"Rivoluzionari" ( August Sander) Al centro Erich Mühsam |
Nei primi tre decenni del
secolo, tra Monaco e Berlino, Erich Mühsam visse come divorato da
una febbre. Fu soave e implacabile, un piccolo angelo privo di ali
caduto sulla terra a mostrare il miracolo di un far nulla che era un
fare tutto, flanerie e immolazione di sé, impegno e
scrittura, felicità e disincanto. Fu uno di quegli uomini - come il
poeta e traduttore Ferdinand Hardekopf, come Peter Altemberg, Paul
Scheerbart, Franz Hessel - amatissimi da Walter Benjamin, che li
considerava stemmi indispensabili alla bellezza e alla verità del
mondo. Nel caso di Mühsam fu anche e innanzitutto il martirio.
Infatti, è col suo carico di sangue, intransigenza libertaria,
dispendio e ingenuità che egli giunge fino a noi. Dal cabaret
alle barricate (Elèuthera, pp. 220, L. 24.000) è un libro
bellissimo e commovente che viene, inoltre, a colmare una mancanza
che ci impoveriva di uno sguardo fatale su un periodo decisivo del
Novecento. Tradotto e curato da Alessandro Fambrini e Nino Muzzi,
esso contiene poesie, saggi, prose, pagine di diario che accompagnano
le vicende di un cuore ribelle, marchiate dalle bruciature degli
avvenimenti storici e culturali nel punto più caldo di un paesaggio
essenziale, irresistibile, pieno di irradiazioni modernissime.
Un testimone descrive
Mühsam come «un uomo smilzo, con un barbone incolto, gli occhi
penetranti e le mani delicate». Negli anni precedenti allo scoppio
del primo grande conflitto mondiale, in un caffè di Monaco, l’amico
Frank Wedekind lo ammonì con amore: «Lei cavalca in piedi su due
cavalli che corrono in direzioni opposte. Finiranno per smembrarla».
Lo scrittore pensava da un lato alla letteratura, al teatro, al
cabaret, e dall’altro all’impegno politico, alla passione
anarchica, anche - forse - a quella forza di profezia così terribile
e inguardabile. Appunto: anarchico, ebreo (si professò sempre ateo,
eppure un sentimento messianico nelle pagine e nei discorsi appare
come elemento essenziale e risolutivo), omosessuale, fautore di un
amore liberato e di una libera maternità, antimilitarista naturale,
per lui la poesia coincideva con il mondo e la forza della parola era
tale solo nel caso che riuscisse a incarnarsi nella concretezza di
una voce, di un corpo votato al naufragio.
In questa antologia le
prose più lancinanti sono quelle che sfrigolano con la memoria o con
gli affetti: il lungo ricordo della contessa Franziska Reventlow,
l’autrice de Il complesso del denaro, «con quella vita così
orientata verso il futuro» e il cuore «pieno di nostalgia per un
mondo fatto di gente bella e libera»; o il ritratto di Gustav
Landauer, amico e maestro; o, ancora, la descrizione del quartiere di
Schwabing, Montmartre di Monaco, con i suoi caffè e i cabaret e gli
artisti; la simpatia ricambiata per Heinrich Mann. Ma naturalmente
impressiona anche altro, come Bohème, un saggio del 1906, nel
quale Mühsam ferisce in maniera mortale la borghesia e il
filisteismo. Meglio - molto meglio - i ladri e le prostitute.
Intorno al 1905, egli
collaborò alla rivista «Die Fackel» di Karl Kraus. Il tono di
certe meravigliose considerazioni, una scrittura tesa e asciutta, ce
lo ricordano, insieme a un’eticità alta, laica. Non sopportava i
gruppi - neppure quelli anarchici - e neanche l’autoritarismo di
Erwin Piscator, oltre a non condividerne l’idea di teatro
educativo. Per lui, il teatro doveva servire a «infiammare» l’anima
del proletariato.
Erich Mühsam torturato dai nazisti in un disegno di George Grosz |
Nel 1910 fu arrestato per
la prima volta. Ma il peggio doveva arrivare. Dopo il fallimento
della Repubblica Bavarese dei Consigli e il successivo putsch
socialdemocratico, Mühsam fu arrestato e condannato a quindici anni
di carcere. Era il 1919, fu liberato cinque anni dopo. In carcere
vide con lucidità il pericolo fascista in Europa. Quando uscì di
prigione gli restavano pochi anni che riempì di azioni, gesti, cose,
opere. Fondò la rivista «Fanal» e scrisse due drammi importanti,
Judas e Ragion di Stato, un monumento a Sacco e
Vanzetti, nel ’28. L’epica nella vita e non sulla carta. Nella
notte dell’incendio del Reichstag, nel 33, fu arrestato dai
nazisti, trascinato da un carcere all’altro, torturato e seviziato,
ridotto a «caricatura del tipo ebreo». Gli spezzarono i pollici
perché non riuscisse più a scrivere. Il 10 luglio del 34 l’«ebreo
rosso» muore nel lager di Oranienburg.
“alias il manifesto”
ritaglio senza data ma 1999
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