«Quando si accoglie un
neofita e lo si introduce per la prima volta nella assemblea dei
reprobi, gli appare una specie di rana; altri dicono che è un rospo.
Alcuni gli danno un ignobile bacio sull’ano, altri sulla bocca
leccando la lingua e la bava dell’animale. Talvolta il rospo appare
a grandezza naturale, altre con le dimensioni di un’oca o di
un’anitra. Normalmente ha la grandezza della bocca di un forno. Il
neofita, intanto, avanza e si ferma di fronte a un uomo di un pallore
spaventoso, dagli occhi neri, e talmente magro ed emaciato da
sembrare senza carne e niente più che pelle e ossa. Lo bacia e si
accorge che è freddo come il ghiaccio; in quello stesso istante,
ogni ricordo della fede cattolica scompare dalla sua mente. Poi si
siedono tutti a banchettare e quando si alzano dopo aver finito, da
una specie di statua che di solito si erge nel luogo di queste
riunioni, emerge un gatto nero, grande come un cane di taglia media,
che viene avanti camminando all’indietro e con la coda eretta. Il
nuovo adepto, sempre per primo, lo bacia sulle parti posteriori, poi
fanno lo stesso il capo e tutti gli altri, ognuno osservando il
proprio turno: ma solo quelli che lo hanno meritato (…). Terminata
questa cerimonia, si spengono le luci e i presenti si abbandonano
alla lussuria più sfrenata, senza distinzione di sesso. Se ci sono
più uomini che donne, gli uomini soddisfano tra loro gli appetiti
depravati, e le donne fanno lo stesso. Quando tutti questi orrori
hanno fine, si accendono di nuovo le candele e tutti vanno al loro
posto».
Con queste parole la Vox
In Rama, decretale emanata da papa Gregorio IX nel 1233,
descriveva le illecite cerimonie alle quali si sarebbero dati alcuni
eretici. L’occasione non è del tutto chiara; il testo era
indirizzato all’arcivescovo di Magonza, al vescovo di Hildesheim e
a Corrado di Marburgo, un inquisitore che aveva il compito di dar la
caccia agli eretici nell’episcopato di Magonza. Si pensa che le
informazioni incluse nella bolla, fornite al pontefice da Corrado di
Marburgo, si riferiscano agli eretici della valle del Reno. Le accuse
riguardavano il conte Enrico II di Sayn, il quale si era appellato a
un concilio di vescovi della regione, venendo assolto. Denunce di
pratiche simili erano già presenti in tempi molto precedenti; i
cristiani erano stati accusati, nel mondo antico, di cerimonie e
rituali omicidi e orgiastici, come testimonia Tertulliano
nell’Apologeticum scritto appunto in difesa dei suoi
correligionari. Soprattutto, si tratta di stereotipi destinati a
grande fortuna nel contesto della stregoneria e del sabba. In
particolare, la pratica dell’osculum infame, il bacio
sull’ano in segno di sottomissione al diavolo, che compare anche
nel processo contro i Templari. A tracciarne la storia arriva il
breve volume di Pantalea Mazzitello, Il bacio spudorato. Storia
dell’osculum infame (Medusa, pp. 170, euro 19), che si volge a
indagare il tema, oltre che nel contesto ereticale e stregonico,
anche in quello parodistico che viene sviluppato nelle fonti
letterarie.
Il «bacio spudorato» è
l’inversione della gestualità e della ritualità liturgiche e
cavalleresche, ossia dei contesti culturali che più contavano
nell’età di riferimento; il capovolgimento, dunque, conduce verso
il mondo delle rappresentazioni teatrali, ludiche, carnascialesche.
Senza dimenticare, però, il forte rapporto che tali ambiti hanno con
il tema del mascheramento, dell’aldilà.
Se ne esce con la forte
sensazione che, ancora una volta, soprattutto nell’età medievale
(ma anche molto oltre, tenendo presente quel concetto di «lungo
medioevo» tanto caro al compianto Jacques Le Goff), il linguaggio
dei simboli è fondamentale anche per comprendere le dinamiche
sociali. È quanto ci dice, in un contesto ben più solare, Fernando
Rigon Forte nel suo Un Bestiario per l’Eden. Lo zoo di Adamo
(Skira, pp. 112, euro 14). Adamo il primo uomo è al centro del
creato perché il dono del linguaggio gli consente di nominare le
cose e, attraverso il linguaggio, di dar loro un senso: e tale senso
è eminentemente simbolico, perché tutto nel creato rinvia a
qualcos’altro. L’universo degli animali, in particolare, così
come veniva raffigurato nel medioevo all’interno di quei testi
detti «Bestiari», parlava per allegorie di vizi e virtù, di amore,
di passioni, di comportamenti simbolicamente pregnanti. E questo non
perché la cultura medievale fosse priva di un senso pratico o della
capacità di osservare empiricamente la realtà; solo che la realtà
empirica aveva un grado di importanza e, in un certo senso, di
veridicità inferiore rispetto a quella simbolica.
Tuttavia, l’importanza
dell’osservazione empirica diventa pressante a partire dai secoli
XII-XIII, quelli del contatto con il mondo arabo, della circolazione
di merci, persone, idee. Per restare sempre nell’ambito del mondo
animale, i trattati di mascalcia e di falconeria si fanno più
diffusi: non per niente si tratta di animali nobili, che accompagnano
i cavalieri nell’attività prediletta della caccia. Se il De
arte venandi cum avibus è il trattato di falconeria più noto,
visto che si deve all’imperatore Federico II, un recente volume di
Errico Cuozzo, Mediterraneo medievale. La falconeria, Ruggero II,
il regno normanno di Sicilia (Università degli Studi Suor Orsola
Benincasa, pp. 350), esplora la tradizione appena precedente, quella
di età normanna.
Impresa non facile, come
spiega nella prefazione Baudouin Van den Abeele, ch’è uno dei
massimi storici dei Bestiari medievali: «La falconeria, in quanto
fenomeno storico, resta in gran parte da studiare. Il periodo della
sua massima fioritura, il Medio Evo centrale, ci ha lasciato una
grande varietà di fonti, senza pure consentire una copertura
soddisfacente dello sviluppo di questo modo di caccia. Bisogna
mettere insieme dati sparsi e spesso carichi di motivazioni
secondarie. È la sfida che ha deciso di affrontare Errico Cuozzo
nella sua indagine sulla falconeria nella Sicilia normanna. A priori,
il soggetto pare promettente, per un contesto che ha visto emergere
la figura di Federico II, l’imperatore falconiere par
excellence, erede del regno normanno di Sicilia. Bisogna però
costatare che i documenti d’archivio che forniscono dati sulla
falconeria all’epoca normanna sono pochi, e dunque l’autore di
questo libro ci propone un percorso ‘inventivo’, un’indagine
cioè che utilizza una pluralità di fonti così da offrire una
ricostruzione storica à part entière».
In effetti, il volume è
denso di dati tecnici presi dalle fonti medievali e messi a confronto
con le conoscenze attuali in materia; ma non mancano ricchissimi
approfondimenti di storia cultura e sociale, accompagnati
costantemente da un corredo iconografico particolarmente
significativo e importante, vista la materia trattata. Al termine
della lettura, due evidenze emergono da Mediterraneo medievale. La
prima riguarda l’inutilità di contrapporre il medioevo simbolico a
quello della pratica, talmente questi due livelli sono interconnessi;
e il tema della falconeria, così intriso di valori cavallereschi, è
adatto a dimostrarlo. Al contempo, il titolo scelto evidenzia quanto
la storia mediterranea sia centrale in quest’epoca, al punto da
coinvolgere così profondamente anche quei Normanni che giungevano da
mari ben più nordici, ma che seppero farsi interpreti straordinari
della koinè del Mare Nostrum.
“il manifesto”, 1
aprile 2015
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