Orvieto, La Necropoli etrusca sotto la Rupe |
Tutto iniziò con un
libro, scritto a mano, in latino: tra il 1616 e il 1619 lo scozzese
Thomas Dempster, insegnante di Diritto all'Università di Pisa, grato
per l'accoglienza ricevuta, dedica a Cosimo II de' Medici il De
Etruria Regali, la prima summa dettagliata sulla civiltà
etrusca. Poi il libro scompare, misteriosamente. Verrà ritrovato un
secolo dopo, in maniera del tutto fortuita tra gli scaffali di un
antiquario fiorentino, da un giovane nobiluomo inglese in viaggio per
l'Italia, Lord Thomas Coke. Siamo nel 1726 e Coke, resosi conto dello
straordinario valore del manoscritto, decide di farlo stampare e ne
affida la cura a Filippo Buonarroti, ministro ducale e massimo
esperto della materia. Buonarroti integra il testo con commenti e
tavole raffiguranti le principali opere etrusche allora note.
La pubblicazione segna
l'avvio di una intensa stagione di studi e scoperte. L'anno
successivo, nel 1727, nasce la prima istituzione europea di studi
etruschi - L'Accademia Etrusca di Cortona - alla quale si
iscriveranno i maggiori intellettuali dell'epoca. E, proprio a
Cortona, la scorsa estate è stato esposto in una mostra (“Seduzione
etrusca, dai segreti di Holkham Hall alle meraviglie del British
Museum”) il manoscritto originale del De Etruria Regali...
L'intreccio che vede
avviluppati Gran Bretagna ed Etruschi non finisce però qui, anzi si
prolunga fino ai giorni nostri: lo scorso luglio, durante il festival
BluEtrusco a Murlo (Siena), è stato presentato Città e necropoli
d'Etruria, prima edizione integrale in lingua italiana di un
altro classico dell'etruscologia, The Cities and Cemeteries of
Etruria (London 1848, seconda edizione 1878) del diplomatico e
archeologo inglese George Dennis (Nuova Immagine Editrice, a cura di
Elisa Chiatti e Silvia Nerucci, traduzione di Domenico Mantovani).
Può apparire strano che nel Paese che alla civiltà etrusca ha dato
i natali, l'attenzione per un libro così rilevante si sia
concretizzata solo ora. Siamo fuori tempo massimo? La domanda se la
pone Giuseppe M. Della Fina, l'antichista al quale l'editore senese
ha affidato l'introduzione dell'opera, suddivisa in due tomi. La
risposta è negativa. Ancora oggi uno studioso del mondo etrusco
continua a consultare Città e necropoli d'Etruria. Nelle sue
pagine sono registrate una serie d'informazioni preziose: monumenti
in uno stato di conservazione decisamente migliore rispetto al
presente; musei che oggi si presentano in una forma completamente
diversa o che, talora, non esistono più; collezioni private andate
disperse attraverso il commercio antiquario.
E poi c'è la scrittura
di George Dennis che, in poche righe, riesce a restituire impressioni
e atmosfere di un paesaggio culturale che ancora oggi possiamo
riconoscere. Ecco qualche esempio: «Era una giornata meravigliosa
quando arrivai a Bolsena. Il cielo era senza una nube - il lago, le
sue isolette, e ogni oggetto lungo le spiagge, erano immersi in una
vampa di luce e di calore estivo - gli oliveti erano pieni di
contadini seminudi che raccoglievano i grassi frutti - miriadi di
folaghe oscuravano le acque, che nessuna vela solcava - il mio occhio
spaziava per l'ampio anfiteatro formato dall'antico cratere, e da
ogni lato scorgeva le colline dalla base alla cima rese oscure dalle
varie tonalità del fogliame. Come era possibile credere a ciò che
si presentava ai miei occhi - a ogni mio senso, e ammettere di
trovarsi nel colmo dell'inverno, prima che la vegetazione avesse
cacciato una gemma o un fiore? Eppure era così, ma era l'inverno dei
Paesi meridionali».
Oppure: «Da Cetona a
Sarteano vi sono solo quattro miglia e la strada è meravigliosa.
Essa sale su un'altura ripida ed elevata, coperta di boschi e dalla
cima si domina un panorama stupendo sopra la valle del Chiana -
Cetona rannicchiata ai piedi del monte che le dà il nome, una massa
poderosa di boschi in pendio, tutti ammantati di neve in inverno;
Città della Pieve con le torri gemelle, come corna che spuntano dal
ciglio delle lunghe colline buie che si estendono a sud; Chiusi, più
vicina all'occhio, sopra un'altura rivale e più bassa; la vallata
intermedia, con il suo tappeto grigio e bruno di boschi di ulivi e di
querce; i laghi che scintillano azzurri in distanza e le cime
innevate degli Appennini che ondeggiano lungo la linea
dell'orizzonte».
Per leggere le bellissime
pagine di Dennis, dunque, non si deve essere etruscologi. Ma amanti
sì, delle antichità degli Etruschi e, soprattutto, di quel loro
testimone silenzioso che, ancora oggi, è il paesaggio dell'Etruria.
È il racconto di Dennis - e, anche, da non dimenticare, quello della
scrittrice Elisabeth Hamilton Gray, che nel 1840 pubblicò Tour to
the Sepulchres of Etruria in 1839 (ancora in attesa di
traduzione!), sulla scia del quale lo stesso Dennis decise di
visitare l'Etruria - a rivelarci, ora di nuovo, il vero «mistero
etrusco». Un mistero che, quasi un secolo dopo The Cities and
Cemeteries, un intellettuale questa volta italiano, Piero
Calamandrei, riassunse con una suggestione di rara potenza:
«Incantati dalla benignità di questi limitati orizzonti, qui i
primitivi etruschi venuti dall'oriente s'accorsero di aver scoperto
la patria: nella misura di questi panorami è il segreto della loro
pensosa civiltà» (da Inventario della casa di campagna,
1938, recentemente riedito dalle Edizioni di Storia e Letteratura).
George Dennis è stato un
esponente di spicco dell'archeologia del Romanticismo nel cui ambito
si era formato. Per lui - pur con una salda cultura classica e una
ottima conoscenza delle fonti letterarie greche e latine - la ricerca
archeologica era avventura. In proposito osserva Della Fina:
«confrontando l'edizione del 1848 e quella del 1878 si avverte, in
più punti, il suo rimpianto per una stagione diversa e di cui
comprendeva bene il progressivo esaurirsi. L'archeologo iniziava a
divenire un mestiere; affascinante, ma pur sempre un mestiere. Per
lui era stato altro».
“il manifesto”, 27
settembre 2015
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