“La seconda guerra
mondiale fu scatenata dall’attacco di Hitler e Stalin alla Polonia,
dopo un accordo segreto - rivelato oggi - per la spartizione
dell’Europa orientale, accordo che a sua volta era il logico punto
di arrivo di una convergenza fra due regimi totalitari”. È questo
il messaggio che nei giorni scorsi un giovane un po’ ignaro avrebbe
ricavato dai titoli dei giornali, in occasione del cinquantenario
dello scoppio della guerra. Ma nessuna giustificata indignazione per
il cinismo di Stalin, e per i disastrosi effetti del patto
tedesco-sovietico sulla sinistra europea, può esimere dall’affermare
che si tratta di un messaggio falso.
La prima cosa che va
precisata, come questo giornale ha fatto più volte, è che i
protocolli segreti annessi al patto non sono una rivelazione di oggi
- la novità è che solo oggi i sovietici ne riconoscono
(tardivamente) l’autenticità - perché furono ritrovati fra i
documenti tedeschi alla fine della guerra e sono riportati in tutta
la pubblicistica occidentale. E inoltre che i patti, e le relative
appendici segrete, sono due, uno più generico sulle rispettive
«sfere di influenza» firmato il 23 agosto 1939 e l’altro, che
configura una vera e propria spartizione (e aggiunge alla sfera
sovietica la Lituania, prima assegnata ai tedeschi) firmato il 29
settembre; quest’ultimo particolarmente odioso - c’è anche un
impegno a perseguitare ognuno gli avversari dell’altro - ma
relativo a una fase successiva allo scoppio della guerra.
Il primo accordo ha una
storia precisa, inseparabile da quanto avvenuto un anno prima alla
conferenza di Monaco. Non si può ignorare - come spesso accade oggi
- che gran parte della diffidenza di Stalin nei confronti delle
potenze occidentali traeva origine da quell’accordo, con il quale
Chamberlain e Daladier avevano ritenuto di decidere il destino della
Cecoslovacchia con Hitler e Mussolini escludendo l’Unione
sovietica. E come i loro successori hanno poi riconosciuto, lo
avevano fatto nel modo più cinico e autolesionista: strappando con
un diktat alla Cecoslovacchia il territorio dei Sudeti, cioè
l’intera fascia di confine con la Germania con tutte le sue moderne
fortificazioni, violando ogni garanzia precedentemente fornita a quel
paese e liquidando così un prezioso alleato contro Hitler (che poi
riconobbe di avere bluffato, ammettendo che in quel momento
l’esercito tedesco non era in grado di superare quelle
fortificazioni).
Come è noto il patto di
Monaco, e la «garanzia perpetua» tedesca ai nuovi confini cechi,
durarono meno di sei mesi. Quando nel marzo ’39 la Germania smembrò
e occupò quel che restava della Cecoslovacchia, Francia e
Inghilterra si resero conto di quanto valessero gli accordi con
Hitler: come si è appreso dai verbali trovati dopo la guerra, questi
vedeva in ogni concessione una prova della decadenza delle democrazie
occidentali, e quindi la possibilità di una nuova aggressione. E si
trovarono a dover garantire alla Polonia, che già si profilava come
nuova vittima di Hitler, un appoggio logisticamente difficilissimo e
ancora più inseparabile da un accordo con i sovietici, che questa
volta era anche ostacolato in ogni modo dagli incoscienti militari
che governavano la Polonia.
Ne seguì la fatale
estate 1939 in cui Stalin tempestava per una immediata riunione con
rappresentanti militari anglofrancesi forniti di pieni poteri; mentre
i governi di quei paesi, premuti dalla destra interna e
dall’antisovietismo dei fascisti polacchi, gli inviavano - non in
aereo ma in nave - una delegazione guidata da un ammiraglio
richiamato dalla riserva, priva di poteri reali ed esplicitamente
incaricata di perder tempo. Fu a questo punto, poco prima di
ferragosto, che Stalin cominciò a venire incontro alle proposte di
accordo di Hitler, che aveva già fissato l’attacco alla Polonia; e
dopo un ultimatum alla delegazione anglo-francese per un accordo
militare immediato diede il via al patto Ribbentrop-Molotov, per
firmare il quale Hitler rinviò di una settimana l’invasione.
Da questo succinto
riassunto dei fatti, tutti risultati da documenti ufficiali e oggi
non contestati da nessuno, esce assolutamente smentita ogni
particolare propensione di Stalin all’accordo con la Germania,
anche dopo Monaco. E non si può nemmeno sostenere che il patto, che
certamente tranquillizzava Hitler rispetto ai timori di una guerra su
due fronti, abbia determinato l’invasione della Polonia; oggi
sappiamo - sempre grazie ai preziosi verbali ritrovati in Germania
dopo la guerra - che il disprezzo di Hitler per le «smidollate
democrazie» gli faceva sperare di poter rinviare comunque lo scontro
a Occidente, e che egli fu in una certa misura colto di sorpresa dal
fatto che questa volta esse rispettassero gli impegni dichiarando la
guerra.
Un simile giudizio, che
giustifica sostanzialmente la firma sovietica del primo patto - o
almeno ripartisce fra tutti i membri della futura alleanza
anti-nazista la responsabilità di non aver saputo fermare Hitler
quando ancora era possibile - non può però essere esteso al
«trattato tedesco-sovietico di amicizia e delle frontiere» firmato
dopo la sconfitta in quindici giorni dell’esercito polacco e
l’occupazione da parte di Stalin, nella seconda metà di settembre,
della «sua» fetta di Polonia; e tanto meno ai successivi
comportamenti di quest’ultimo. La trasformazione della linea di
demarcazione del primo patto in definitiva spartizione (sembra che
sia stato proprio Stalin il primo a proporre di non lasciare in vita
nessuna porzione dello Stato polacco), e delle altre «zone di
influenza» in pura e semplice annessione delle repubbliche baltiche
e nella successiva aggressione alla Finlandia, rappresentano l’avvio
di una politica cinica e brutale, pronta a mercanteggiare con Hitler
rifornimenti e basi navali al Nord in cambio di vantaggi
territoriali; e anche, come è ormai quasi certo, a sterminare a
Katyn gli ufficiali polacchi. E che con tragiche conseguenze viene
anche presentata al movimento comunista internazionale come qualcosa
che ha anche delle giustificazioni teoriche, al di là di un puro e
semplice «stato di necessità».
Si può ritenere che a un
certo punto Stalin abbia realmente creduto in un’alleanza stabile?
Non ne ho notizia, anche se non c’è dubbio che l’alleanza è
stata rotta dalla Germania e che l’aggressione del giugno 1941
abbia colto Stalin di sorpresa; e purtroppo le inesauribili
rivelazioni sulle sue imprese inducono ormai ad aspettarsi qualsiasi
cosa. Ma va anche aggiunto - sia pure con magra soddisfazione perché
questa certezza viene soprattutto da Hitler - che una simile
convergenza, lungi dall’essere un logico «incontro fra
totalitarismi», non ha fatto parte in nessun momento del novero
delle cose possibili: l’eliminazione dell’Unione sovietica e lo
«spazio vitale» all’Est erano un punto fondativo dei programmi e
della cultura nazisti, ed è certo che ogni istante del cupo anno e
mezzo in cui Stalin e Hitler si sono ritrovati alleati sia stato
vissuto, forse dal primo ma sicuramente dal secondo, esclusivamente
come momentaneo rinvio di uno scontro che era scritto nell’ordine
delle cose.
"il manifesto", 24 agosto 1989
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