Roberto Helg e Antonello Montante |
“Fior di viola,
splendente,
vivi nei canti, Atene,
tu che hai difeso
l'Ellade, tu ardita,
tu città degli dei...”
Ma insomma, come faccio a
distinguere l'antimafia fasulla da quella di cui fidarsi?
Facilissimo: quella povera è quella vera. L'antimafia, difatti, è
gratis. Perciò non puoi farci soldi o carriera. Puoi rischiare la
pelle, questo sì, puoi farti emarginare dappertutto, puoi -
ovviamente - restare senza lavoro, puoi anche fare la fame se
occorre. Tutte queste belle cose puoi fare, e altre ancora. Ma soldi
e carriera no.
Ci spiace, ma non
l'abbiamo messa noi questa regola. A noi piacerebbe di più ricevere
- in un paese civile - soldi, onori, carriere felici e tranquille, e
magari qualche buona parola.
Ci piacerebbe anche di
più poter promettere tutte queste belle cose ai ragazzi che, un anno
dopo l'altro, arrivano freschi e decisi: “Voglio dare una mano
all'antimafia”.
Ma, in un paese civile.
In questo, la prima cosa
che insegniamo è: “Ragazzi, l'antimafia si paga”. Eppure, non
restiamo mai soli.
Al servizio dei
grandi imprenditori
La mafia, in Sicilia,
nasce storicamente al servizio dei grandi imprenditori del comparto
agricolo e successivamente industriale. Già nel 1920, a Palermo,
giustiziò per loro conto il sindacalista Fiom Giovanni Orcel; negli
anni '40-'60, per conto dei latifondisti, venne assassinato un
centinaio di dirigenti contadini.
“Imprenditore”, in
Sicilia, non è una gran bella parola, e comunque con l'antimafia ha
sempre avuto poco a che fare.
Così, desta poca
sorpresa la “scoperta” che le proclamazioni di questo o
quell'esponente dell'imprenditoria “antimafia” andavano in realtà
prese cum grano salis. In realtà, la vera sorpresa è data
dalla facilità con cui tutta una serie di personaggi del genere ha
potuto essere presa sul serio dall'antimafia“perbene”, quella
almeno di provenienza non popolare.
I motivi son tanti.
Primo, l'approssimazione politica di gran parte della nuova
antimafia, dove la ripetizione di buoni principi sostituisce spesso
la lucidità delle analisi e la radicalità delle azioni. Secondo, è
molto più facile prendere a interlocutori (finché non smascherati)
i vari Montante e Helg che non gli Umberto Santino o
“i Siciliani”. I primi hanno denari da mettere nei vari
“rinnovamenti”, e i secondi no; i primi non minacciano in alcun
modo l'assetto sociale “perbene”, e i secondi sì. Ma così va il
mondo; e noi perdoniamo volentieri agli amici perbene quella che non
è certo malafede ma solo disattenzione e pigrizia.
Noi, all'antimafia dei
simboli, preferiamo quella palpabile e concreta. Che fare dei beni
confiscati? Affidarli ai Montante o magari (come gl'immigrati) ai
Castiglione? Questo, ormai è pacifico, non si può fare più.
Metterli all'asta, come dice il capo della commissione “antimafia”
siciliana, Musumeci? Allora tanto varrebbe ridarli direttamente ai
mafiosi.
Invece bisogna farne beni
sociali, distribuirli con equità, farne economia sana. Questo è ciò
che sostiene Libera da metà anni '90, e noi da dieci anni prima. E
fra il buon elefante e le formichine, sarà ben difficile per le
bestie feroci - gattopardi e iene - rimettere le zampe sulla preda.
Da “i Siciliani
giovani”, n.25 marzo 2015
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