29.10.15

Il “patto scellerato”Germania-Urss del 1939 e i falsi moderni (Bruno Morandi)

“La seconda guerra mondiale fu scatenata dall’attacco di Hitler e Stalin alla Polonia, dopo un accordo segreto - rivelato oggi - per la spartizione dell’Europa orientale, accordo che a sua volta era il logico punto di arrivo di una convergenza fra due regimi totalitari”. È questo il messaggio che nei giorni scorsi un giovane un po’ ignaro avrebbe ricavato dai titoli dei giornali, in occasione del cinquantenario dello scoppio della guerra. Ma nessuna giustificata indignazione per il cinismo di Stalin, e per i disastrosi effetti del patto tedesco-sovietico sulla sinistra europea, può esimere dall’affermare che si tratta di un messaggio falso.
La prima cosa che va precisata, come questo giornale ha fatto più volte, è che i protocolli segreti annessi al patto non sono una rivelazione di oggi - la novità è che solo oggi i sovietici ne riconoscono (tardivamente) l’autenticità - perché furono ritrovati fra i documenti tedeschi alla fine della guerra e sono riportati in tutta la pubblicistica occidentale. E inoltre che i patti, e le relative appendici segrete, sono due, uno più generico sulle rispettive «sfere di influenza» firmato il 23 agosto 1939 e l’altro, che configura una vera e propria spartizione (e aggiunge alla sfera sovietica la Lituania, prima assegnata ai tedeschi) firmato il 29 settembre; quest’ultimo particolarmente odioso - c’è anche un impegno a perseguitare ognuno gli avversari dell’altro - ma relativo a una fase successiva allo scoppio della guerra.
Il primo accordo ha una storia precisa, inseparabile da quanto avvenuto un anno prima alla conferenza di Monaco. Non si può ignorare - come spesso accade oggi - che gran parte della diffidenza di Stalin nei confronti delle potenze occidentali traeva origine da quell’accordo, con il quale Chamberlain e Daladier avevano ritenuto di decidere il destino della Cecoslovacchia con Hitler e Mussolini escludendo l’Unione sovietica. E come i loro successori hanno poi riconosciuto, lo avevano fatto nel modo più cinico e autolesionista: strappando con un diktat alla Cecoslovacchia il territorio dei Sudeti, cioè l’intera fascia di confine con la Germania con tutte le sue moderne fortificazioni, violando ogni garanzia precedentemente fornita a quel paese e liquidando così un prezioso alleato contro Hitler (che poi riconobbe di avere bluffato, ammettendo che in quel momento l’esercito tedesco non era in grado di superare quelle fortificazioni).
Come è noto il patto di Monaco, e la «garanzia perpetua» tedesca ai nuovi confini cechi, durarono meno di sei mesi. Quando nel marzo ’39 la Germania smembrò e occupò quel che restava della Cecoslovacchia, Francia e Inghilterra si resero conto di quanto valessero gli accordi con Hitler: come si è appreso dai verbali trovati dopo la guerra, questi vedeva in ogni concessione una prova della decadenza delle democrazie occidentali, e quindi la possibilità di una nuova aggressione. E si trovarono a dover garantire alla Polonia, che già si profilava come nuova vittima di Hitler, un appoggio logisticamente difficilissimo e ancora più inseparabile da un accordo con i sovietici, che questa volta era anche ostacolato in ogni modo dagli incoscienti militari che governavano la Polonia.
Ne seguì la fatale estate 1939 in cui Stalin tempestava per una immediata riunione con rappresentanti militari anglofrancesi forniti di pieni poteri; mentre i governi di quei paesi, premuti dalla destra interna e dall’antisovietismo dei fascisti polacchi, gli inviavano - non in aereo ma in nave - una delegazione guidata da un ammiraglio richiamato dalla riserva, priva di poteri reali ed esplicitamente incaricata di perder tempo. Fu a questo punto, poco prima di ferragosto, che Stalin cominciò a venire incontro alle proposte di accordo di Hitler, che aveva già fissato l’attacco alla Polonia; e dopo un ultimatum alla delegazione anglo-francese per un accordo militare immediato diede il via al patto Ribbentrop-Molotov, per firmare il quale Hitler rinviò di una settimana l’invasione.
Da questo succinto riassunto dei fatti, tutti risultati da documenti ufficiali e oggi non contestati da nessuno, esce assolutamente smentita ogni particolare propensione di Stalin all’accordo con la Germania, anche dopo Monaco. E non si può nemmeno sostenere che il patto, che certamente tranquillizzava Hitler rispetto ai timori di una guerra su due fronti, abbia determinato l’invasione della Polonia; oggi sappiamo - sempre grazie ai preziosi verbali ritrovati in Germania dopo la guerra - che il disprezzo di Hitler per le «smidollate democrazie» gli faceva sperare di poter rinviare comunque lo scontro a Occidente, e che egli fu in una certa misura colto di sorpresa dal fatto che questa volta esse rispettassero gli impegni dichiarando la guerra.
Un simile giudizio, che giustifica sostanzialmente la firma sovietica del primo patto - o almeno ripartisce fra tutti i membri della futura alleanza anti-nazista la responsabilità di non aver saputo fermare Hitler quando ancora era possibile - non può però essere esteso al «trattato tedesco-sovietico di amicizia e delle frontiere» firmato dopo la sconfitta in quindici giorni dell’esercito polacco e l’occupazione da parte di Stalin, nella seconda metà di settembre, della «sua» fetta di Polonia; e tanto meno ai successivi comportamenti di quest’ultimo. La trasformazione della linea di demarcazione del primo patto in definitiva spartizione (sembra che sia stato proprio Stalin il primo a proporre di non lasciare in vita nessuna porzione dello Stato polacco), e delle altre «zone di influenza» in pura e semplice annessione delle repubbliche baltiche e nella successiva aggressione alla Finlandia, rappresentano l’avvio di una politica cinica e brutale, pronta a mercanteggiare con Hitler rifornimenti e basi navali al Nord in cambio di vantaggi territoriali; e anche, come è ormai quasi certo, a sterminare a Katyn gli ufficiali polacchi. E che con tragiche conseguenze viene anche presentata al movimento comunista internazionale come qualcosa che ha anche delle giustificazioni teoriche, al di là di un puro e semplice «stato di necessità».

Si può ritenere che a un certo punto Stalin abbia realmente creduto in un’alleanza stabile? Non ne ho notizia, anche se non c’è dubbio che l’alleanza è stata rotta dalla Germania e che l’aggressione del giugno 1941 abbia colto Stalin di sorpresa; e purtroppo le inesauribili rivelazioni sulle sue imprese inducono ormai ad aspettarsi qualsiasi cosa. Ma va anche aggiunto - sia pure con magra soddisfazione perché questa certezza viene soprattutto da Hitler - che una simile convergenza, lungi dall’essere un logico «incontro fra totalitarismi», non ha fatto parte in nessun momento del novero delle cose possibili: l’eliminazione dell’Unione sovietica e lo «spazio vitale» all’Est erano un punto fondativo dei programmi e della cultura nazisti, ed è certo che ogni istante del cupo anno e mezzo in cui Stalin e Hitler si sono ritrovati alleati sia stato vissuto, forse dal primo ma sicuramente dal secondo, esclusivamente come momentaneo rinvio di uno scontro che era scritto nell’ordine delle cose.

"il manifesto", 24 agosto 1989

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