Riprendo da “micropolis”,
il mensile umbro che esce con “il manifesto”, un editoriale molto
amaro sull'amministrazione del “cuore verde d'Italia!”, non
firmato, ma attribuibile allo storico Renato Covino. Ho il sospetto
che anche altrove le Regioni e i Comuni funzionino allo stesso modo.
(S.L.L.)
Un'immagine di Terni |
Ci mancavano solo le
polveri sottili, nei confronti delle quali le amministrazioni
comunali di Terni e Foligno, come del resto quelle di altre aree
d’Italia, non riescono a trovare soluzioni efficaci sia pur
provvisorie, per aggiungere precarietà ad una situazione già
precaria. Esse sono la dimostrazione palese di come l’Umbria e le
sue città siano ormai entrate a far parte della storia del paese,
perdendo ogni aureola di diversità. Le polveri sono il frutto di
problemi lasciati a lungo marcire, rispetto ai quali nessuno ha
saputo o voluto prendere per tempo misure efficaci. Il gioco è
sempre quello. Minimizzare, occultare, scaricare le responsabilità
del presente e del passato. Così è su tutto.
La Gesenu e i suoi
vertici vengono posti sotto inchiesta con il sospetto di essere
collusi con circuiti criminali? “Noi non c’entriamo niente, è
colpa di altri, semmai siciliani e sardi”; per fare una commissione
d’inchiesta c’è voluto del bello e del buono: “Non vorremmo
intralciare il lavoro della magistratura”. La statale della Val di
Chienti si rivela un verminaio di furti e corruzione e viene messa
sotto inchiesta dalla magistratura? “Noi non abbiamo colpe,
chiedete all’Anas”, la governatrice si limita a tagliare nastri.
Scoppia lo scandalo della truffa delle banche? Ci si limita a votare
tutti insieme un ordine del giorno, per il resto muti come pesci:
“Non abbiamo competenze”, anzi si alimenta la congiura del
silenzio. Scoppia nell’orvietano la questione della geotermia ed
arriva in Regione? Si blocca ogni decisione e parere in attesa che
decida il governo per poter dire ancora una volta: “Non possiamo
far nulla”, come si sa ubi maior minor cessat. Se scioperano
i lavoratori della sanità è cosa che non riguarda la Regione, come
poco la riguardano le situazioni di crisi. Gli esempi potrebbero
continuare con il Piano trasporti, l’assenza di discariche, la
questione degli inceneritori e via dicendo. Nessuna reazione, nessuna
vicinanza con i cittadini, con i lavoratori, con le vittime delle
banche.
Di cosa si occupi la
Regione se non della macroregione e di battibecchi con le minoranze,
in primis con i pentastellati, è cosa arcana, oscura. Ma forse
questa nonchalance dipende dalla convinzione che le cose
stanno migliorando. Del resto non stanno aumentando i consumi degli
umbri? Il turismo non è cresciuto? Le produzioni tipiche non stanno
sfondando sui mercati internazionali? Persino i cinesi sono
innamorati dell’Umbria. Basta migliorare l’efficienza e
l’efficacia della macchina pubblica, accorpare, centralizzare,
razionalizzare e tutto si rimetterà a posto; poi arriveranno i soldi
dell’Europa che aiuteranno la ripresa. Già, la ripresa, l’impresa
creativa, le start up. Solo che gli ultimi dati Istat attestano una
crescita del Pil regionale pari ad un +0,4% dopo anni neri di
recessione, quando le previsioni nazionali erano stimate al +0,9%; i
salari annui medi lordi sono poco al di sopra dei 25 mila euro, al
penultimo posto in Italia; disoccupati e cassaintegrati non accennano
a diminuire. Insomma gli indicatori economici non dovrebbero
suscitare molto ottimismo. Allora perché non se ne prende atto, non
si prova a dare una risposta, non si tenta almeno di fare quel poco
che si può per alleviare una situazione critica? Perché non si dice
la verità? I motivi sono vari e diversi.
Il primo è la
convinzione di essere sostanzialmente impotenti di fronte alla crisi
e ai vincoli dell’Unione Europea. Al massimo si può limitare il
danno. Il secondo è una sorta di cupidigia di servilismo - come
affermò Vittorio Emanuele Orlando a proposito dell’atteggiamento
di un governo centrista presieduto da De Gasperi nei confronti degli
Usa - nei confronti del governo e dei poteri centrali. Il terzo è il
fatto che oggi la politica locale non viene più concepita come arte
del possibile, ma come amministrazione dell’esistente.
Infine maggioranza e
governo regionali sono completamente interni alla narrazione
renziana, compresa la versione che nega un ruolo di qualche rilevanza
alle autonomie locali, riducendole a passa ordini o meglio a passa
carte, luoghi di corruttela da risanare.
Se è così appare
evidente che questa amministrazione regionale, come del resto gran
parte delle altre, sia da una parte un orpello dall’altra testimoni
la sua evidente inutilità. È destinata a fare poco e nulla, aiutata
in questo dallo stato desolante delle finanze pubbliche, dal
discredito che gode tra i cittadini, da una disaffezione crescente
che attraversa la società nei confronti delle istituzioni. Gli umbri
sanno ormai di non poter più contare sui loro rappresentanti e in
sempre meno si recano a votare, pensano - in parte sbagliando - che
la politica non sia più in grado di aiutarli a uscire dalle
difficoltà del presente, si rifugiano nelle famiglie e nelle
comunità dove operano vincoli solidaristici spesso primitivi.
Comuni e Regioni sono
percepiti come luoghi ostili, a cui pagare tasse e balzelli sempre
più alti, che erogano sempre meno servizi, dove imperano burocrazia
e procedure a volte assurde. Si dirà che non è vero, che non sono
tutti uguali, che esistono differenze sostanziali tra destra e
sinistra, tra populismo e capacità di governo. Se è così si provi
a spiegarlo ai governati, ai cittadini. Sarebbe perlomeno un utile
esercizio di umiltà.
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