Copertina del volume fotografico "Yosemite in the Sixties" di Glen Denny (Hardcover Book)
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Il Sessantotto è passato
dappertutto, anche su pareti e alte montagne. È questa la tesi della
rivista specializzata, “Alp”, nel numero di ottobre (Editore
Vivalda, lire 5000). Proprio «attorno al Sessantotto», spiega Alp,
in un inserto curato da Enrico Camanni, maturarono nuove concezioni
dell’alpinismo e soprattutto un nuovo rapporto tra l’uomo,
scalatore o escursionista, I ambiente, attraverso una critica ai miti
consolidati nella tradizione (anche letteraria). Contro l'alpinismo
eroico e la retorica del rischio e della sofferenza, i giovani
d'allora scoprirono il gioco dell’arrampicata, fino a teorizzarlo
come momento di rottura con la storia passata. Da lì nacque il
free-climb, l'arrampicata su brevi falesie, che rinunciava
alla vetta (anch'esso simbolo retorico), preferendole il puro gesto
atletico e tecnico. Il cerchio si richiude su se stesso: il
free-climb è diventato sport di massa, riproponendo e
ricostruendo ancora miti e soprattutto mode e mistificazioni.
Immagini
dal volume fotografico "Yosemite in the Sixties" di Glen Denny
(Hardcover Book)
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Riproporre un
«Sessantotto alpino» non è poi tanto azzardato. Come sempre tutto
cominciò negli Stati Uniti, tra le montagne dello Yosemite, con Gary
Hemming, Royal Robbins, Chuck Pratt, rappresentanti particolari di
una generazione beat che aveva scelto anche quella strada per
contestare la società dei consumi, il Vietnam, la politica, per
testimoniare, come i giovani di Berkeley, un rifiuto.
“Alp” ricostruisce
quegli anni attraverso gli intervemi di numerosi protagonisti di
quelle vicende e una breve antologia (compaiono le firme di Messner,
Gogna, Reinhard Karl, Andrea Gobetti, Franco Brevini).
L'apertura è affidata a
Pasolini: «... oh generazione sfortunata, arriverai alla mezza età
e poi alla vecchiaia senza aver goduto ciò che avevi diritto di
godere...».
Articolo redazionale -
“l’Unità” Mercoledì 5 ottobre 1988
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