Il discobolo di Mirone - Museo Nazionale Romano - Palazzo Massimo alle Terme |
Chi assisterà ai
Campionati Atletici Internazionali che si svolgeranno a Roma dal 29
agosto vedrà giovani d'ambo i sessi fornire prestazioni
sorprendenti. Attitudine naturale, tenacia, addestramento e rigida
applicazione delle tecniche inerenti a ciascun esercizio permettono
di ottenere dal proprio corpo risultati che sono preclusi a chi non è
professionista. Gli stessi corpi asciutti e vigorosi negli stessi
atteggiamenti compiono esercizi analoghi, forse antiche tattiche di
guerra trasformate in prove ginniche, completamente nudi, nelle
sculture e nelle pitture vascolari che saranno esposte in
Campidoglio, nel Palazzo dei Conservatori, nella mostra intitolata
Athlas e atleti nell'antica Grecia dal 26 c.m. e in quella che
verrà inaugurata il 27 nel Museo della Civiltà Romana, dal titolo
Ludi, Munera e Certamina, nomi dei varii tipi di agonismo a
Roma.
Tra le gare del mondo
antico e quelle attuali esistono però spiccate differenze, non solo
per il tipo di sports e il modo di praticarli, ma per lo spirito dei
competitori e del pubblico. Dopo le esequie di Patroclo, spento il
rogo, raccolte le ceneri, Achille propone ricchi premi a quelli degli
Achei che vorranno cimentarsi nei giochi; agli occhi di Omero,
nell'VIII secolo, gli agoni avevano carattere esclusivamente
funerario, costituivano un omaggio ai defunti come a Roma e in
Etruria, del resto, i duelli dei gladiatori (ancora Cesare e Augusto
ne offrirono a loro spese in suffragio dei loro cari).
I giochi olimpici
iniziarono come omaggio a Pelope, il mitico eroe che dette il nome al
Peloponneso; ma l'Odissea, posteriore all'Iliade,
riflette un diverso costume: al termine del banchetto, il re dei
Feaci invita i presenti a mostrare la loro abilità allo straniero
che non ha ancora rivelato il suo nome affinché, una volta tornato
in patria, riferisca quanto essi eccellono in giochi d'ogni sorta,
dato che, aggiunge l'ospitale Alcinoo, non c'è gloria più alta per
l'uomo di quella che si procura con le mani e con i piedi. Questo è
forse il primo esempio di una competizione che non ha altro fine che
l'intrattenimento; non sappiamo se gli spettatori seduti sulle
gradinate dell' affresco di Creta nella tauromachia scorgessero uno
spettacolo o un rito e se i due pugili adolescenti di Santorino
facessero un gioco, uno sport o una iniziazione (XV secolo a.C.).
Gli atleti greci si
esibivano secondo un programma minuziosamente regolato: i cinque
esercizi del Pentathlon si succedevano sempre nello stesso ordine:
salto in lungo, lancio del disco (che pesava più di 2 kg), del
giavellotto, corsa (di 200, 370 e 4.400 m.) e lotta. A questa era
ammesso solo chi aveva superato con successo le prove precedenti.
Seguivano il pugilato, il pancrazio (lotta e pugilato insieme) e le
corse dei cavalli su bighe e quadrighe, che forse ispirarono ai
pittori la prima prospettiva.
Per poter partecipare
alle Olimpiadi, che erano le gare più importanti, i concorrenti
dovevano essere incensurati, figli di genitori greci, compiere un
allenamento di trenta giorni sulle piste prescritte, giurare di
battersi lealmente e sacrificare un cinghiale a Zeus. Va tenuta
presente la componente religiosa delle gare e l'alto valore morale
della competizione. Athlas significa gara e premio, ma questo, tranne
che nelle Panatenee, non consisteva in denaro, bensì in corone
d'oro, orci d'olio e le famose anfore panatenaiche che saranno
esposte a Roma, provenienti da tombe di Taranto. I compensi in denaro
furono dati ai professionisti che dalle gare traevano di che vivere
in epoca più tarda, quando ebbero accesso alle arene atleti di
qualsiasi ceto sociale e non, come agli inizi in una società
schiavistica, soltanto i signori, i soli che potessero permettersi i
lunghi allenamenti, il possesso di attrezzi e di cavalli, la
compagnia d'un allenatore e le spese di viaggio e di soggiorno nei
luoghi dove si svolgevano i giochi; oltre alle citate Olimpia e
Atene, a Corinto, dove si celebravano i frequentatissimi giochi
istmici (qui Tito Quinto Flaminino, dopo la vittoria di Cinocefale
del 197 a.C., proclamò alla folla che i romani avrebbero concesso la
libertà ai greci); a Nemea, dove avvenivano le gare Nemee in memoria
di Eracle.
Ma anche se non
arricchiva in seguito alla sua vittoria, all'atleta valoroso
spettavano grandi onori e privilegi quando rientrava in patria
attraverso una breccia aperta nelle mura per il suo ritorno:
diventava la gloria della sua famiglia e l'eroe della città. Il
premio più ambito e anche costoso era l'epinicio composto in suo
onore da un poeta famoso, come Pindaro o Bacchilide; e poi la statua,
in legno le più antiche e poi in bronzo. Non si trattava d'un vero e
proprio ritratto l'arte greca rifuggiva dalla rappresentazione della
realtà e inoltre si riteneva immorale che un essere umano si vedesse
riprodotto com'era. Era l' immagine generica e idealizzata via via
del fanciullo, sotto i sedici anni, del giovane, dai sedici ai venti,
o dell'uomo, a seconda della classe nella quale il campione si era
esibito e aveva vinto; di lui veniva consegnato alla venerazione
soltanto il nome, inciso nell'iscrizione insieme a quello
dell'artista.
Il grandissimo numero di
statue di atleti di cui ci è pervenuta notizia, di cui in rari casi
possediamo copie romane e, in casi ancor più rari, gli originali,
dimostra fino a che punto il soggetto fosse frequente. Le opere più
famose, come ad esempio il Discobolo di Mirone, testimoniano
l'attento studio dell'anatomia e il culto della bellezza tipico dei
greci. Esse appartengono a grandi nomi, come quelli di Policleto e di
Lisippo. A quest'ultimo ha dedicato recentemente un saggio eccellente
l' archeologo Paolo Moreno (Vita e arte di Lisippo, Il
Saggiatore, pagg. 302, lire 40.000). A questo scultore, contemporaneo
di Alessandro, furono attribuiti 1.500 bronzi.
Resta l'Agia, l'atleta
che s'incorona e quello che si deterge con lo strigile, oggetto
immancabile nelle tombe degli atleti (come quelle di Taranto) insieme
alla fiaschetta dell'unguento, detta alabastron e spesso le
halteres, manubri di ferro che si usavano nel salto in lungo
(ciò esclude che il tuffatore di Paestum fosse un atleta poiché
questi oggetti mancano e tuffo e nuoto non erano esercizi praticati
dagli atleti). Dal V secolo in poi le gare compresero anche prove
musicali, poetiche e filosofiche; Esiodo aveva già vinto un tripode
in un concorso poetico, però ancora di carattere funerario (V
secolo), mentre nel IV entrarono in competizione Platone, Euripide e
altri.
All'inizio i concorrenti
appartenevano all'élite, poi la cultura fisica si diffuse con i
ginnasi, l'ambiente divenne meno esclusivo, ma lo sport
professionistico retribuito fu guardato con disprezzo dai nobili e
dagli intellettuali. Contribuì a questo atteggiamento non solo lo
snobismo conservatore ma anche l' antagonismo fra materia e spirito,
subentrato nel pensiero greco e fors'anche il degrado spirituale dei
campioni, limitati al solo esercizio fisico: basta vedere i ceffi
brutali degli atleti nei mosaici romani. Lentamente, si fece il tifo
per il musico, il poeta, il danzatore. Poi l'agonistica si trasferì
presso i parvenus romani e furono organizzati giochi e gare di
stile greco, specialmente da imperatori filelleni, come Nerone e
Adriano: manca solo, scrisse Tacito a proposito delle gare indette da
Nerone, che si presentino nudi, non sospettando certo le iniziative
elettorali dell'on. Pannella.
Domiziano a sua volta
istituì il Certamen Capitolino, che comprendeva gare di
retorica, poesia, canto, flauto, corse, pugilato, lotta e carri. La
condanna del professionismo ha una componente di snobismo
intellettuale e cela anche quel graduale passaggio dalla materia allo
spirito, dal lavoro manuale a quello intellettuale, che si riflette
nella lingua, dove i vocaboli concreti cedono spazio a quelli
astratti e alcuni mutano significato. L'ultima fase di questo
processo si rivela nelle immagini, quando i premi degli atleti
vittoriosi, rami di palma e corone, saranno trasferiti ai martiri
dipinti nelle catacombe, perché hanno superato la prova e hanno
sgominato la morte.
La civiltà occidentale
deve molto all'agonismo antico, poiché da esso proviene non solo lo
sviluppo di conoscenze anatomiche e il progresso dell'arte
figurativa, ma anche un alto messaggio morale: per tutta la durata
dei giochi di Olimpia in tutta la Grecia erano sospese le ostilità;
entrare armati nel recinto sacro era sacrilegio. Partecipare alle
gare significava, per uomini provenienti dall'Asia come dalla Magna
Grecia, sentirsi appartenenti alla stessa cultura, rispettosa di
valori comuni. Nella competizione, fisica o intellettuale, si
riflette il tipico atteggiamento greco che postula dialogo, confronto
tra pari e al tempo stesso regolarità, ordine, misura: le basi
fondamentali della democrazia.
“la Repubblica”, 22
agosto 1987
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