8.12.15

Dopo il no di Amburgo. Roma olimpica resterà col cerino in mano?

Dal numero del 5 dicembre 2015 di “pagina99 we” recupero un commento non firmato che contiene una fondata previsione e una opportuna proposta. (S.L.L.)

Era il 1960 quando la torcia olimpica entrò per la prima volta nello stadio Olimpico di Roma. La storia potrebbe ripetersi tra nove anni, per la gioia di quanti, a partire dal governo Renzi, hanno sostenuto la candidatura della capitale per i Giochi del 2024.
Dopo il ritiro, una settimana fa, di Amburgo, a contendere la vittoria a Roma è rimasta la sola Parigi, vista la debolezza delle altre avversarie: Budapest, che rischia di scontare la linea dura del premier Orbàn sui rifugiati, e Los Angeles, chiamata a rimpiazzare all’ultimo minuto la favorita Boston, città prescelta dal governo americano che, dopo mesi di proteste degli abitanti contrari ai Giochi per i costi ritenuti esorbitanti - uno studio della Said Business School dell’Università di Oxford commissionato dal comitato No Boston Olympics ha stimato in 14,3 miliardi di dollari il budget minimo, più gli sforamenti -, ha pensato bene tenersi alla larga dalla competizione.
Su un dato, infatti, tutti gli studi sono concordi: organizzare i Giochi è un affare soprattutto per il Cio e le imprese coinvolte nei lavori, non certo per i bilanci municipali e statali. Dopo Los Angeles (1984), le ultime concluse con un utile, le Olimpiadi sono sempre state una perdita secca per le amministrazioni: 6 miliardi di dollari per Barcellona 1992 (a fronte però di opere che hanno recuperato alla città tutta l’area del lungomare), 10 per Atene 2004 (c’è chi pensa sia stata l’origine del tracollo greco), addirittura 40 per Pechino 2008.
L’ultimo campanello d’allarme è suonato, appunto, la scorsa settimana, con il ritiro di Amburgo, l’altra grande favorita per il 2024. Anche in questo caso a bocciare i Giochi, per i costi eccessivi, sono stati i cittadini. Contro ogni previsione, il 51,7% ha votato no al referendum per la conferma della candidatura.
Nonostante ciò, per i promotori di Roma 2024 i Giochi restano un’occasione per dotare la città di infrastrutture e trasporti efficienti, con importanti ricadute economiche e occupazionali. Gli studi dimostrano tuttavia che anche l’impatto di lungo periodo sull’economia resta incerto e, comunque, di lieve entità. Proprio considerazioni simili (e lo stato dei nostri conti pubblici) indussero tre anni fa Mario Monti a ritirare la candidatura di Roma per il 2020.
C’è chi oggi, più modestamente, si accontenterebbe pure di un’operazione in perdita ma con benefici tangibili per la città, come nel caso di Barcellona. Ma neanche su questo fronte si può stare tranquilli. Quella dei grandi eventi sportivi italiani degli ultimi 25 anni - dagli stadi faraonici di Italia ’90 ai mondiali di nuoto di Roma 2009 - è anche una storia di sprechi enormi.
Insomma, alla luce di una valutazione costi-benefici e dei precedenti di Boston e Amburgo, c’è il rischio concreto che quella che viene dipinta come un’esaltante corsa a guadagnarsi il privilegio di ospitare l’Olimpiade possa trasformarsi in un deprimente gioco a chi resta col cerino in mano. Che fare, dunque, per evitarlo o, quantomeno, trasformare il rischio in una scelta condivisa? La cosa più semplice sarebbe dare l’ultima parola ai cittadini romani con un referendum. Anche stavolta l’esito potrebbe essere sorprendente.

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