I sondaggi elettorali
confermano che, in un probabile ballottaggio, sulla base dell’attuale
versione dell’Italicum, Pd e M5S si trovano sostanzialmente alla
pari. Tutto ciò contribuisce ad alimentare voci e ipotesi su un
possibile, ulteriore ripensamento dell’impianto di questo sistema
elettorale. Al centro, l’alternativa tra il premio alla lista,
previsto nell’attuale versione della legge, e il ritorno ad un
premio assegnato alla coalizione vincente.
Sull’onda dell’euforia
per il 40% delle Europee, il premio alla lista è divenuto la pietra
angolare di una visione fondata sull’idea di un partito
«pigliatutti»; non ci voleva molto a capire la natura estremamente
volatile del voto europeo e la fragilità del disegno strategico che
veniva incardinato nel nuovo sistema elettorale. Da molti mesi,
oramai, con qualche oscillazione, i sondaggi danno stabile il Pd
intorno al 31–33% (una percentuale alta, ma fragile, in assenza di
un qualche bacino potenziale di voti a cui fare ricorso in caso di
ballottaggio); il M5S è solidamente ben oltre il 25%, mentre, a
destra, (come aveva mostrato il voto regionale in Liguria o in
Umbria), le possibilità di un rapido ricompattamento sono tutt’altro
che remote. Una geografia statica, peraltro, quella fotografata oggi
dai sondaggi, che non può considerare ancora gli effetti che
potrebbero derivare dalla presenza sul mercato elettorale di una
nuova formazione di sinistra potenzialmente a doppia cifra.
In questo quadro, lo
spettro di un ballottaggio a rischio agita i sogni del Pd renziano, e
riemerge così l’ipotesi di una modifica che reintroduca il premio
alla coalizione: certo, non mancano coloro che esortano Renzi a
«tenere la barra dritta». La tesi che dovrebbe indurre a conservare
il premio alla lista si fonda su un argomento: in sede di elezioni
politiche, l’elettorato moderato del centro-destra non voterà mai
per il M5S o, viceversa, l’elettorato grillino non potrebbe mai
votare per un fronte Salvini-Berlusconi. Questa lettura è illusoria,
perché ignora il fatto che l’attuale elettorato della destra è
tutt’altro che moderato: le quote di elettorato centrista, che
avevano scelto Monti nel 2013, sono già transitate nel Pd; altri
spezzoni si stanno riciclando, e così hanno fatto e stanno facendo
vari notabilati locali. E perché ignora anche altri dati: quelli che
mostrano (ad esempio, in Veneto) un’elevata contiguità e mobilità
tra il voto alla Lega e quello al M5S. E perché, infine, sembra non
considerare quello che si sta rivelando il capolavoro politico di
Grillo: riuscire a conservare un posizionamento del suo partito che
lo mette in grado tuttora di catalizzare tutti gli umori anti-sistema
(con una provenienza equamente distribuita da destra e da sinistra, e
dal non-voto, come mostrano le indagini sull’«auto-collocazione»
degli elettori del M5S). Nell’uno o nell’altro caso di un
possibile ballottaggio, segmenti consistenti di elettorato potranno
confluire e sovrapporsi. A ciò si aggiunga che, nelle condizioni
attuali, appare probabile un alto tasso di astensione: il che rende
ancora più aleatorio ogni calcolo razionale.
Ultimo appello alle
minoranze
D’altra parte, per il
Pd, il dilemma è serio: tornare al premio di coalizione significa
rinnegare tutte le scelte compiute fin qui, ripensare la strategia
della terra bruciata alla propria sinistra, tornare a pensarsi solo
come una parte di un più largo schieramento di centro-sinistra,
accettando l’idea di avere altri interlocutori in quest’area.
Certo, con la disinvoltura tattica di Renzi, non si può escludere
nulla; ma le scelte sull’Italicum si riveleranno decisive e
irreversibili. Restare ancorati al premio alla lista implica una
logica per molti versi avventurista: una logica da «rischiatutto»
puntando su un ricatto (non si sa quanto credibile) nei confronti di
un elettorato di sinistra costretto a scegliere tra Renzi e Grillo (o
Salvini).
Non sappiamo se si
possono creare condizioni tali da riaprire veramente la partita.
Certo è che le scelte sull’Italicum saranno decisive anche per
coloro che ritengono ancora possibile una battaglia interna al Pd,
per ridefinirne la collocazione. Una sorta di ultimo appello per le
minoranze del Pd: rassegnarsi al premio alla lista significherebbe
infatti sanzionare definitivamente il ruolo neocentrista e
neotrasformista del Pd. Chi spera ancora che il Pd possa restare uno
spazio, se non ospitale, quanto meno abitabile, per una qualche
posizione di sinistra, potrebbe individuare qui un terreno su cui
cercare di far pesare le sue forze residue: non puntando su questioni
marginali e assai dubbie, come quella del voto di preferenza, ma
riproponendo con forza la questione del premio alla coalizione e
mettendo al centro la grave questione democratica che viene posta dal
nesso tra la riforma costituzionale che è stata approvata e il
sistema elettorale..
Lo spettro
dell’Unione
Non mancano gli
argomenti: anche coloro che, con ottime ragioni, contestano l’intero
impianto di un sistema elettorale fondato sulla logica del premio,
possono convenire che un premio alla coalizione vincente, specie dopo
un ballottaggio, costituisce comunque un male minore. E soprattutto,
si può rispondere con nettezza anche all’unico argomento che può
avere una qualche presa, anche nell’elettorato democratico: ossia,
che «non si può tornare ai tempi dell’Unione», cioè alle
coalizioni ampie e rissose. Per evitare questo pericolo, si può
proporre un semplice accorgimento: prevedere che, nel conteggio dei
voti validi di una coalizione, siano esclusi i voti delle liste che
rimangono sotto-soglia (che può essere fissata anche al 3 o al 4%).
Questa clausola può avere effetti significativi: scoraggia la
frammentazione «in entrata», mentre i partiti maggiori non
avrebbero alcun incentivo ad aggregare una sfilza di micro-liste, ma
solo quello di creare un’alleanza politica solida con soggetti di
una qualche consistenza.
E vi sono anche
considerazioni tattiche, di cui tener conto. Si potrebbero anche
creare condizioni tali per cui il famoso coltello dalla parte del
manico potrebbe ritrovarsi nella mani di coloro che si oppongono
all’Italicum: in caso di una crisi o di una rottura, la minaccia di
elezioni anticipate potrebbe anche rivelarsi un’arma spuntata. Si
dovrebbe votare, infatti, con il sistema proporzionale residuale,
emerso dalla sentenza della Corte costituzionale: e chissà che, da
questo maledetto imbroglio, non possa nascere stavolta anche un
effetto imprevisto positivo, ovvero il famigerato ritorno al
proporzionale. Ma qui si dovrebbe aprire una vera discussione
politica, e un confronto serio anche tra gli esperti, che finalmente
metta a nudo uno dei tanti falsi idoli che hanno avvelenato
l’indefinita transizione italiana, ovvero che la «governabilità»
possa essere assicurata solo da un sistema elettorale maggioritario.
Ritengo che non sia così e che anzi, nelle condizioni in cui ci
troviamo, una sorta di nuovo anno zero per la ricostruzione della
democrazia italiana, il ritorno ad un serio sistema proporzionale
costituisca un passaggio ineludibile e necessario.
“il manifesto”, 1
dicembre 2015
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