Una immagine dal "Pascal" televisivo di Roberto Rossellini |
Il giansenismo è uno di
quei casi nella storia della cultura in cui l'opera e soprattutto i
personaggi che da questa vengono toccati sono più conosciuti
dell'autore. Ancora oggi gli studi sul giansenismo e in particolare
sul luogo in cui la dottrina giansenista costituì il suo centro
spirituale, Port-Royal, e su una delle figure più importanti che
ebbe relazioni con quel luogo, Blaise Pascal (1623-1662), sono di
gran lunga maggiori rispetto a quelli sul padre del giansenismo, il
teologo olandese Cornelius Jansen (1585-1638). La sua opera più
importante, e cioè l'Augustinus, fu pubblicata nel 1640, poco
dopo la morte per peste dell'autore, e subito anch'essa condannata
dalla chiesa cattolica. A parte l'Augustinus, monumentale
meditazione sul pensiero di Sant'Agostino e in particolare sulla
questione affrontata dal padre della chiesa riguardo la dottrina
eretica di Pelagio e le connesse questioni della grazia, del libero
arbitrio e della predestinazione, Giansenio è autore di altri
scritti che insieme alle lettere e alle lezioni tenute all'università
di Lovanio furono in gran parte responsabili della prima ricezione
del suo pensiero, tradotto dal latino al francese e diffuso da
intellettuali come Saint-Cyran, Arnauld e d'Andilly.
Quest'ultimo è l'autore
della versione francese del Discorso sulla riforma dell'uomo
interiore (a cura di Valdo Vido, con il testo latino
dell'edizione parigina del 1640 dell'editore del re Antoine Vitray,
Aragno, pp. 82, € 10,00), testo che Giansenio aveva scritto per la
riforma di un monastero benedettino e sul quale ha meditato, fra gli
altri, anche il critico letterario francese Sainte-Beuve nel suo
famoso libro Port-Royal (appena ritradotto da Einaudi nei
«Millenni»). Sainte-Beuve, ripreso anche a mo' di introduzione nel
libro Aragno, racconta l'episodio della vita di Pascal nel quale il
padre del filosofo è visitato da due medici in seguito a una caduta
che gli aveva causato la frattura di una gamba. I due, imbevuti di
cultura scientifica ma anche di giansenismo, hanno modo di prendersi
cura pure del figlio, sempre più afflitto dai molti mali che lo
accompagneranno con sempre maggiore intensità fino alla morte.
L'episodio menzionato da Sainte-Beuve è ripreso anche da Rossellini
nel suo film per la televisione dell'inizio degli anni settanta,
Pascal, nel quale si vedono i due medici consegnare alla
sorella di Pascal un fascio di fogli scritti che lei fa scivolare
segretamente sotto il cuscino del letto del fratello. È questo
appunto il testo della versione francese del Discorso sulla
riforma dell'uomo interiore la cui influenza sul filosofo sarà
decisiva per il suo percorso spirituale e per la sua opera
scientifica e di pensiero.
Il Discorso
affronta le tre principali «passioni» che impediscono al cristiano
il controllo di sé: la concupiscenza della carne, la curiosità di
sapere e, in crescendo, l'orgoglio. Giansenio scrive che «Dio ha
preferito rifare il vaso che era caduto dalle sue mani, e ridargli la
prima forma che gli aveva impresso». In altre parole, per il
teologo, l'uomo deve essere creato due volte, un po' come anche
Pascal si converte due volte. Ciò vuol dire che anche la caduta
raddoppia. La seconda, quella più pericolosa, è quella che ci
minaccia quando, avendo vinto la tentazione della carne e la
curiosità di sapere e fatto progressi nel controllo di noi stessi,
crediamo di aver raggiunto la meta per nostro merito. Questa
situazione psicologica è per Giansenio, però, la via del trionfo
dell'orgoglio, dell'amore di sé: il più diabolico dei tre pericoli
per la perdizione dell'animo umano. È soprattutto per questo motivo,
per vincere la seconda caduta, che il dono e cioè la grazia hanno
per Giansenio un ruolo fondamentale. Considerare grazia ciò che si è
tentati di considerare merito salva dal rischio del diventare pieni
di sé cioè dalla tentazione di mettersi al posto di Dio come ha
fatto il diavolo. È proprio in questa dimensione psicologica che va
colta la specificità della dottrina della grazia che salva in
Giansenio. Specificità che marca la differenza dalle altre
concezioni della grazia, come ad esempio quella di un altro
interprete di Sant'Agostino come Lutero. Al di là della implicata
questione del libero arbitrio, è tale aspetto delle passioni
dell'animo in relazione alla grazia di Giansenio che interessa a
Pascal. Per il filosofo, come già per il teologo, non sono tanto la
conoscenza e la scienza in stesse a dover essere considerate
negativamente, ma l'effetto psicologico e spirituale che esse
producono e cioè quello di generare quell'amore di noi stessi che ci
fa mettere in secondo piano, fino a ignorare, Dio. Credere, per
Pascal, per l'uomo di cultura e lo scienziato, è soprattutto non
credere all'illusione della considerazione di sé che si genera nella
ricerca scientifica, nella speculazione filosofica, nella creazione
artistica. Di qui il paradosso per cui proprio chi potrebbe essere
più vicino a Dio grazie alla scienza, alla filosofia, all'arte può
invece allontanarsene per sempre. Alla tara psicologica che si
produce nel processo della conoscenza e che può rendere ciechi verso
Dio sono rivolte le parole urlate che Pascal pone in esergo
all'incompiuta opera apologetica del cristianesimo che conosciamo
sotto il titolo di Pensieri.
La grazia, l'iper-dono di
Dio all'uomo irreparabilmente incline al peccato dopo la caduta dei
suoi progenitori, è una seconda creazione: quella psicologica che
rende cosciente l'uomo stesso di vigilare costantemente sulle proprie
passioni, specie quando queste sembrano innocue come la curiosità o
addirittura positive come il controllo di sé. La seconda creazione
operata dalla grazia agisce come un esercizio spirituale permanente
che può farsi carico anche di decisioni prese con criteri pragmatici
- come è in un certo modo pragmatica la scommessa con la quale
Pascal indica di puntare su Dio. In tale work in progress
senza fine, sempre sospettoso di giungere a un risultato che appaia
definitivo, è essenziale sentirsi costantemente in debito rispetto
agli obiettivi spirituali che si vogliono raggiungere. In tale
disciplina dell'indebitamento, va visto uno degli aspetti più
attuali dello scritto di Giansenio.
In tale sentirsi in
debito come più efficace disciplinamento degli uomini, da Weber a
Foucault, fino ad Agamben e oltre, si è visto un elemento
fondamentale del paradigma che sta dietro il funzionamento della
sempre crescente dimensione bio-politica delle nostre società,
nonché dei dispositivi più potenti della finanziarizzazione
dell'economia capitalistica odierna come ha mostrato di recente il
libro di Elettra Stimilli, Il debito del vivente. Ascesi e
capitalismo (Quodlibet, 2011). La disciplina spirituale di
Agostino elaborata da Giansenio e che Pascal vuol far propria è una
disciplina dell'indebitamento nella quale bisogna evitare di credere
di essere padroni di un capitale e, ancora di più, di vantare un
credito spirituale perché proprio qui si annida la possibilità di
perdere tutto. Nella scommessa di Pascal, il poco della vita mondana
che si rischia è niente rispetto al possibile guadagno del tutto
della vita eterna. Come insegna questo scritto di Giansenio e come
confermano le vicende dell'economia odierna, il male e il rimedio al
male si intrecciano, si rendono reciprocamente necessari, si
avvolgono come un congegno barocco, e diventa difficile discernere
attraverso i soli mezzi della conoscenza astratta il punto in cui la
cura e la malattia si separano o almeno si tengono temporaneamente a
distanza.
“alias talpa il
manifesto”, 10 giugno 2012
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