Dall’altezza dei suoi
40 metri, posta sull’incongruo confine tra i resti della Roma
imperiale, la Roma barocca e quella autostradale, la Colonna Traiana,
inaugurata dallo stesso imperatore il 12 maggio dell’anno 113 dopo
Cristo, sfida con la sua selva di figure il più volenteroso e dotto
degli osservatori. Di cosa parla si sa (le due guerre daciche
condotte vittoriosamente da Traiano nel 101-102 e poi nel 105-106
contro il re barbaro Decebalo e i suoi alleati), ma a chi e come
parla è un’altra questione. Ventitré spire di marmo affollate di
legionari e barbari, di armi e bagagli, di foreste e fortezze, che si
perdono quasi letteralmente tra le nuvole, dovevano costituire un
arduo groviglio e un’improba fatica persino per un testimone
oculare dei fatti. Nonostante il cortile, e forse le terrazze, che
racchiudevano il monumento, nonostante le meraviglie e l'eloquenza
delle architetture perdute che accompagnavano il visitatore fino alla
colonna: il portale, il foro.i porticati, le statue, la basilica, le
biblioteche, il tempio.
Una magniloquente
assurdità come l’immenso arnese patriottico che le sta giusto di
fianco? Un ennesimo segno dell’autistica separatezza del potere?
Eppure chi si fosse avventurato sui ponteggi che per diversi anni
hanno circondato la colonna, di fronte alla potente suggestione delle
figure, alla vivida rappresentazione del dramma degli sconfitti,
sarebbe stato piuttosto condotto a pensare con Ranuccio Bianchi
Bandinelli, che lassù, lontano dagli occhi dei mortali e vicino al
cielo delle idee, un grande maestro aveva lavorato soprattutto per se
stesso e che in quella invisibile bellezza avesse preso forma la sua
autonomia di creatore.
Tuttavia, lungo la
spirale di marmo non procedono solo le invenzioni dell’arte, ma
anche gli episodi di una storia, una «narrazione continua»,
coerente, concatenata, leggibile come un libro illustrato e come ogni
libro guidata da scelte e concetti, da un «taglio» e da una
ideologia. Se di «libro» si tratta, eretto tra due biblioteche a
celebrare insieme con la virtus militare di Traiano la sua
sapientia, è certo tra i più scomodi e ardui che si possano
immaginare.
Di libro ce ne viene
offerto ora un altro che si può invece comodamente appoggiare sulla
scrivania. La lunga e impervia spirale narrativa si distende qui in
288 magnifiche fotografie di Eugenio Monti, accompagnate ciascuna da
una didascalia, nella stessa sequenza spaziale e narrativa della
colonna. Ma l’intento non è solo quello di trasporre sulla carta
la narrazione marmorea pur tanto importante per completare una molto
lacunosa tradizione letteraria. E' proprio il libro-colonna, i suoi
intenti, le sue regole, il suo linguaggio, che il libro cartaceo
intende decifrare.
Qui il lettore, passando
dalla colonna al libro, si imbatte in nuove difficoltà. Allo
sconcerto per la sarabanda di figurine sospese a mezz’aria può
subentrare quello per le frecce e gli schemi, le frequenze e le
sequenze, l’econometria dei gesti e delle situazioni, dei rimandi e
dei ricorsi attraverso cui Salvatore Settis analizza il linguaggio
del monumento e le strategie di lettura che esso suggeriva ai suoi
contemporanei. In queste strategie di lettura (previste dall’autore
e dal committente del testo) non sta solo, ovviamente, la
riconoscibilità dei fatti, l’aspetto, per così dire,
«cronachistico», ma anche l’insieme di valori che questi «fatti»
erano chiamati ad incarnare. Non solo le gesta di Traiano, ma anche
quello che queste gesta dovevano significare per il presente e per il
futuro, poiché è in questa forma e per questa forma che esse si
avvitano intorno al monumento-sepolcro dell’imperatore.
I «fatti», la vicenda
delle guerre daciche, e i valori di cui la politica traianea voleva
farsi portatrice, si congiungono nel fregio marmoreo — spiega
Settis — nella forma dell’exemplum e la somma degli
exempla dà come risultato l’optimus imperator la cui
gigantesca effigie (quella di Traiano stesso) sormontava i quaranta
metri della colonna destinata, senza dichiararlo troppo
esplicitamente, ad accogliere, per prevista volontà del senato, le
sue spoglie mortali.
Questi valori, il
programma politico di Traiano, si ricavano beninteso da diverse fonti
letterarie contemporanee o contigue a cui il fregio della colonna può
fornire integrazioni e conferme. Ma nel loro apparire attraverso la
sintassi del fregio narrativo essi ne spiegano la possibilità e il
senso di lettura, che la semplice cronaca per immagini della guerra
non bastava a rivelare e giustificare. Lungo il filo dell'optimus
imperator, il cittadino romano poteva leggere verticalmente, su
un solo lato della colonna, per quadri presi qua e là, in un
segmento circoscritto, un riassunto della già nota vicenda fattuale
e, soprattutto, per exempla, il suo intero senso etico e
politico. Gli esempi, «figure alla mano», sono numerosi e
convincenti.
Tuttavia questo difficile
sforzo interpretativo e la faticosa scomposizione degli elementi che
formano il linguaggio della colonna non si giustificherebbero con il
solo scopo di dimostrare che quel monumento non era una pura
assurdità illeggibile, un pomposo vaniloquio e nemmeno il frutto
narcisistico di un aereo genio. In altre parole, dove sta per noi il
valore conoscitivo di questa lettura, la prospettiva che apre nella
storia delle immagini e nella storia in generale?
Una risposta la si può
trovare in un altro saggio di Settis del 1982, “Inegualianze”
e continuità: un'immagine dell'arte romana,
che accompagnava la traduzione italiana dell'Introduzione
all'arte romana di Otto J.
Brendel (einaudi). Brendel distingueva, diversamente per esempio da
Bianchi Bandinelli, l'arte romana «privata» da quella «pubblica»
soprattutto in base alla loro diversa funzione. Nel secondo caso
l’intenzione del committente veniva prima della lingua in cui il
messaggio sarebbe stato scritto, ma ragion politica voleva che questo
messaggio fosse comprensibile ai suoi destinatari e ne soddisfacesse
le aspettative. Il destinatario del messaggio assume così un ruolo
cruciale (ecco perché tanto interrogarsi sui «lettori» della
colonna). Ma i destinatari del messaggio sono ormai i popoli, i ceti,
le culture e le tradizioni di un vasto impero che tocca i confini
estremi del mondo conosciuto. Una realtà tanto segmentata da
postulare in modo imprescindibile un linguaggio comune e questo
linguaggio comune è «una koiné iconografica, non di stile» in cui
la tassonomia figurativa dei gesti ricorre e significa secondo una
forte tendenza unitaria. E «il legante che tiene insieme questa
tensione verso un linguaggio comune di formule iconografiche dotate
di significati stabili è la funzione dell’arte pubblica nel mondo
romano come canale per la diffusione di messaggi politici e
ideologici».
Tra
i due poli di un potere con pretese universa listiche e di un
pubblico «internazionale» che ne deve poter il messaggio che nasce
“la prima arte europea», da cui quella cristiana medioevale dovrà
adottare forme ed espedienti linguistici. Arte anonima, arte
ideologica, che a tutti vuole parlare e da tutti esige di essere
compresa. Per sessanta volte Traiano calca la scena della colonna e
per sessanta volte prescrive al mondo una regola per il presente e
per il futuro, il suo exemplum virtutis.
L'«illeggibile» colonna sta tutta nella sua necessaria leggibilità.
L’arte delle sue immagini è una lingua che parla l’ideologia del
potere imperiale, ma che deve saper percorrere tutte le vie di un
mondo che si è fatto più vasto e più complesso. In questa
grammatica e sintassi dei gesti e dei modelli sta il senso «moderno»
dell'arte pubblica romana. A svelarcelo non sono le acrobazie del
gusto o i talenti ipnotici dell’ispirazione, ma proprio il filo che
legava l’antico lettore al messaggio che un potere vincente gli
indirizzava. Nell’archeologia del messaggio prendono così forma
fenomeni e concetti in cui il tempo presente riconosce un suono
familiare: standardizzazione, riproducibilità, egemonia culturale.
Sulla colonna di Traiano, optimus imperator,
si inerpica «l’opera d'arte nell’epoca della sua riproducibilità
ideologica».
"il manifesto", 1 novembre 1988
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