del governo Carrero Bianco, dimostrando che il regime
era vulnerabile.
Quando iniziò l’agonia
di Franco, l’invecchiamento e la decadenza mentale del Caudillo, le
rivalità fra gli aspiranti alla successione e la fine del “miracolo
economico” avevano già messo in crisi il regime, mentre le
proteste internazionali per la pena capitale inflitta agli oppositori
politici lo ricacciarono nell’isolamento. Tuttavia, mai Franco
accettò di aprire alla democrazia, perché la odiava come il
comunismo. Nel 1969 ave va nominato a succedergli Juan Carlos di
Borbone, designato re con l’impegno di mantenere il regime
autoritario. Invece, morto Franco, il re favorì la transizione alla
democrazia. Dopo quaranta anni, il regime franchista fu smantellato
pacificamente in due anni. Fu un nuovo “miracolo” nella Spagna
contemporanea.
“Il Sole 24 Ore
domenica”, 15 novembre 2015
Nessun commento:
Posta un commento