Bene la produzione,
ancor meglio l’occupazione, benissimo l’export. C’è un settore
in Italia che traina, ed è quello più nascosto. Più basso, come la
terra: l’agricoltura, che nel primo trimestre del 2015, ha
collezionato numeri da sballo. E poteva andare anche meglio, senza
ostacoli climatici (le alluvioni) e politici (le sanzioni alla
Russia), dice la Coldiretti. Ma anche così, in un inizio anno in cui
ci si entusiasma per incrementi di zero-virgola-qualcosa,
l’agricoltura vanta cifre tonde e piene.
Annunciata con grancassa
dai più interessati degli ottimisti, la ripresa italiana finora
documentata è chiusa in un decimale risicatissimo: più 0,1 per
cento, per il primo trimestre del 2015. Ma per il settore agricolo il
ritmo è doppio: il prodotto interno lordo dell’agricoltura,
secondo i conti economici trimestrali dell’Istat, ha segnato
infatti un incremento tendenziale – cioè, misurato sullo stesso
periodo dello scorso anno – dello 0,2 per cento. Rispetto al
trimestre precedente, il balzo in avanti è del 6 per cento: negli
stessi mesi l’industria cresceva, rispetto al trimestre precedente,
solo dello 0,6 per cento, mentre i servizi restavano fermi.
All’aumento del
prodotto è corrisposto un aumento delle braccia. Dei 133mila
occupati in più del primo trimestre del 2015, 45mila sono
nell’agricoltura. E poiché il settore è molto piccolo rispetto a
industria e terziario, in termini percentuali l’aumento spicca
decisamente: rapportati al primo trimestre dello scorso anno, gli
occupati in agricoltura sono il 6,2 per cento in più, contro un
aumento complessivo dello 0,6 per cento. L’aumento di occupazione,
così come quello della produzione, riguarda nord e Mezzogiorno,
mentre il centro soffre di un calo di entrambi.
La terza voce è quella
che, in gran parte, spiega le prime due: le esportazioni. Che, nel
primo trimestre dell’anno, registrano un aumento del 7,8 per cento
per il settore agricolo – che, sommato a quello del 5,8 per cento
dei prodotti dell’industria alimentare, porta a un più 6,2 per
cento dell’agroalimentare nel suo complesso: il doppio
dell’incremento dell’export totale dell’Italia verso l’estero.
“Poteva andare anche
meglio, se non ci fosse stata la chiusura del mercato russo e
l’impatto di eventi climatici negativi, in particolare forti piogge
e alluvioni”. Lorenzo Bazzana, della Coldiretti, sostiene che i
buoni dati del primo trimestre potrebbero essere addirittura
sottodimensionati.
Da tempo la sua
organizzazione, e le altre del settore, battono sul tasto dolente
delle sanzioni che bloccano le esportazioni in Russia e rendono più
forte la concorrenza sui mercati europei. In più, ci sono le crisi
del Mediterraneo, che hanno prosciugato i mercati di paesi nei quali
l’export agricolo italiano era abbastanza forte.
Ma poi c’è il resto
del mondo, e quella svalutazione dell’euro piovuta come una manna
dal cielo. L’export agricolo italiano, spiega Bazzana, cresce in
tutti i paesi fuori dell’Ue (fatta eccezione, appunto, per Russia e
paesi del nord mediterraneo). Se si guarda a tutto l’agroalimentare,
nel 2014 sono stati superati i 34,5 miliardi di esportazioni (più 2
per cento sul 2013) e ormai sono in molti a credere che si possano
raggiungere entro breve i 50 miliardi di export.
È vero che l’euro
debole riguarda tutti i settori, ma a quanto si vede l’agricoltura
se ne avvantaggia di più, le mele vanno meglio delle auto. Come mai?
“Be’, l’agricoltura non si può delocalizzare, la terra sta
qua”. E sulla terra devono stare anche quelli che la lavorano.
Così, il settore ha risentito di meno dei lunghi anni della crisi, e
la sua reazione alla ripresa internazionale e alle condizioni
favorevoli esterne è stata più immediata, e sensibile. Se la
ripresa economica italiana è trascinata soprattutto dalle
esportazioni, tutto il settore agricolo è il primo dei convogli
trainati, meglio piazzato di tutti gli altri.
Lavoro ad alta
intensità
L’aumento
dell’occupazione è arrivato prima di quello della produzione, ed è
stato anche più forte: più 6,2 per cento. Il nord se ne è preso la
fetta maggiore (più 16,1 per cento), il Mezzogiorno ha visto un
incremento del 4,4 per cento, mentre il centro ha perso l’11,5 per
cento degli occupati agricoli. È ancora presto per dire chi sono i
nuovi occupati e che contratti hanno, ma è molto probabile che il
Jobs act non c’entri molto. L’aumento, dice l’Istat, ha
riguardato sia gli autonomi sia i dipendenti. Tra questi ultimi, i
dati del 2014 dicono che i rapporti di lavoro a tempo indeterminato
sono solo il 15 per cento del totale: tutto il resto è fatto di
contratti a tempo determinato.
Operai agricoli a
tempo indeterminato
Area 2012 2013 2014
Nord 58,944 96,079 93,910
Centro 21,820 33,458 32,527
Sud 23,761 38,855 36,211
Isole 10,870 16,954 16,441
Italia 115,395 185,346 179,089
Fonte: Istat
Quanto alla provenienza
della manodopera, ultime stime disponibili vedono una presenza del
lavoro degli stranieri, comunitari ed extracomunitari, attorno al 36
per cento.
Va detto che per
l’agricoltura gli incentivi alle assunzioni sono arrivati anche
prima della legge di stabilità, con il decreto della scorsa estate
chiamato “campolibero”, che ha legato gli sgravi anche ai
contratti a tempo determinato (purché di durata minima di tre anni).
Ma, secondo gli esperti della Coldiretti, è ancora presto per vedere
gli effetti di queste novità, così come quelli degli incentivi del
Jobs act.
Più evidente, per ora,
pare il mix di due ingredienti: l’export che tira, da una parte,
trascinando con sé un settore ad alta intensità di lavoro,
soprattutto immigrato; e una nuova attrazione per il lavoro agricolo
dall’altra. Il ritorno dei giovani nel settore non è più una
novità: ma la ripresa potrebbe favorire una maggiore stabilità
delle loro avventure. Mentre rimane, come sempre, la scelta di
settore-rifugio, per chi ha perso il lavoro, o è in cassa
integrazione o deve arrotondare le entrate di un insufficiente lavoro
part time.
Da “Internazionale”,
10 luglio 2015
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