6.12.15

Fernando Creonti, partigiano in Piemonte e sindaco liberale nell'Umbria rossa

Una delle rare immagini dell'ingegner Fernando Creonti,
qui in veste di sindaco, mentre inaugura la nuova sede del 
Comune di Acquasparta  (anni 70 del Novecento)
Nella rubrica di opinioni dei lettori, su “La Stampa”, ho trovato l'anno scorso (25/10/2014) l'intervento di Franco Marini, un lettore che risiede a Terni ma si dichiara nativo di Acquasparta. Scrive tra l'altro: “Il generale Perotti, Silvio Geuna, Eusebio Giambone. Sono nomi noti della resistenza torinese, ricordati nel bel libro Fiori rossi al Martinetto di Valdo Fusi. Il libro di cui vorrei parlare, Memorie di vita clandestina, è stato invece scritto da Fernando Creonti, che sotto lo pseudonimo di «maggiore Ferrini», fu l’ufficiale di collegamento tra il Comando supremo delle missioni alleate, il CLN e il Comando Militare Regionale del Piemonte. Fu strettissimo collaboratore del generale Perotti e scampò per un soffio alla retata di patrioti che furono giustiziati il 5 aprile del 1944 al Martinetto di Torino. [...] Fernando Creonti, noto industriale piemontese, è stato dal ’65 al ’75 Sindaco di Acquasparta, un piccolo centro dell’Umbria meridionale dove sono nato. E’ stato un Sindaco liberale nell’Umbria rossa; per noi giovani di sinistra era un signore rispettato, ma molto lontano dalla nostra cultura. Nulla si sapeva del centrale ruolo avuto da Creonti nella resistenza piemontese. Così quando, qualche anno fa, curiosando nella biblioteca di mio padre, mi sono imbattuto in Memorie di vita clandestina, in cui Creonti racconta la sua attività di comandante partigiano, ho avuto un vero sussulto, un misto di emozione e stupore che ancora ricordo. Come? Pensai. Creonti, il Sindaco che aveva «osato» battere i comunisti in Umbria, era stato un personaggio di prima grandezza della resistenza in Piemonte? Come mai nessuno ne aveva mai parlato? Semplice ignoranza o colpevole silenzio?”.
La spiegazione di Marini è nella visione della Resistenza fornita dal Creonti partigiano come «movimento di un intero popolo a prescindere dalle appartenenze ideologiche», nella convinzione «che la lotta di liberazione non è stata monopolio di un partito o di una classe sociale», ma «è stata possibile e si è vittoriosamente conclusa perché ad essa ha partecipato tutto il popolo italiano: dai militari al clero, dal proletariato ai professionisti, alla nobiltà».
La tesi del Marini può sembrare peregrina. Quanto scrive il Creonti, infatti, sembra sfondare una porta aperta: sono stati per primi i comunisti togliattiani, e poi gli storici ufficiali del Pci, ad accreditare la tesi che la Resistenza, nonostante la preponderanza numerica delle brigate Garibaldi, egemonizzate dai comunisti, fosse un moto unitario e interclassista, nazionale e a tentare di usare questa lettura come premessa di accordi con le forse politiche moderate (Berlinguer definiva il compromesso che proponeva alla Dc e ai capitalisti come “una nuova tappa della rivoluzione democratica e antifascista”). La spiegazione sta forse nel fatto che a Terni c'è stata invece una forte identificazione tra Resistenza partigiana (la Brigata Gramsci), operai metallurgici e partito comunista.
Forse una spiegazione più attendibile del silenzio su Creonti ce la dà un “piccasorci” di “micropolis” (è questo il nome che il mensile umbro usa per certe sue noterelle satiriche) pubblicato nell'aprile 1998. Lo si può attribuire a Renato Covino, che anche per il mestiere di storico, è uno dei più profondi conoscitori dell'Umbria contemporanea. Così vi si legge: “Fernando Creonti, già sindaco di Acquasparta e industriale, ha lasciato in eredità alla città mezzo miliardo. Quando abbandonò l'incarico di sindaco, avendo la sua amministrazione accumulato un deficit di 120 milioni (si era negli anni Settanta), provvide a ripianarlo personalmente. Deve essere questo il motivo per cui si è parlato sempre poco del personaggio: qualcuno deve aver temuto che il "cattivo" esempio facesse scuola”.  

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