L'orgoglio «liberal»
contro gli squali di Wall Street
Come salvare il
capitalismo dell'economista Usa
ed ex ministro del lavoro Robert
Reich
La grande retorica
divenuta pensiero dominante recita che il mercato non ha necessità
dello Stato per funzionare bene. Dà infatti il meglio di sé — nel
garantire un benessere variabile secondo le capacità a tutti gli
abitanti della società — ogni volta che il potere politico smette
di intromettersi nell'attività economica. Più che grande retorica,
avverte Robert Reich nel volume Come salvare il capitalismo
(Fazi editore), è una menzogna bella e buona. Il neoliberismo si
basa infatti su una diversa regolazione dell'attività economica. Non
dunque sull'assenza di regole, ma di norme differenti, antitetiche da
quelle che dagli anni Trenta sono diventate egemoni nel capitalismo.
E se dagli anni Trenta del Novecento, lo Stato era diventato sia il
garante di alcuni diritti sociali — la salute, la pensione, la
formazione — che anche imprenditore, dalla meta degli anni Settanta
dello stesso secolo in poi ha progressivamente cancellato quella
strutture istituzionali, sostituendole con leggi e norme favorevoli
solo alle imprese e demolendo così il «compromesso tra capitale e
lavoro».
Robert Reich è un
liberal che ha ricoperto ruoli politici rilevanti — è stato
ministro del lavoro durante la prima presidenza di Bill Clinton —
ed è un docente apprezzato per uno studio sulle «economie delle
nazioni», ritenuto uno dei primi saggi sulla globalizzazione.
Abbandonato l'incarico istituzionale è tornato nelle aule
universitarie per insegnare economia industriale e economia del
lavoro. Personaggio noto per le sue molteplici collaborazioni con
quotidiani e riviste, ha fatto parlare di sé per l'annuncio di
ritirarsi dalla scena pubblica per dedicarsi alla famiglia e
all'educazione dei figli. Proposito mantenuto per poco tempo, visto
che ha mandato alle stampe moltissimi libri: sul «turbo-capitalismo»,
sulle guerre culturali negli Stati Uniti, sugli effetti della crisi
del 2007-2008 e, infine, sul capitalismo emerso dalla grande crisi.
Decisamente avversario del regime neoliberista è stato spesso
ritenuto un democratico di «sinistra», collocazione politica che
questo libro smentisce decisamente.
Keynesismo di
ritorno
Il titolo — Come
salvare il capitalismo — esprime chiaramente l'obiettivo del
saggio. Ciò che Reich vuol ripristinare è un modo di regolare
l'attività economica e il rapporto tra questa e il sistema politico
che può essere definito keynesiamo. Dunque, diritti sociali
garantiti, nelle forme istituzionali che hanno caratterizzato il
capitalismo statunitense — redistribuzione del reddito,
contenimento della forbice delle diseguaglianza sociali e argini alla
«logica di potenza» delle imprese, che ha portato il sistema
politico di Washington ad essere spesso ostaggio delle lobby. Il suo
è un riformismo light, che non disdegna di usare toni hard
quando si tratta di stigmatizzare le politiche liberiste che hanno
contraddistinto le presidenze repubblicane o della stessa
amministrazione Clinton, nonché delle decisioni delle Corte Suprema
o di leggi approvato dal congresso a favore del capitale. E non è
tenero neppure quando denuncia la subalternità della politica a Wall
Street.
Così si dilunga a lungo
su come le norme sulla proprietà intellettuale hanno solo favorito
le multinazionali high-tech, farmaceutiche, agro-alimentari e
della chimica. Sotto tiro non sono solo le leggi sul diritto d'autore
che hanno reso il software proprietà esclusiva delle imprese, ma
anche i brevetti sui farmaci, che assegnano un potere immenso alle
multinazionali farmaceutiche sulla vita (e la morte) di uomini e
donne. L'immoralità delle loro azioni, argomenta Reich, sta nel
vendere farmaci salvavita a prezzi che sono una minoranza della
società può permettersi.
Ogni esempio scelto
dall'economista ruota attorno allo stesso nucleo argomentativo. Nel
neoliberismo lo Stato non scompare, anzi è molto presente. Ma invece
che essere garante della salute pubblica è diventato il garante
delle strategie capitalistiche. Il case study più eclatante
del libro è però quello relativo allo spostamento di ricchezza dal
lavoro al capitale avvenuto non solo negli Stati Uniti, ma in tutto
il Nord globale.
La precarizzazione del
rapporto di lavoro, la differenziazione tra lavoratori che ancora
accedono alla tutela sanitaria e chi ne è escluso hanno provocato la
crescita di un numeroso esercito di working poor, i lavoratori
poveri costretti a svolgere più lavori per raggranellare un salario
di mera sopravvivenza. Ma a determinare lo spostamento di ricchezza
dal lavoro al capitale è anche la difficoltà di poter accedere a
buoni college e università a causa delle alte retta da
pagare, ostacolo che è spesso aggirato tramite l'indebitamento dei
genitori o dello stesso(a) studente/studentessa.
Reich manifesta nostalgia
per gli istituti del public domain e delle affermative action
che nel recente passato hanno consentito alla società americana di
attivare forme istituzionali di mobilità sociale verso l'alto. Ed è
con questo spirito che difende le proposte, meglio le misure di
Barack Obama sull'innalzamento del salario minimo orario. Per Reich è
la prima misura a favore del lavoro presa da un presidente degli
Stati Uniti da tantissimi anni.
Arrivano i voucher
Reich fa però confusione
sul reddito minimo. Negli Stati Uniti c'è stato anche un
neoliberista radicale come Milton Friedman che è stato a favore di
un reddito minimo garantito nelle forme di voucher per acquistare
alcuni beni e servizi. Non è certo il reddito di cittadinanza
europeo. Semmai è una forma di integrazione del salario o di
sussidio di disoccupazione vincolati comunque alla disponibilità ad
accettare qualsiasi tipo di lavoro che le «agenzie dell'impiego» —
ce ne sono di private e di pubbliche negli Stati Uniti —
propongono. Sta di fatto che per Reich tanto il salario che il
reddito minimo sono misure a favore del lavoro. Perché il
capitalismo si può salvare solo attraverso una redistribuzione della
ricchezza. È questo il riformismo light di Reich. Da condividere,
ovviamente, anche se rimane l'impressione di svuotare l'oceano con un
secchiello. Lodevole intenzione, destinata però ad essere frustrata
dai rapporti di forza esistenti nel capitalismo. E se non si cambiano
quelli ogni intenzione rimane solo lodevole.
il manifesto 28.10.2015
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