Tanti, tantissimi anni
fa, avevo avuto modo di conoscere un tale - credo fosse, allora,
settantenne! -, che, vissuto sempre con delle sorelle di lui ancor
più vecchie, era da queste affettuosamente chiamato "lu
carusu". Il nostro aveva accumulato, nel tempo, una
ricchezza enorme, tutto votandosi al culto febbrile della verghiana
"roba", seppur conducesse, per contro, una vita assai
grama, quasi da mendico, consumato com'era da un'avarizia
"molièriana".
Egli, però, non aveva
rinunciato a tentar di metter su famiglia, sì che, essendo appunto
un "carusu" ancora, ogni giorno aspettava che le
ragazze giovanissime, che allora frequentavano il Magistrale,
uscissero da scuola, osservandole minuziosamente e valutandone
aspetto, forme, movenze. Ad un suo coetaneo, che, un giorno, ebbe a
chiedergli se non fosse il caso dismettesse la ricerca improbabile di
una giovanissima compagna, piuttosto indirizzando il suo interesse
verso donne che gli fossero coetanee o quasi, ebbe a rispondere
"sapidamente" : "La ficu tecchia 'ngresta
m'allammica... la bifarazza sfatta mi scuncerta".
N.d.R.
Traduzione
della sapida battuta per gl'ignari del dialetto (ma perde moltissimo
in concentrazione e in efficacia): “Il fico un po' immaturo mi
mette l'acquolina in bocca, il ficaccio disfatto mi dà il vomito”.
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