3.10.15

Come leggere Belli. Gibellini e il suo poeta (Raffaele Manica)

Dopo essere stata utilizzata da Contini come titolo per la sua raccolta di saggi montaliani (1974), chissà quante volte la formula «una lunga fedeltà» è stata spesa a proposito e a sproposito nelle lettere italiane. La tentazione di servirsene per l'attività di Pietro Gibellini intorno a Belli è poco resistibile: il lungo corso, solo per stare ai libri, s'inaugura nel 1974 con un'antologia diventata di riferimento, La Bibbia del Belli, mentre un'altra antologia dal titolo marinista, Sonetti erotici e meditativi, nel 2012, presentava un Belli con dei neri degni di Goya. In mezzo, altre antologie commentate e due capitali raccolte di saggi e studi: nel 1979 Il coltello e la corona; dieci anni dopo, con chiara allusione alla risciacquatura manzoniana in Arno (Manzoni è un'altra stella fissa di Gibellini), I panni in Tevere. Dunque davvero una lunga fedeltà, un lungo assedio e anche un'inchiesta: una vera e propria «Belliade»; e, nel mare dei Sonetti del grande poeta, si vede come il capitanato di lungo corso sia ormai, e non da oggi, un ammiragliato, come mostrano l'attesa per l'edizione critica e commentata alla quale Gibellini lavora da anni con Lucio Felici per i «Meridiani» (speriamo arrivi in questo 2013, a centocinquanta anni dalla scomparsa del poeta) e la raccolta degli ultimi venti anni di attività consegnata al titolo Belli senza maschere Saggi e studi sui sonetti romaneschi (Aragno, pp. 537, € 28,00).
Poeta che regge infinite letture, Belli è uno dei grandi classici della nostra letteratura. La sua fortuna, in massima parte novecentesca, si è via via sottratta all'angustia del poeta dialettale ed è diventata patrimonio comune. Non si sa se universale, ma comune sì. E mentre diventava patrimonio comune ha posto, tra gli altri innumerevoli, due quesiti: a che altezza vada posta la grandezza di Belli e quali siano i nessi e le relazioni che agiscono dentro la sua poesia e che la sua poesia genera. Non solo per Gibellini - ma gli si è grati per l'esplicitezza-, la poesia dei Sonetti è all'altezza massima, vicino a Dante e a Manzoni. Ora, non è un caso che i nomi siano gli stessi per i quali si è di volta in volta affacciata la questione del «realismo», variamente intonata. Per sgombrare il campo dagli equivoci: nei grandi poeti il realismo può anche non aver a che fare con alcuna realtà o può aver a che fare con una realtà massimamente visionaria: il realismo è un'impostazione di stile, un'opzione linguistica, una particolare condensazione espressiva, fino all'espressivismo. A questa immagine di Belli hanno lavorato in maniera anche opposta, ma in fin dei conti convergente, non soltanto i nomi maggiori della critica belliana, da Vigolo e Muscetta in poi, ma i numerati scrittori che al poeta si sono interessati. Gibellini dedica il capitolo di apertura a «Belli oltre il realismo», e il titolo vale da sigla delle sue intenzioni. Così come la sezione dedicata ad alcuni studiosi di Belli ripercorre, di scorcio, quattro tappe dell'interpretazione del poeta, a cominciare dal primo editore del corpaccione di oltre trentamila versi, Luigi Morandi. Che, come tutti i primi editori, ebbe varie responsabilità, che generarono meriti indubbi e qualche colpa, magari indotta dallo spirito del tempo, come l'idea del famigerato e pruriginoso «sesto» che «si vende in busta chiusa» - diceva l'avvertenza - e che, come ogni censura, portò a una spinta nelle vendite di quel volume dagli altri separato.
Per il secondo quesito, riguardante nessi e relazioni della poesia di Belli, la risposta risente di una difficoltà inaggirabile: che il poeta in vita fu invisibile nella sua sostanza e nella sua grandezza, e quel che se ne vide fu poco; la parte in mostra riguardava soprattutto la sua produzione in versi non romanesca, diciamo pure generalmente fiacca e accademica. Negli anni di febbre che portarono al monumento dei Sonetti, Belli scoprì un continente della cui consistenza riferì con furore unico, e del quale ebbe spavento, fino ad auspicare la distruzione - il rogo - per il monumento eretto. Invece diventato più duraturo del bronzo. Nella sezione intitolata ai contatti di Belli con suoi lettori di eccezione, si segnalano nel volume i capitoli su Manzoni (che del Belli fu ritroso lettore) con l'indagine su «Luscia, Giartruda e altri nomi manzoniani» nel teatro dei Sonetti (l'onomastica manzoniana riscoperta ogni volta come nuova da Cesare Angelini, Ornella Castellani Pollidori, Gianfranco Contini e che Belli aveva attinto dallo stesso Messale); e su «Verga, Belli e il duello rusticano», con la partenza dedicata ai due maestri del realismo - da nessun -ismo ingabbiabili - nel loro interesse per la fotografia e con lo sviluppo incentrato su una serie sospetta di coincidenze lessicali.

Dei 2279 sonetti di Belli si è fatto ogni uso: li si è fatti a pezzi per temi svariati, tagliuzzandoli fino all'anestesia o fino alla difformità rispetto al progetto originario del poeta: anche se è indubbio che una buona dose della fortuna sia dovuta proprio alle antologie. Ora, l'idea che il monumento della plebe di Roma, come l'autore stesso definisce le poesie romanesche (così titolate nell'Edizione Nazionale per le cure di Roberto Vighi), sia un poema corale è suggestiva e magari non del tutto verificabile: oltretutto non sappiamo quale ne sarebbe stata la forma definitiva; ma è certo che uno spirito unitario, una voce che tira i fili di tutte le altre sia rintracciabile: «Distinti quadretti, e non fra loro congiunti fuorché dal filo occulto della macchina». Queste Fleurs du mal spuntate sulle rovine di Roma e sul formicolare delle vite trasteverine sono una delle voci più potenti della modernità poetica europea, come da pochi ma buoni fu subito colto. Però solo il tempo ha mostrato, lo si è detto, la grandezza della poesia di Belli in scala europea e in seno alla modernità. Questaspintaverso il moderno è accentuata dal gusto e dalla formazione di Gibellini (si veda il capitolo che parte da un famoso giudizio di D'Annunzio su Belli: «il più grande artefice del sonetto che abbia avuto la nostra letteratura»), che ne tiene filologicamente ancorati i connotati a ciò che Belli fu, tratti arcaizzanti compresi; ma è, si può dire, una spinta necessaria a leggere Belli come si deve, arrivando fino al suo controverso cattolicesimo, al buio nichilismo, al riso demoniaco che per prima vittima scelse il poeta stesso, o l'uomo che stava dietro e dentro il poeta.

alias-talpa il manifesto, 6 gennaio 2013

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