Maria Stella Gelmini canta "Tu scendi dalle stelle" |
La cosa più surreale a
cui ci è capitato di assistere a seguito della vicenda di Rozzano è
Maria Stella Gelmini, ex ministro dell’istruzione della Repubblica
italiana, che canta «Tu scendi dalle stelle» davanti alla scuola.
In quella scuola dove
nessuno ha rimosso crocifissi, o cancellato eventi programmati, come
pacatamente ha spiegato il dirigente. Solo un rifiuto legittimo alla
richiesta di alcune mamme che chiedevano di entrare a scuola
nell’intervallo del pranzo per insegnare le canzoncine religiose ai
bambini.
E dunque la canea davanti
alla scuola con madri che agitano una statua del bambinello, o
chiedono l’intervento di Salvini (come rappresentante della
cristianità?), o accusano i musulmani di essere tutti terroristi la
dice lunga sullo stato di confusione, che mescola paura e ignoranza,
di una parte non piccola del nostro paese. Rinfocolata dallo stupido
cinismo di alcuni esponenti politici, e dall’abitudine a rimestare
nel torbido dei sentimenti popolari più rozzi di una parte
importante dell’informazione, soprattutto televisiva, assolutamente
indegna di svolgere questo ruolo.
Qualche settimana fa
abbiamo pensato di vivere in un’altra Italia, in un altro mondo.
Quando tutti hanno rispettato e applaudito la scelta dei genitori di
Valeria Solesin di volere una cerimonia civile (non laica) per
rendere l’ultimo saluto alla loro figlia. Un’occasione
straordinaria di incontro e di condivisione tra storie, culture,
religioni. Una speranza di futuro.
È una questione di
cultura. Nella nostra scuola gli alunni con cittadinanza non italiana
sono una forte presenza, anche se non uniformemente distribuita.
Concentrata in alcune zone del Paese, soprattutto nel centro nord. Le
statistiche ci dicono che di quel 9% complessivo di bambini e
ragazzi, presenti in ogni ordine di scuola, ma soprattutto nella
scuola dell’infanzia e nella primaria, il 47% è nato in Italia. Ci
dicono anche che il loro apprendimento scolastico continua a
migliorare, che parlano bene la lingua italiana, ma non rinunciano
alle loro tradizioni, insomma alla loro identità.
Ma la gestione
dell’integrazione (un obbligo di civiltà, diceva Ernesto Balducci)
è affidata alle trincee. E guai a sbagliare. Ministri e giornalisti
illuminati hanno sostenuto il valore potente dell’educazione per
realizzare l’integrazione tra culture, ma soprattutto il legame con
i propri simboli a cominciare dal presepe. Occorrerebbe però andare
più avanti. Come più avanti è la scuola reale, perché ogni giorno
deve affrontare questi problemi. Giusta o sbagliata che sia la scelta
del preside Palma, Rozzano è solo la punta di un iceberg. Perché la
scuola italiana , che è ancora nella sua struttura profonda scuola a
una dimensione culturale e religiosa, ogni volta che si presenta un
problema di “diversità” deve affrontare le paure e le
insicurezze proprie, ma soprattutto delle famiglie. Basti pensare a
cosa è successo sul tema “gender”.
Ma da quanto tempo si
chiede di introdurre nelle scuole lo studio delle religioni che
significherebbe offrire strumenti di conoscenza, di riflessione, di
confronto? Sarebbe tempo di farlo, perché ormai nelle nostre scuole
bambine e bambini, ragazze e ragazzi, soprattutto in territori di
forte immigrazione, incontrano altre realtà, altre vite, altre
religioni. E il non detto, il non nominato torna in termini di
diffidenza e di incomprensione.
Abbiamo bisogno di
costruire una cultura del rispetto che vada anche di la’ della
tolleranza –che comunque è la supremazia di un punto di vista-,
che diventi cultura diffusa e sentimento popolare. Di integrazione
non come carità e misericordia ma come riconoscimento dell’altro
da sé, come necessità di un confronto continuo, della reciprocità
per garantire a ognuna e ognuno il diritto all’identità religiosa,
filosofica e culturale.
Confronto e comprensione:
gli strumenti più efficaci per la lotta all’estremismo, al
fanatismo religioso e al fondamentalismo. «Tra uccidere e morire,
c’è una terza strada: vivere».
“il manifesto”, 2
dicembre 2015
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