In morte di Ronald Laing,
a ragione considerato uno dei padri della cosiddetta
“antipsichiatria”, “la Repubblica” pubblicò alcune
dichiarazioni che egli aveva rilasciato qualche anno prima a David
Cohen per le riviste «Psycologie» e «Psicologia contemporanea»,
quelle che qui riporto. (S.L.L.)
«La storia della
medicina è piena di malattie e sindromi il fatto inesistenti. Non
credo che oggi un medico accetterebbe di farsi curare da un collega
con i metodi in uso cent’anni fa. Tutti noi inorridiamo a un’idea
del genere. Ma facciamo un piccolo pasto indietro; ci piacerebbe
essere curati di quella che oggi sappiamo essere anemia con dei
salassi, o dell’epilessia e della masturbazione con la castrazione?
Questi trattamenti tuttavia erano comuni nel XIX secolo, sia in
psichiatria che in medicina. Sono pronto a scommettere che fra cento
anni gli psichiatri rabbrividiranno al solo pensiero di usare le
terapie che oggi si applicano con tanta arroganza...».
«Non ho mai detto che la
società è “malata”. Non vedo come si possa applicare questa
definizione ad una società. Posso dire di essere malato se ho
l’influenza, ma chiamare malata una società ha senso solo se si
parla metaforicamente; in tal caso, però, non va dimenticato che si
tratta di una metafora».
«Non ho assolutamente
mai detto che un individuo diagnosticato come schizofrenico "sta
bene”. E’ ridicolo affermare che tutte le persone riconosciute
psicotiche sono sane; ciò è stupido come qualunque altra
generalizzazione. Io ho semplicemente sostenuto che noi dichiariamo
psicotiche ogni sorta di persone; talvolta gli individui così
definiti si trovano in effetti in uno stato tale da sembrare
realmente turbati, sconvolti, incapaci di vivere, di agire, di
muoversi, di pensare, di compiere le funzioni più elementari. Se
valutiamo l’individuo senza tener conto della sua situazione
sociale, non possiamo fare a meno di concludere che egli si trova in
una condizione di disordine mentale, qualificata come psicotica. Si
dimenticano così troppo spesso le ragioni sociali che lo hanno
portato fino a questo punto».
«Nella nostra società,
i malati di mente sono spogliati di tutti i diritti, perfino di
quello di decidere se farsi o meno asportare una parte del cervello.
Si può imporre loro qualunque cosa, che lo vogliano o no. Il
soggetto dichiarato malato di mente viene affidato agli psichiatri,
cioè ai rappresentanti che la società designa perché esercitino
pieni poteri sulla vita del paziente».
«L'uomo oggi non
possiede altro tempo che quello indicato dalle lancette
dell’orologio. Ci si rifiuta di credere a certi fenomeni perché
non si dispone dei mezzi per studiarli e per maggiore comodità li si
definisce come rivelatori di follia. Ma io sono convinto che non vi
sia niente da comprendere. In realtà, la gente non è pronta ad
ascoltare persone come me; o meglio, non vuole capire».
“la Repubblica”, 29
Agosto 1989
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