Ripresa da una accademica rivista portoghese, “Revista de Estudos
Literários” n. 3 /2013, ho trovato nel sito “La letteratura e
noi”, diretto da Romano Luperini, una bella intervista curata da
Alberto Simoncini a Remo Cesarani, italianista e comparatista, autore
con Lidia De Federicis di un testo scolastico che fece scalpore negli
anni 70 e 80 del secolo scorso, Il materiale e l'immaginario. Ne
ho ripreso ampi stralci che qui ripropongo senza le domande con
sottotitoli da me scelti per facilitare la lettura. (S.L.L.)
Letteratura e
scienze forti
È in atto da anni una
tendenza, in molti paesi e anche in Italia, a trascurare
nell’educazione scolastica gli insegnamenti delle cosiddette
materie letterarie (la cura della lingua, la ricchezza e le sfumature
del linguaggio parlato e scritto, lo spessore della storia), così
come di quelli delle scienze forti (la matematica, le scienze
naturali, i metodi della ricerca), e a dedicarsi molto di più alle
conoscenze pratiche e strumentali o ad apprendimenti molto
superficiali.
Spesso si contrappongono,
nelle discussioni fra pedagogisti e insegnanti, scienze umane e
scienze naturali. In realtà le scienze naturali sono spesso
trascurate al pari delle scienze umane. Io che mi occupo di
letteratura, sono pronto a sostenere con forza la necessità di un
forte incremento delle conoscenze scientifiche (fisica, biologia,
studio delle piante e degli animali). Non va dimenticato che molti
scienziati e filosofi sono stati grandi scrittori, da Galileo a
Darwin, da Schopenhauer a Leopardi, da Nietzsche a Freud. Lo sapeva
benissimo Calvino. E sono pronto a sostenere la grande importanza,
nella formazione sia individuale sia collettiva, delle varie forme
dell’immaginario (quindi anche dell’immaginario letterario) per
affrontare la vita sempre più complessa delle nostre società. In un
libro recente, intitolato Convergenze (Milano, Bruno
Mondadori), ho portato molte testimonianze del grande interesse, da
parte di molti scienziati (dai matematici ai fisici ai biologi ai
neuroscienziati) per alcune delle caratteristiche forti dei linguaggi
dell’immaginario: le formazioni metaforiche, il gusto per la
narrazione.
I burocrati del
linguaggio
C’è un progressivo
indebolimento degli insegnamenti letterari e una forte demotivazione
degli insegnanti, loro stessi ormai, salvo eccezioni, molto più
abituati a nutrirsi di programmi televisivi che dediti in proprio
alla lettura. E tuttavia si trascina una presenza burocratica
dell’insegnamento letterario, che fatto senza passione e di routine
può solo ingenerare noia e insofferenza. È vero d’altra parte
che, soprattutto nei cicli della scuola elementare e media inferiore,
se gli insegnanti sono bravi e hanno un vero senso della lingua e del
ritmo della poesia, delle capacità metaforiche e inventive del
linguaggio, della precisione e chiarezza di un discorso ben
strutturato, possono trovare un riscontro entusiasmante negli alunni,
i quali amano istintivamente giocare sia con le immagini sia con le
parole e hanno un gusto nativo per la narrazione. Non so quanti
maestri e maestre elementari oggi operanti hanno mantenuto viva
l’eredità di Gianni Rodari, Ersilia Zamponi o Roberto Piumini, ma
mi dicono che la qualità delle scuole elementari italiane rimane
alta. So per esempio di gruppi di insegnanti californiani che vengono
regolarmente in Italia per studiare i metodi di insegnamento di
alcune nostre scuole emiliane di avanguardia, soprattutto materna ed
elementari. Il tracollo, a parte le eccezioni, nella qualità
dell’insegnamento linguistico e generalmente culturale, è avvenuto
soprattutto nella scuola media inferiore: errori di impostazione e
organizzazione da parte delle istituzioni, programmi e strumenti di
lavoro insufficienti, insegnati mal pagati, non sempre preparati,
spesso demotivati, nessun controllo della qualità del loro lavoro.
Antologie e manuali
Io ho allestito a suo
tempo, insieme con la compianta Lidia De Federicis, un’antologia,
Il materiale e l’immaginario (Torino, Loescher) che ha
proposto un modo nuovo di affrontare l’insegnamento della
letteratura, mettendola in rapporto con le altre forme del sapere
(dalla vita materiale a quella delle idee), allargando la scelta dei
testi ben oltre i confini nazionali e affiancando ai grandi testi
classici altri testi, per varie ragioni interessanti. Abbiamo anche
cercato, il più possibile, di opporci alla tradizione scolastica
italiana dell’antologia (la scelta dei brani famosi, il fior da
fiore), proponendo per ogni anno almeno la lettura di due o tre testi
completi (a questo scopo davamo tutta una serie di strumenti di
supporto critico della lettura) e spesso accompagnando le letture con
richiami all’integrità del testo, con proposte di allargamento e
confronto con altri testi. Il progetto, nato in anni di grandi
speranze culturali (vere e proprie utopie), ha avuto per un certo
numero di anni uno straordinario successo, presso una classe di
insegnanti motivati ma anche di studenti curiosi (ne incontro ancora
adesso molti, che mi dicono di aver trovato in quel libro grandi
stimoli per la loro formazione). Poi gradualmente sono tornati i
vecchi manuali, le vecchie antologie, ma anche qualche buon libro che
ha cercato di raccogliere il nostro esempio, pur molto spesso
rinunciando ad alcune delle caratteristiche più innovative del
modello, per ragioni di praticità. Ora la situazione mi pare che sia
in una fase di stanca. Nel frattempo le nuove tecnologie e la
possibilità di scaricare i testi dalla rete pongono problemi nuovi e
anche nuove potenzialità, che, se fossero sfruttate con
intelligenza, permetterebbero di fare delle esperienze molto
positive.
Il liceo classico
Il liceo classico, e
anche quello scientifico, così come furono impostati da Giovanni
Gentile aveva molti difetti e svolgeva, almeno in parte, una funzione
di selezione classista, ma era una scuola molto organica con grandi
capacità formative. Mi è capitato, qualche anno fa, di passare una
serata insieme con il grande pedagogista americano Jerome Bruner, il
quale a un certo punto, rivolto a me e agli altri ospiti, ha detto:
«Siete pazzi, voi italiani! Avete una scuola straordinaria come il
vostro liceo e la state smantellando». Forse smantellarla è ormai
inevitabile, ma bisognerebbe essere capaci di sostituirla con una più
moderna, più adatta ai tempi e ai giovani di oggi, ma almeno
altrettanto organica ed efficiente. Quanto alla selezione classista,
non posso non pensare a quanti giovani capaci e di origini abbastanza
umili, specie nell’Italia meridionale, hanno raggiunto un livello
culturale e sociale molto elevato, passando attraverso le forche
caudine del liceo.
La letteratura
all'Università
Il quadro (per
l'Università) certamente non è confortante, soprattutto nelle
facoltà di lettere e nei corsi di letteratura italiana; meglio, in
molti casi, l’impostazione dei corsi di letterature straniere e in
quelli di teoria della letteratura e letterature comparate. La
filologia ha grandi meriti e gli insegnamenti di tipo filologico sono
stati spesso veicolo di innovazione (basta pensare al ruolo svolto da
filologi come Contini, Caretti, Segre, Corti, Avalle, Folena, spesso
all’avanguardia nel promuovere metodi critici moderni, spesso
ottimi critici loro stessi). Lo slogan programmatico di Caretti:
«Filologia e critica» dovrebbe essere scritto sulle porte di
entrata di tutti i dipartimenti di studi letterari. Purtroppo quello
che si è verificato negli ultimi due decenni è stata una
separazione proprio dei due termini «filologia» e «critica» e
spesso l’attività filologica, chiusa in se stessa, è stata una
specie di rifugio, un bunker per cercare di reagire alla crisi della
critica.
Il Novecento
Non voglio entrare qui
nei problemi posti da questo secolo storicamente controverso o nei
dibattiti fra chi parla di secolo breve e chi sostiene che in realtà
a metà del suo percorso si è verificata una svolta epocale, fra
quelle che Zygmund Bauman chiama la modernità solida e la modernità
liquida. Mi preme dire che bene o male quel secolo o quei due
spezzoni di secolo hanno prodotto in Italia testi letterari di grande
spessore, che sono riusciti a conquistare un loro spazio nella
considerazione degli altri paesi (così come è avvenuto per gli
artisti, gli architetti, gli uomini di teatro, i registi
cinematografici, i musicisti). Bastano i nomi, in letteratura, di
Pirandello, Svevo, Gadda, Morante, Levi, Calvino (e parecchi altri se
ne potrebbero aggiungere) per dimostrare che la partecipazione della
cultura italiana nel concerto internazionale è stata di grande
rilievo, forse pari a quella dei primi secoli.
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