5.10.15

Imprese e antimafia. Come distinguere quella fasulla? (Riccardo Orioles)

Roberto Helg e Antonello Montante
Fior di viola, splendente,
vivi nei canti, Atene,
tu che hai difeso l'Ellade, tu ardita,
tu città degli dei...”

Ma insomma, come faccio a distinguere l'antimafia fasulla da quella di cui fidarsi? Facilissimo: quella povera è quella vera. L'antimafia, difatti, è gratis. Perciò non puoi farci soldi o carriera. Puoi rischiare la pelle, questo sì, puoi farti emarginare dappertutto, puoi - ovviamente - restare senza lavoro, puoi anche fare la fame se occorre. Tutte queste belle cose puoi fare, e altre ancora. Ma soldi e carriera no.
Ci spiace, ma non l'abbiamo messa noi questa regola. A noi piacerebbe di più ricevere - in un paese civile - soldi, onori, carriere felici e tranquille, e magari qualche buona parola.
Ci piacerebbe anche di più poter promettere tutte queste belle cose ai ragazzi che, un anno dopo l'altro, arrivano freschi e decisi: “Voglio dare una mano all'antimafia”.
Ma, in un paese civile.
In questo, la prima cosa che insegniamo è: “Ragazzi, l'antimafia si paga”. Eppure, non restiamo mai soli.

Al servizio dei grandi imprenditori
La mafia, in Sicilia, nasce storicamente al servizio dei grandi imprenditori del comparto agricolo e successivamente industriale. Già nel 1920, a Palermo, giustiziò per loro conto il sindacalista Fiom Giovanni Orcel; negli anni '40-'60, per conto dei latifondisti, venne assassinato un centinaio di dirigenti contadini.
“Imprenditore”, in Sicilia, non è una gran bella parola, e comunque con l'antimafia ha sempre avuto poco a che fare.
Così, desta poca sorpresa la “scoperta” che le proclamazioni di questo o quell'esponente dell'imprenditoria “antimafia” andavano in realtà prese cum grano salis. In realtà, la vera sorpresa è data dalla facilità con cui tutta una serie di personaggi del genere ha potuto essere presa sul serio dall'antimafia“perbene”, quella almeno di provenienza non popolare.
I motivi son tanti. Primo, l'approssimazione politica di gran parte della nuova antimafia, dove la ripetizione di buoni principi sostituisce spesso la lucidità delle analisi e la radicalità delle azioni. Secondo, è molto più facile prendere a interlocutori (finché non smascherati) i vari Montante e Helg che non gli Umberto Santino o “i Siciliani”. I primi hanno denari da mettere nei vari “rinnovamenti”, e i secondi no; i primi non minacciano in alcun modo l'assetto sociale “perbene”, e i secondi sì. Ma così va il mondo; e noi perdoniamo volentieri agli amici perbene quella che non è certo malafede ma solo disattenzione e pigrizia.
Noi, all'antimafia dei simboli, preferiamo quella palpabile e concreta. Che fare dei beni confiscati? Affidarli ai Montante o magari (come gl'immigrati) ai Castiglione? Questo, ormai è pacifico, non si può fare più. Metterli all'asta, come dice il capo della commissione “antimafia” siciliana, Musumeci? Allora tanto varrebbe ridarli direttamente ai mafiosi.
Invece bisogna farne beni sociali, distribuirli con equità, farne economia sana. Questo è ciò che sostiene Libera da metà anni '90, e noi da dieci anni prima. E fra il buon elefante e le formichine, sarà ben difficile per le bestie feroci - gattopardi e iene - rimettere le zampe sulla preda.


Da “i Siciliani giovani”, n.25 marzo 2015  

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