8.9.15

Walter Scott, lo scozzese che inventò il western (Beniamino Placido)

Una riedizione di Ivanhoe, il più famoso tra i libri di Walter Scott, suggerì a “Repubblica” di dedicare l'intero paginone centrale all'inventore del “romanzo storico” e al suo eroe. Riprendo qui l'articolo di Beniamino Placido, ma uno alla volta “posterò” anche gli altri. (S.L.L.)

Un Ulisse dilaniato in Terrasanta
Il fatto che sia stato ripubblicato proprio ora dall'editore Garzanti (traduzione di Giorgio Spina, introduzione di Enrico Groppali) è una buona ragione per comprarlo (costa 4.000 lire) e per leggerlo o rileggerlo (consta di 590 pagine), l'Ivanhoe di Walter Scott?
Dipende. Dipende da quello che vogliamo chiedergli, a questo cavaliere misterioso che scende in campo al torneo Ashby con la celata abbassata, chiuso nella sua armatura, recando sull’insegna il nome di battaglia che si è scelto «El Desdichado». Che vuol dire: l'infelice, lo sfortunato, il disgraziato.
Forse vogliamo chiedergli da dove viene a questo misterioso, infelice Cavaliere ; e in questo caso ci ritroviamo nella compagnia (senz’altro raccomandabile) del filosofo ungherese Gyorgy Lukàks, un maestro della critica letteraria contemporanea. Un maestro severo, esigente, anche un po’ sospettoso, che ai personaggi (e ai loro autori) chiede sempre: chi ti manda? chi rappresenti? a nome di chi parli?

Ricapitolazione fragorosa
Non sto prendendo in giro Lukáks. Me ne guarderei bene. Se non altro per timore dei suoi discepoli che sono, come lui, agguerriti sospettosi e guardinghi. Sto dicendo che la sua è una concezione politico-parlamentare della critica letteraria. Giudica gli autori (e i personaggi) in rapporto al settore dell’Aula dove stanno seduti.
Comunque, chi vuol sapere in quale settore dello schieramento politico-parlamentare letterario sta Walter Scott con il suo Ivanhoe, entro quali coordinate culturali si muova, fra Hegel e Engels, fra borghesia e proletariato, fra progresso e reazione, non ha che da leggere (o rileggere) le prime cento pagine del saggio Il romanzo storico, pubblicato da Einaudi.
In queste pagine a loro modo famose, il filosofo ungherese interroga esamina ed assolve Walter Scott. Perché è un buon progressista moderato, una brava persona. Sta nel mezzo. (Batte ed esalta quella via mediana che è topica della storia politica inglese. Mantenendosi equidistante dagli opposti estremismi, fa un passo dopo l'altro contro gli eccessi del romanticismo, contro gli eccessi del conservatorismo. Non è Stendhal, non è Balzac, ma il suo onesto lavoro di ricostruzione della storia. come storia di tutti, anche delle figure minori, l’ha fatto. Di più, di meglio di Lukàks, non si può dire. Se si chiede ad Ivanhoe di dove viene.
Diverso il caso (e diverso di risultato) se chiediamo a questo infelice cavaliere senza macchia e senza paura non già chi l’ha mandato, chi rappresenta, a nome di chi parla, ma francamente e bruscamente chi è. Guardandolo in faccia, pregandolo magari di sollevare per noi la celata.
In questo caso Ivanhoe (parliamo del romanzo, adesso, non del personaggio) si rivela in tutta dia sua ricchezza.
Ivanhoe di Walter Scott è come certi film, Casablanca, American Graffiti, Guerre stellari, una fragorosa ricapitolazione della storia del cinema o del «romanzo». Un miracoloso assemblaggio di archetipi, di topoi, di luoghi comuni, anche. C’è Omero, c’è Shakespeare, c’è il raccontare medievale, c’è Boccaccio, c’è Ariosto, c’è il romanzo gotico.
C’è l’assedio e c’è il ritorno. Qualche lettore ricorderà un bel libro pubblicato da Bompiani cinque anni fa, di Franco Ferrucci. Vi si sostiene che tetta la tradizione letteraria europea è innervata da due schemi concorrenti: o l’assedio (l’Iliade) o il ritorno dell’eroe (l’Odissea).
Ebbene, Ivanhoe ritorna dalla Terra Santa in incognito vestito da pezzente, come Ulisse, e come Ulisse si fa riconoscere innanzitutto dal suo porcaio (Gurth). E dalla Terra Santa ritorna, in incognito anche lui, Riccardo Cuor di Leone, per rimettere le cose al loro posto.
Quanto all’assedio, c’è quello di Torquilstone, proprio al centro del Ibro, e dovrebbe bastare.
La nostalgia delle narrazioni — e delle situazioni — medievali (stiamo risalendo ordinatamente la storia della letteratura) è ampiamente soddisfatta dal grande torneo cavalleresco di Ashby, dove mostra tutta la sua bravura un giovane arciere. Si fa chiamare Locksley, ma non so se l’avete già capito, è Robin Hood, in incognito anche lui per ragioni politiche.
C’è tantissimo Shakespeare, cosparso un po’ dappertutto. Ma riconoscibile da tutti quanto meno nella figura di Wamba, il buffone,che è ripreso dal «fool» di Re Lear.

La cavalleria e il denaro
Né Scott intende deludere quei signori del suo tempo che apprezzavano (magari di nascosto, perché scrivere e leggere romanzi non era molto dignitoso, e Scott stesso quando poteva usava pseudonimi) un nuovo genere letterario da gran moda: il romanzo gotico. Il capitolo trentesimo del libro, con il delirio del perfido Front-de-Boeuf e l’apparizione della strega Ulrica è un esercizio di 'bravura nel più puro stile gotico.
Che più? Ci sono tutte le astuzie di un narratore. I torti che danno appuntamento alte riparazioni, le offese che danno appuntamento alle immancabili vendette, i contrasti iniziali fra Sassoni e Normanni che danno appuntamento alla finale riconciliazione.
Questo l’assemblaggio. Ma allora, se è così facile posiamo provarci anche noi. Prendiamo un po’ di archetipi, un po’ di topoi... Sì, ma come faremo a tenerli insieme?
E’ qui di segreto di Scott, o quanto meno di Ivanhoe. Nel cemento. Che non c’è. Come un grande architetto, egli è riuscito ad innalzare una struttura di questa mole, di questa portata, che si tiene in piedi per un gioco di spinte e controspinte, di tensioni dinamiche.
La tensione fondamentale è questa. Da una parte c’è la cavalleria. Com’è bella a vedersi, ma com’è sordida meschina vendicativa e sanguinaria nella sostanza! D’altra parte c’è il mondo prosaico, e «borghese» dell’acquisizione del danaro. C’è l’ebreo Isacco. E’ lui il personaggio «moderno». Gli altri usano la lancia e la spada, lui usa già le lettere di credito. Lui usa e fa usare il denaro che serve poi a finanziare le crociate, a pagare d tornei, a comprare le armature. A tenere in piedi, insomma, quella pittoresca baracca. Mia com’è triste, squallida, poco eroica questa sua modernità!
E Walter Scott con chi sta? E’ diviso. Protegge l’ebreo Isacco e sua figlia Rebecca: ma alla fine perché la pace torni tra Sassoni e Normanni, deve pregarli cortesemente da togliersi dai piedi, di andarsene via. E detesta dal profondo del cuore quella «Cavalleria» piena di pretese e di pregiudizi. Ma l’ammira. E l’ammirò, detestandola, tutta la vita.
Per tutta la vita Walter Scott cercò di costruirsi una spede di castello ad Abbotsfford. Ci rimise prima un mucchio di soldi, e poi per scrivere forsennatamente allo scopo di fare altri soldi, ci rimise la salute. Ecco, per scrivere un bel romanzo non basta stare dalla parte giusta, parlare per conto della classe giusta, come un oratore in Parlamento. Forse bisogna stare a mezzo fra due parti contrapposte. Essere, come Ivanhoe, come Scott, un po’ infelice, un po’ lacerato, un po’ «desdichado».


“la Repubblica” 19 agosto 1980

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