Credo di non aver letto
nulla di Gian Antonio Cibotto prima d'ora. Ho appena cominciato le
Cronache dell'alluvione – Polesine 1951,
un libretto che ho trovato a prezzo d'occasione, nella riedizione
tascabile di Marsilio (2001); e fin dalle prime pagine credo di aver
incontrato un grande scrittore. Al nitore del racconto o della
descrizione corrisponde una scrittura classica, senza un aggettivo in
più e senza un
aggettivo in meno. Se ne avrò voglia ne scriverò a libro finito.
Qui mi accontento di copiare, da quelle prime pagine, alcuni lacerti
di scrittura e comunicare
l'emozione che mi hanno trasmesso.
Eccoli:
“Niente più
della voce tradisce le emozioni. Con il volto si riesce a
dissimulare, ma con la voce quasi mai. Magari è un impaccio appena
percettibile, un'inflessione brevissima, un'esitazione...”
“Negli incubi ci
si aggrappa a qualsiasi pretesto, anche il più illusorio, il più
assurdo. In fondo c'è una tale carica di mistificazione in noi
stessi, per cui i pretesti calmano sempre. E non importa se per un
attimo. Mai infatti l'uomo è così diabolico come nel trovarsi delle
giustificazioni, nel mentire formalmente a se stesso.”
“Alla fattoria
padronale ci rispondono che non hanno né macchine né biciclette, ma
in realtà non si fidano. I padroni non si smentiscono mai. Aggiungi
che questi sono latifondisti, gente abituata per tradizione atavica a
non credere nell'uomo, alla possibilità di un gesto disinteressato,
altruista.”
“Mattinata
chiara, squillante, d'un sole che si diverte a far ridere ogni cosa:
prati tetti, strade, case, investendoli di luce. Perfino la
malinconia delle vecchie mura piagate dall'umidità, nelle vie fuori
mano, sembra rianimata. Basta infatti un alito di vento sui ciuffi
d'erba sporgente, perché baleni come un presentimento di primavera.”
Per
comunicare l'emozione mi viene in mente una sola parola: Manzoni.
Lo
vedo che qui c'è tanta più paratassi, quasi il rifiuto della frase
lunga, ma a me viene in mente Manzoni.
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