L'autore
dell'articolo, nonostante il suo nome, è francese. Nato nel 1930
era, al tempo in cui lo scrisse, professore dei Letteratura Italiana
contemporanea all'Università di Parigi III. Il testo fu pubblicato
su “Liber”, rivista internazionale pubblicata in francese,
italiano, spagnolo e tedesco, a un anno dalla morte del maestro di
Racalmuto. (S.L.L.)
I
primi romanzi di Sciascia, che lo imposero molto presto in Italia
come una personalità singolare e originale, risalgono alla fine
degli anni cinquanta. Già nel 1961 Flammarion proponeva ai lettori
francesi Il giorno della civetta,
primo esempio di un genere di cui Sciascia si sarebbe poi servito
spesso: il romanzo poliziesco, in cui l’indagine non è solo un
semplice esercizio di deduzione logica, ma serve anche di pretesto
per una dimostrazione di carattere sociale o politico. (In questo
romanzo un capitano dei carabinieri incaricato di trovare gli autori
di un omicidio, in Sicilia, porta un po’ alla volta alla luce una
rete di interessi e di complicità certamente occulte, ma abbastanza
potenti da impedire che la verità venga a galla e da ottenere il
trasferimento del poliziotto). Senza frasi inutili, Sciascia metteva
il dito sul ruolo della mafia nella società siciliana, in un momento
in cui, in Italia, le autorità civili e religiose dichiaravano in
ogni occasione che questa società segreta non era altro che
un'invenzione dei giornalisti. Si e visto, in seguito, come stavano
realmente le cose, anche se, peraltro, non è mai stato possibile
estirpare la “ piovra” .
Questa
prima traduzione non ebbe gran successo, e fu necessario aspettare
alcuni anni prima che Maurice Nadeau si impegnasse, a sua volta, a
far conoscere un’opera che non aveva fatto che confermare la
posizione raggiunta da Sciascia. Uscirono, uno dopo l’altro, nella
celebre collana dalla copertina gialla delle “Lettres nouvelles”,
diversi volumi importanti, tra cui, in particolare, Le
parrocchie di Regalpetra e Gli
zii di Sicilia, che, come si è
spesso osservato, costituiscono la matrice dell’opera di Sciascia
(sia per la Sicilia che ne costituisce il contesto prediletto, sia
per l'angolazione, a mezza strada tra l’analisi sociologica e
l’interpretazione politica, su uno sfondo romanzesco).
Senza
abbandonare i suoi interessi politici, Sciascia si è anche
avventurato, con successo, sul terreno del romanzo storico, con testi
come Morte di un inquisitore
e Il consiglio d’Egitto,
un capolavoro. Ne emergeva, in modo sempre più evidente, il suo
profondo interesse per i problemi del diritto, sia quello delle
persone, sia quello su cui si basa il funzionamento delle società
civili, affrontati con un rigore e una costanza che talvolta potevano
anche far temere un’evoluzione verso la saggistica (tanto più che
spesso egli si basava su fatti di cronaca o su dossier di vicende
giudiziarie che era bravissimo a scoprire in fondo agli archivi, e
che ricostruiva per metterne in luce i meccanismi perversi). Alla
base di questa incessante riflessione, che spesso ha indotto Sciascia
a far seguire i suoi racconti o le sue novelle da una serie di saggi,
che ne costituiscono sia il prolungamento che il prologo (come nel
caso di La corda pazza,
o di Cruciverba)
c’era, naturalmente, un bagaglio di letture che risaliva
all’adolescenza di questo maestro di scuola che si era formato
praticamente da solo, sotto il regime fascista che aveva in odio, in
una cittadina del centro della Sicilia, leggendo alla rinfusa
Diderot, I Miserabili,
Paul Louis Courier o Stevenson. Ma, di fatto, nutrì sempre la stessa
ammirazione e, certamente, la stessa riconoscenza nei confronti degli
enciclopedisti francesi del XVIII secolo, che gli avevano dimostrato
come la letteratura potesse essere anche usata come arma contro
l’ingiustizia, l’oppressione e contro gli interessi o i poteri
particolari che, in seno alla società, si oppongono al libero gioco
di uno stato fondato sulla ragione e sui valori civili. Ed è certo
questa la ragione per cui, dal momento in cui i suoi libri
incominciarono ad essere letti in Francia, prese l’abitudine di
soggiornarvi a lungo, soprattutto a Parigi, dove sapeva di ritrovare
un piccolo gruppo di amici e di ammiratori: il suo editore, i suoi
traduttori e un fotografo e giornalista siciliano, Ferdinando
Scianna, con cui realizzò diversi libri memorabili, dalle Feste
religiose in Sicilia a quelle
Ore di Spagna,
pubblicate l’anno scorso e ancora inedite in Francia.
Risultato
di questi ripetuti soggiorni (che gli fornirono l’occasione di
incontrare numerosi scrittori e giornalisti e di concedere
numerosissime interviste, cui si prestava volentieri pur rifiutando
ostinata-mente di parlare in francese) è la posizione di primo piano
occupata da Sciascia tra gli scrittori italiani conosciuti ed
apprezzati in Francia, accanto a Moravia, a Calvino o a Pasolini.
Infatti quasi tutti i suoi libri vi sono stati tradotti, spesso quasi
subito dopo la loro pubblicazione in Italia; vi ha anche ottenuto
numerosi premi letterari e nei 1979 gli è stato dedicato il numero
speciale di una rivista. Occorre anche dire che gli adattamenti
cinematografici di un certo numero di sue: romanzi, in particolare
Todo modo e Cadaveri
eccellenti, hanno contribuito in
larga misura a renderlo popolare presso il pubblico francese (che,
non è il caso di stupirsi, ha accolto con grande favore gli ultimi
romanzi di Sciascia: è il caso di Il cavaliere e la morte,
pubblicato poche settimane prima della sua morte e che è, senza
alcun dubbio, uno dei più bei libri del genere poliziesco cui era
affezionato, ma con una dimensione metafisica più manifesta e una
risonanza autobiografica che rende certi passaggi densi di
commozione). Ha forse contribuito al successo di questo libro, quasi
un testamento, il contraccolpo dell’emozione provocata dalla morte
prematura di Sciascia, ma sarebbe più giusto riconoscere che le
qualità dello scrittore vi appaiono con un’evidenza e, forse, una
libertà di espressione che sembravano esso, in precedenza, frenate
da una preoccupazione di verità e di giustizia.
È
ben evidente che, iniziando a pubblicare alla fine del periodo
neorealista, Sciascia, più preoccupato dei valori etici che della
virtuosità della forma, non aveva nessuna affinità con gli
scrittori della neoavanguardia e che, assumendo ostinatamente quale
terreno privilegialo di osservazione e meditazione, ha fatto della
sua isola, che amava in modo viscerale e al tempo stesso esecrava,
una metafora della società in cui viviamo. Senza dubbio i lettori
francesi di Sciascia, come dimostrano le numerose riedizioni dei suoi
libri in edizione economica, non sono sempre in grado di percepire
tutte le implicazioni degli scontri politici da cui prendono le mosse
i romanzi di questo temibile polemista, che non si preoccupava
affatto del conformismo e che, a questo titolo, è stato a volte
duramente attaccato. Non vi è dubbio, in compenso, che abbiano colto
il senso profondo delle interpretazioni fornite da quest’uomo
libero che, verso e contro tutti, e malgrado un crescente pessimismo,
continuava a credere nella giustizia e a difendere l’ideale di una
società fondata sul diritto. (trad. dal francese di Daniele
Formento)
“Liber”,
Anno 2 numero 3 ottobre 1990
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