Pare
che i nostri tempi vedano un ritorno di interesse per le culture che
presentano una dimensione plurale del divino. Ma sì, per le
religioni politeistiche. Così, a discutere intorno alla nozione di
corpo in queste religioni, oggi e domani si tiene alla II Università
di Roma, Facoltà di lettere e filosofia, un convegno internazionale.
Tema: Corpo degli dei corpo degli uomini. Interventi di
studiosi francesi da Jean-Pierre Vernant a Marc Augé, da Maurice
Olender a Charles Malamud. Rispondono, con un singolare faccia a
faccia, storici, filosofi, antropologi e filologi italiani.
Ma
quali sono le ragioni di questo ritorno d’interesse e quindi del
convegno? Mario Perniola, del coordinamento scientifico al Convegno,
professore ordinarlo di Estetica, cinque o sei libri alle spalle, i
nomi di Batallle, Heidegger, Klossowski fra le sue divinità, ne
elenca un buon numero.
Alle
origini c’è la curiosità nei confronti del paganesimo e del
politeismo, cioè di quelle culture che presentano una dimensione
plurale del divino. Questo vuol dire che noi diamo importanza al
nostro passato. Inoltre, come spiega Marc Augé nel suo libro,
significa che riflettiamo su quei fenomeni politeistici che mettono
in rapporto l’identità del dio con quella dell’individuo umano.
— D’altronde
Nietzsche, nel suo lavoro da «operaio della filosofia»,aveva
riflettuto sul sacro...
La dimensione molteplice,
la molteplicità insomma, è dentro la nostra cultura. Intorno a
questa tematica, in fondo, si muove anche la pratica terapeutica di
uno junghiano come Hillman (ndr. James Hillman, ebreo americano, ha
diretto in passato il Carl Gustav Jung Institut di Zurigo e ora
svolge attività terapeutica a Dallas nel Texas). Ma per lui
l’incontro fra umano e divino avviene in chiave misticheggiante.
— Invece per lei,
Perniola?
Per me, per noi del
convegno, il tentativo è quello di cogliere il divino nella sua
differenza rispetto all’umano. L’ipotesi è che il divino, in
quanto differenza, sia possibile rintracciarlo nelle religioni
politeistiche che invece sono state oggetto di denigrazione e di
derisione.
— Tutta colpa del
monoteismo, immagino.
E di quella tradizione
che si rifà alla Bibbia. Ma io vorrei sottolineare un altro aspetto
del convegno dal quale dovrebbe emergere una lettura del paganesimo
come pensiero pratico, effettuale.
— Pensiero pratico
in apposizione a quale pensiero?
A quello di Platone, di
Aristotele. Per la nostra cultura, forse sono stati più importanti
gli stoici. Hanno un’influenza decisiva. L’ars amandi e
l’ars gubernandi gli devono molto. Perciò noi tentiamo di
leggere il paganesimo con «esprit de finesse» invece che con
«esprit de géométrie». Prendiamo ad esempio Priapo.
Apparentemente dio per eccellenza, impersona la volontà, la potenza
sessuale, il fallo. In realtà è il dio più inefficace,
ineffettuale.
— La relazione di
Maurice Olender su questo piccolo dio deforme, è dedicata appunto al
«mal tagliato».
Perciò credo sia
importante ogni approfondimento di discorso sul singoli dei. Si viene
a scoprire che sono ricchi in modo incredibile di sfaccettature.
— Ricchi, cioè
ambigui, contraddittori?
La Venere romana è
insieme dea delle prostitute e dea delle matrone; Ops non è una
divinità coerentemente unitaria ma possiede due facce: una
dell’abbondanza, della sfrenatezza e l’altra dell'astinenza,
della frugalità. Letture fuorvianti ci hanno impedito per alcuni
anni la lettura di questi fenomeni.
— Occupiamoci
per un attimo del corpo, asse portante del convegno.
Nella sua accezione più
semplice vogliamo indagare sulle rappresentazioni degli dei, sulle
raffigurazioni del divino nella letteratura, nel teatro. Riguardo al
corpo non va dimenticata la questione della «trance», della
possessione, che è il momento in cui il fedele mette a disposizione
del dio il suo corpo.
— Qualcosa di simile
ai fenomeni studiati da De Martino?
E al rituali dell’Argia,
in Sardegna, studiati da Clara Gallini. A Madonna dell’Arco, vicino
Napoli, esistono ancora fenomeni di possessione che coinvolgono
migliaia di persone. Addirittura sono in espansione, forse perché la
Chiesa li proibisce. Comunque, interessante è l’incontro fra
culture africane e mediterranee: Dioniso e la «trance».
— Ma ci sono differenze tra possessione e estasi?
— Ma ci sono differenze tra possessione e estasi?
L’ha sottolineato la
scuola francese: nell’estasi l’anima se ne va, inizia un viaggio.
L’estasi mi appare troppo legata a delle prospettive
spiritualistiche mentre la possessione la si può praticare con una
specie di ancoramento «materialistico».
— Cosa ne è del
corpo nella nostra società? A giudicare dai film, dalle palestre,
dal body building, gode di ottima salute. Tanto che del sesso non
gliene importa granché.
A mio avviso, le
problematiche dell’erotismo, che sembravano sommerse dalla
pornografia, stanno riemergendo. Mentre torna attuale il discorso
sulla sessualità, per merito delle ricerche di Foucault; si viene a
scoprire che il mondo antico non era cosi innocente come ce l’eravamo
immaginato.
— Facciamo un passo
indietro, alle divinità romane.
Sin dalla metà del
Settecento si privilegiavano i greci. Con l’intervento di
Klossowski (ndr. Nelle Dame romane Klossowski sottolinea il
paradosso, rintracciabile nelle figure degli dei, i quali si
dedicavano alle peggiori nefandezze erotiche nella loro vita celeste
e esigevano dai loro fedeli sobrietà e astinenza; questo doppio
volto è un elemento fondamentale della Roma antica) ecco la
possibilità di una lettura nuova della romanità che ne
approfondisce gli aspetti contenutistici.
— Mentre in passato
che succedeva?
Che si oscillava fra una
lettura erudita o filologica e una spettacolare-estetizzante. Bisogna
ricordare che ci troviamo ancora sotto l’influsso della enorme
mistificazione della romanità operata dal fascismo.
— Si possono
rintracciare nella nostra cultura strategie intellettuali che
risalgano all’antichità?
Procedimenti di pensiero
tipici della romanità arcaica sono stati sempre più o meno
sotterraneamente attivi nella nostra storia nazionale. E nella
cultura filosofica italiana con i suoi aspetti pratici, flessibili.
— Sarà questo il
pensiero che alcuni filosofi hanno chiamato «debole»?
In realtà è un pensiero
«forte», attento alle singole circostanze. Il problema di fondo
consiste proprio nel prestare attenzione alla molteplicità, per
ritrovare i legami fra società e cultura.
— Negli ultimi anni
il pedale spingeva sulle semplificazioni...
Il rapporto tra cultura e
società ha sofferto di una forte crisi. Il pericolo maggiore negli
anni Settanta l’ha rappresentato il nichilismo relativistico,
quello che Max Weber, con un uso sociologico, chiamava «politeismo
dei valori».
— Nessuno vuole più
nominare la parola valori.
Il fenomeno è connesso
con i mass-media. Succede anche per le fabbriche di automobili che
sono costrette a sfornare otto diversi tipi di macchina.
Un’operazione a bassa definizione. Ma le cose stanno cambiando.
— In meglio?
Sicuro. Siamo entrati, per via dell’informatizzazione della società, in una fase in cui la richiesta è che le cose funzionino, che si trasformino, che producano risultati. Il movimento dell’85, per esempio, respira tutt’altra aria da quello del 77.
Sicuro. Siamo entrati, per via dell’informatizzazione della società, in una fase in cui la richiesta è che le cose funzionino, che si trasformino, che producano risultati. Il movimento dell’85, per esempio, respira tutt’altra aria da quello del 77.
"l'Unità", 23 gennaio 1986
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