18.10.15

Sinistra di classe (S.L.L.)

Sciopero delle mondine
I fondamenti del radicamento della sinistra di classe, socialista e comunista, furono tre: il movimento sindacale, il movimento cooperativo, i comuni rossi.
Il sindacalismo era verticale, organizzazione delle categorie a livello tendenzialmente nazionale, ma ancor più orizzontale, le Camere del lavoro che trattavano orari massimi e salari minimi nei territori per tutte le categorie, che rivendicavano da amministrazioni locali e statali istruzione, servizi pubblici, assistenza sanitaria e sociale, prezzi controllati per i generi di prima necessità e spacci di paragone.
Il movimento cooperativo si sviluppò a più livelli nell'agricoltura tra i piccoli produttori, dalle cantine sociali ai molini popolari, nel consumo e tra i lavoratori dei servizi, soprattutto facchini e scaricatori. Sindacalismo e cooperazione assorbivano le vecchie forme di mutualismo tra lavoratori, le società operaie che intervenivano a pro delle vedove e degli orfani dei lavoratori, spesso inficiate da direzioni paternalistiche.
Infine i municipi rossi che provvedevano attraverso un fiscalismo locale mirato sui più abbienti (le imposte di famiglia) alla redistribuzione e intervenivano nei campi più vari (mense per i poveri, ospedali, sostegno agli studenti meno abbienti, scuole eccetera), favorendo la partecipazione dal basso in assemblee e comitati.
Le organizzazioni di partito erano strettamente collegate a questa rete di esperienze classiste e contribuivano a collegarle, indicando obiettivi legislativi nazionali. Questo legame originario (a fondare il partito socialista nel 1892 altre alle federazioni e ai circoli socialisti erano state le camere del lavoro, le organizzazioni di categoria, le cooperative, le scuole popolari) non si spezzò mai del tutto fino al fatidico 89, pur crescendo in varie forme una reciproca autonomia. In Italia la "rivoluzione borghese", prima di Craxi e poi di Occhetto, è consistita nell'annullare la matrice classista, nel trasformare i loro partiti da partiti di lavoratori in partiti di cittadini, in cui si può anche proclamare il valore dell'uguaglianza ma che non esprimono e rappresentano, direttamente, il movimento dei lavoratori.
Tanto per fare un esempio, socialisti e comunisti, a tutti i livelli, in caso di sciopero generale o di scioperi di importanti categorie o di grosse vertenze sindacali territoriali, non solo impegnavano federazioni, sezioni e circoli per il successo; ma subito dopo convocavano gli organi di direzione per valutare la partecipazione e i risultati e per dare continuità e sbocco alla lotta. Al movimento di lotta o di resistenza si attribuiva una grande importanza, quasi quanto al momento elettorale.
La mia convinzione è che una nuova sinistra non nascerà finché la si vorrà confinata nel terreno della politica, finché essa non si sporcherà le mani e i piedi con la questione sociale. Occorre una analisi seria di quello che è oggi il lavoro e lo sfruttamento e occorre che nascano anche dalla pratica strumenti e organizzazioni di solidarietà, resistenza e lotta adeguati alle trasformazioni che ci sono state nella produzione e nel lavoro. Non c'è altra via.
Non dico che formazioni politiche non classiste con valori egualitari non possano farsi o non possano strappare qualcosa di utile, ma non avranno mai la stabilità e la forza dell'organizzazione classista; i risultati saranno affidati a una stagione, a una leadership, ma non metteranno radici nella società. A quelli che come me vengono dalla sinistra del 900, dico che non si può più ragionare come se ci fosse nella società un forte movimento di lavoratori e di gruppi sociali sfruttati e subordinati. Quello che è rimasto dal secolo scorso, la FIOM per esempio, pezzi di sindacalismo confederale e di sindacalismo di base, è importante e va salvaguardato, ma è poco ed è indebolito.
Il movimento popolare e di classe, di lavoratori, è perciò in grandissima parte da ricostruire: per questo giro hanno vinto i capitalisti, in tutto il mondo, ed hanno operato una sistematica distruzione. Verrà presto nelle giovani generazioni un'avanguardia che ripensa, ricostruisce, riattrezza. Quelli che tra noi, novecentisti, ci saranno ancora avranno il compito importante di trasmettere una memoria e un bilancio: di un assalto al cielo che ha prodotto enormi risultati, ma alla fine è fallito. Per la forza del nemico certo, ma anche per i nostri difetti di origine, per i nostri errori e per le nostre divisioni, da non ripetere.
Quanto al che fare la prima cosa che mi viene in mente sono le Camere del Lavoro, o come le si vorrà chiamare, rivivificandone le funzioni, per difendere nei paesi e nelle città il lavoro com'è diventato oggi, frammentato e disperso, e non com'era nel tragico e glorioso Novecento.

stato fb17/10/2015

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