5.10.15

Tutti i meriti del paganesimo. Intervista a Mario Perniola (Letizia Paolozzi)

Pare che i nostri tempi vedano un ritorno di interesse per le culture che presentano una dimensione plurale del divino. Ma sì, per le religioni politeistiche. Così, a discutere intorno alla nozione di corpo in queste religioni, oggi e domani si tiene alla II Università di Roma, Facoltà di lettere e filosofia, un convegno internazionale. Tema: Corpo degli dei corpo degli uomini. Interventi di studiosi francesi da Jean-Pierre Vernant a Marc Augé, da Maurice Olender a Charles Malamud. Rispondono, con un singolare faccia a faccia, storici, filosofi, antropologi e filologi italiani.
Ma quali sono le ragioni di questo ritorno d’interesse e quindi del convegno? Mario Perniola, del coordinamento scientifico al Convegno, professore ordinarlo di Estetica, cinque o sei libri alle spalle, i nomi di Batallle, Heidegger, Klossowski fra le sue divinità, ne elenca un buon numero.
Alle origini c’è la curiosità nei confronti del paganesimo e del politeismo, cioè di quelle culture che presentano una dimensione plurale del divino. Questo vuol dire che noi diamo importanza al nostro passato. Inoltre, come spiega Marc Augé nel suo libro, significa che riflettiamo su quei fenomeni politeistici che mettono in rapporto l’identità del dio con quella dell’individuo umano.

D’altronde Nietzsche, nel suo lavoro da «operaio della filosofia»,aveva riflettuto sul sacro...
La dimensione molteplice, la molteplicità insomma, è dentro la nostra cultura. Intorno a questa tematica, in fondo, si muove anche la pratica terapeutica di uno junghiano come Hillman (ndr. James Hillman, ebreo americano, ha diretto in passato il Carl Gustav Jung Institut di Zurigo e ora svolge attività terapeutica a Dallas nel Texas). Ma per lui l’incontro fra umano e divino avviene in chiave misticheggiante.
Invece per lei, Perniola?
Per me, per noi del convegno, il tentativo è quello di cogliere il divino nella sua differenza rispetto all’umano. L’ipotesi è che il divino, in quanto differenza, sia possibile rintracciarlo nelle religioni politeistiche che invece sono state oggetto di denigrazione e di derisione.
Tutta colpa del monoteismo, immagino.
E di quella tradizione che si rifà alla Bibbia. Ma io vorrei sottolineare un altro aspetto del convegno dal quale dovrebbe emergere una lettura del paganesimo come pensiero pratico, effettuale.
Pensiero pratico in apposizione a quale pensiero?
A quello di Platone, di Aristotele. Per la nostra cultura, forse sono stati più importanti gli stoici. Hanno un’influenza decisiva. L’ars amandi e l’ars gubernandi gli devono molto. Perciò noi tentiamo di leggere il paganesimo con «esprit de finesse» invece che con «esprit de géométrie». Prendiamo ad esempio Priapo. Apparentemente dio per eccellenza, impersona la volontà, la potenza sessuale, il fallo. In realtà è il dio più inefficace, ineffettuale.
La relazione di Maurice Olender su questo piccolo dio deforme, è dedicata appunto al «mal tagliato».
Perciò credo sia importante ogni approfondimento di discorso sul singoli dei. Si viene a scoprire che sono ricchi in modo incredibile di sfaccettature.
Ricchi, cioè ambigui, contraddittori?
La Venere romana è insieme dea delle prostitute e dea delle matrone; Ops non è una divinità coerentemente unitaria ma possiede due facce: una dell’abbondanza, della sfrenatezza e l’altra dell'astinenza, della frugalità. Letture fuorvianti ci hanno impedito per alcuni anni la lettura di questi fenomeni.
Occupiamoci per un attimo del corpo, asse portante del convegno.
Nella sua accezione più semplice vogliamo indagare sulle rappresentazioni degli dei, sulle raffigurazioni del divino nella letteratura, nel teatro. Riguardo al corpo non va dimenticata la questione della «trance», della possessione, che è il momento in cui il fedele mette a disposizione del dio il suo corpo.
Qualcosa di simile ai fenomeni studiati da De Martino?
E al rituali dell’Argia, in Sardegna, studiati da Clara Gallini. A Madonna dell’Arco, vicino Napoli, esistono ancora fenomeni di possessione che coinvolgono migliaia di persone. Addirittura sono in espansione, forse perché la Chiesa li proibisce. Comunque, interessante è l’incontro fra culture africane e mediterranee: Dioniso e la «trance».
Ma ci sono differenze tra possessione e estasi?
L’ha sottolineato la scuola francese: nell’estasi l’anima se ne va, inizia un viaggio. L’estasi mi appare troppo legata a delle prospettive spiritualistiche mentre la possessione la si può praticare con una specie di ancoramento «materialistico».
Cosa ne è del corpo nella nostra società? A giudicare dai film, dalle palestre, dal body building, gode di ottima salute. Tanto che del sesso non gliene importa granché.
A mio avviso, le problematiche dell’erotismo, che sembravano sommerse dalla pornografia, stanno riemergendo. Mentre torna attuale il discorso sulla sessualità, per merito delle ricerche di Foucault; si viene a scoprire che il mondo antico non era cosi innocente come ce l’eravamo immaginato.
Facciamo un passo indietro, alle divinità romane.
Sin dalla metà del Settecento si privilegiavano i greci. Con l’intervento di Klossowski (ndr. Nelle Dame romane Klossowski sottolinea il paradosso, rintracciabile nelle figure degli dei, i quali si dedicavano alle peggiori nefandezze erotiche nella loro vita celeste e esigevano dai loro fedeli sobrietà e astinenza; questo doppio volto è un elemento fondamentale della Roma antica) ecco la possibilità di una lettura nuova della romanità che ne approfondisce gli aspetti contenutistici.
Mentre in passato che succedeva?
Che si oscillava fra una lettura erudita o filologica e una spettacolare-estetizzante. Bisogna ricordare che ci troviamo ancora sotto l’influsso della enorme mistificazione della romanità operata dal fascismo.
Si possono rintracciare nella nostra cultura strategie intellettuali che risalgano all’antichità?
Procedimenti di pensiero tipici della romanità arcaica sono stati sempre più o meno sotterraneamente attivi nella nostra storia nazionale. E nella cultura filosofica italiana con i suoi aspetti pratici, flessibili.
Sarà questo il pensiero che alcuni filosofi hanno chiamato «debole»?
In realtà è un pensiero «forte», attento alle singole circostanze. Il problema di fondo consiste proprio nel prestare attenzione alla molteplicità, per ritrovare i legami fra società e cultura.
Negli ultimi anni il pedale spingeva sulle semplificazioni...
Il rapporto tra cultura e società ha sofferto di una forte crisi. Il pericolo maggiore negli anni Settanta l’ha rappresentato il nichilismo relativistico, quello che Max Weber, con un uso sociologico, chiamava «politeismo dei valori».
Nessuno vuole più nominare la parola valori.
Il fenomeno è connesso con i mass-media. Succede anche per le fabbriche di automobili che sono costrette a sfornare otto diversi tipi di macchina. Un’operazione a bassa definizione. Ma le cose stanno cambiando.
In meglio?
Sicuro. Siamo entrati, per via dell’informatizzazione della società, in una fase in cui la richiesta è che le cose funzionino, che si trasformino, che producano risultati. Il movimento dell’85, per esempio, respira tutt’altra aria da quello del 77.

"l'Unità", 23 gennaio 1986

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