Aulo Gellio mentre scrive le Notti Attiche Frontespizio d'una edizione olandese (1700 ca.) |
Tre illustri poeti, Gneo
Nevio, Plauto e Marco Pacuvio, composero personalmente il proprio
epitaffio e lo lasciarono da incidere sulla propria tomba. In virtù
della loro eccellenza e bellezza ho ritenuto di doverli trascrivere
in questi miei appunti.
L’epitaffio di Nevio è
gonfio della superbia campana; poteva essere una giusta testimonianza
se non l’avesse scritto lui stesso:
Se agli immortali
fosse dato di piangere i mortali,
le divine Camene
piangerebbero Nevio, il poeta.
E dopo che all’Orco
egli fu consegnato come tesoro,
a Roma non sanno più
parlare in lingua latina.
L’epitaffio di Plauto
avremmo dubitato che sia di Plauto, se non fosse citato da Marco
Varrone nel primo libro Sui Poeti:
Dopo
che Plauto ha raggiunto la morte, piange la Commedia,
è
deserta la Scena, e il Riso, il Divertimento, lo Scherzo
e
i Ritmi innumerevoli, tutti insieme sono scoppiati in lacrime.
L’epitaffio di Pacuvio
è pieno di modestia e di purezza, degno della sua elegantissima
gravità:
Anche se vai di
fretta, o giovane, quest’umile pietra
ti prega di guardarla,
e poi di leggere quel che c’è scritto.
Qui del poeta Marco
Pacuvio giacciono
le ossa. Questo solo
volevo: che tu non lo ignorassi. Addio.
Postilla
Aggiungo,
a corredo, il testo latino dei tre epitaffi, la cui autenticità in
vero è stata dagli studiosi variamente discussa e da non pochi
negata.
Nevio
Inmortales mortales si
foret fas flere,
flerent divae Camenae
Naevium poetam.
Itaque postquam est Orcho
traditus thesauro,
obliti sunt Romae loquier
lingua Latina.
Plauto
Postquam est mortem aptus
Plautus, Comoedia luget,
Scaena est deserta, dein
Risus, Ludus Iocusque
et Numeri innumeri simul
omnes conlacrimarunt.
Pacuvio
Adulescens, tam etsi
properas hoc te saxulum
rogat ut se aspicias,
deinde quod scriptum est legas.
Hic sunt poetae Pacuvi
Marci sita
ossa. Hoc volebam,
nescius ne esses. Vale.
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