30.10.15

Quando i Florio ruggivano (Renato Guttuso)

Cuore di siciliano e occhio d'artista. Un articolo di Renato Guttuso sulla Sicilia dei Florio, sul mito di donna Franca, su un disegno segreto del pittore Giovanni Boldini.
Un breve passaggio accenna al ponte sullo Stretto, di cui allora (1986) si parlava come realizzazione imminente. Guttuso era favorevole e so che è favorevole anche Camilleri. Anch'io lo sarei se vedessi la possibilità e la volontà di farlo davvero e in tempi rapidi, otto o dieci anni. Ma nelle condizioni attuali il progetto del ponte non può che essere ciò che è sempre stato, un pozzo in cui vanno a morire ingenti risorse che non producono progresso e sviluppo, con un canale interno che ne dirotta una parte consistente verso le mafie. (S.L.L.)
Donna Franca Florio in un ritratto di Giovanni Boldini
Ho sempre cercato di capire come e perché le grandi famiglie di coraggiosi imprenditori, sorte a cavallo tra il XIX secolo e il XX, in Lombardia, in Piemonte, in Veneto, e cioè gli Agnelli, i Pirelli, i Volpi, i Marzotto, abbiano continuato a essere «capitane», mantenuto e accresciuto ricchezza e potere, mentre nel Mezzogiorno, e specie in Sicilia, le grandi famiglie, il cui potere era esploso più o meno negli stessi anni, e forse con maggiore impeto e risonanza, esse si siano dissolte, e ne sia rimasta solo una memoria che sconfina nel mito.
I Florio: un mito, una leggenda. Eppure tanto prossimo a noi e con il quale sentiamo un contatto quasi diretto, personale. Mio padre, che morì nel ’40 a settantacinque anni, li aveva conosciuti al tempo del loro massimo splendore. Io stesso, negli anni trenta, ho incontrato Vincenzo Florio (il creatore della famosa «Targa Florio»), ultimo rampollo della famiglie e incarnazione della decadenza dei Florio.
E avrei anche fatto a tempo a conoscere la famosissima «Donna Franca», negli anni in cui si disfaceva la sua bellezza. La casa amica che frequentavo a Palermo, alla fine degli anni 20, abitata da Guglielmo e Lia Pasqualino, amici ai quali ancora oggi sono legato da grande affetto, sorge all'interno di quello spazio che, lungo la via Dante, dall’Olivuzza fino a viale Regina Margherita, ancora oggi si chiama «Villa Florio».
Sull’altra riva di via Dante, fronteggiante la Villa Florio, sorge la Villa Whitaker, una famiglia inglese che assieme ad altre famiglie inglesi (gli Ingham, i Woodhouse) aveva già messo piede a Marsala per la lavorazione del vino. Agli «inglesi», i Florio si collegarono, portando nuovo slancio imprenditoriale, e dando vita a una delle più grandi imprese vinicole d’Europa. Ma le fortune degli «inglesi» si svilupparono, e il lascito Whitaker con la relativa operante fondazione ne è prova, mentre la fortuna dei Florio si sgretolò totalmente nello spazio di pochi decenni.
Sciascia scrive che Franca Florio e il suo mito furono elemento fondamentale del prestigio della famiglia. Al centro della mondanità europea, ne fu certamente lo specchio, la punta di diamante; ma fu il peso economico e sociale della famiglia, la molteplicità delle imprese, lo sfarzo nel modo di vivere, il rapporto con la cultura del tempo a creare un potere che marcò un’epoca. Franca fu il blasone, la «stella» dei Florio; il legame con gli ambienti più esclusivi, con le Corti europee.
Si dovrebbe indagare più a fondo sulle ragioni di tanta disparità tra Nord e Sud, ragioni che vanno assai oltre le facili considerazioni sullo «spagnolismo» dei siciliani, sul loro senso fastoso e regale di vivere la ricchezza, e forse anche al di là della «questione meridionale» che pure è, a mio avviso, alla base di ogni ulteriore riflessione. E forse varrebbe la pena di guardare al «continente Sicilia», alla sua forza interiore di espansione, al suo sapersi proiettare oltre gli oceani, scavalcando ben altri spazi che non quello del piccolo stretto di Messina, oltre le Alpi, verso Nord e verso Occidente; e come sia potuto accadere che, attraverso note manovre bancarie, si sia arrivati alla progressiva esclusione dei Florio dal reparto guida dell'imprenditoria italiana.
Questo «continente» che si chiama Sicilia, pare e me lo auguro, sarà collegato allo stivale da un ponte. Ma già i Florio avevano gettato un ponte sull’Oceano, attraverso la grande Compagnia di navigazione e una serie di attività che si espandevano nel mondo, con la cultura che alimentavano.
Non è un caso che dell’architettura detta «Liberty» a Palermo esistano esempi altissimi, per merito soprattutto di Ernesto Basile, che a Palermo esista, a Villa Igea, il «salone Basile» dove ogni pezzo, ogni maniglia, ogni minimo dettaglio è «disegnato», con spirito creativo, di bellezza, e non soltanto «funzionale». Non era, insomma, «design».
Dietro tutto questo ci sono i Florio, la propulsione, il coraggio, le intuizioni, la generosità dei Florio. Opportunamente il Banco di Sicilia ha affidato ad alcuni illustri studiosi e all’Editore Sellerio, che ne ha curato la splendida veste grafica, la realizzazione di un libro su «L’età dei Florio».
Io spero che questo libro abbia la dovuta risonanza e aiuti a guardare alla Sicilia e alle sue capacità con un occhio più giusto e meno prevenuto. Certamente gettare Io sguardo su un periodo di eccezionale prosperità e splendore quale fu «l’età dei Florio», non va disgiunto da una generale riconsiderazione della Sicilia, delle sue capacità, imprenditoriali e culturali, nel passato e nel presente.
Vorrei che di Sicilia non si parlasse, come suole accadere in questi ultimi tempi, come di un paese sul quale grava un marchio indelebile di infamia, e che null’altro di questa terra sia da ricordare se non i suoi mali e le sue vergogne. Anche al tempo dei Florio c’era la mafia, sebbene fosse una altra mafia, legata a condizioni politiche, sociali e persino geològiche, obiettive. E certo, benché piaga fosse, e grave, anche allora, non si era ancora ingrassata sfruttando, oltre che la situazione regionale antica, i nuovi mali che dilagano nel mondo moderno.
Ma lo slancio progressivo della Sicilia (i Florio in prima persona) era riuscito a contare, a pesare, sulla vita economica e politica della nazione. Questo dato di fatto trascinava, costringeva a guardare alla Sicilia, alle sue capacità, al peso della sua cultura. I Verga, i Capuana, i De Roberto, ma anche i Basile, i Lojacono, e tanti altri contavano nella vita italiana. Oggi, per esempio, persino il cinquantenario della morte di Luigi Pirandello viene celebrato tiepidamente, come si trattasse di un anniversario qualsiasi.
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Perché la Sicilia non deve essere ricordata e discussa, e la stampa italiana non deve sentirsi coinvolta e interessata su questioni come queste del nostro recente passato, come la potenza dei Florio, o la grandezza di Pirandello, fatti siciliani che non sono mafia, ma gloria della Sicilia?
Sfogliando il libro in questione sullo splendore e decadenza di questa straordinaria famiglia, pensavo a quante cose si potrebbero dire e mettere in luce e fare conoscere, in positivo, su questa isola-continente che ha vissuto e vive grandi fermenti, e che fa dono anche di tutto quel che ha di bene, accanto a ciò che ha di male.
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Quanto sopra annotato, con orgoglio e amarezza di siciliano, è solo una premessa, e vuole richiamare l'attenzione sulla scena siciliana, in particolare su come si configurò tra la seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX. E prende spunto dal libro che documenta la marcia trionfale della famiglia Florio che partendo da una modesta drogheria, in Palermo, diventa tra l'altro promotrice della più grande flotta mercantile d'Europa.
I Florio possedevano novantanove navi in mare, il massimo consentito dallo Stato italiano a una società privata. Ma in uno dei saloni della loro palazzina, all’Olivuzza, si racconta che Ignazio Florio tenesse un modellino di bastimento in oro, il cui valore era equivalente al costo di un bastimento in mare.
La fortuna dei Florio ha anche direi un senso di ribellione allo stato semicoloniale a cui era stato ridotto il Mezzogiorno dopo l’unità d'Italia. Ma «Hic sunt Leones». E «Noi fummo i gattopardi i leoni», come diceva il Principe di Lampedusa. (A quel tempo, avrebbe potuto dire «siamo» e non «fummo»). Ex leoni, ma purtuttavia leoni. L’esplosione dei «Florio» ha anche il senso di un impressionante risveglio del leone.
II suo potente ruggito si fa sentire sempre con maggiore potenza, almeno fino agli anni precedenti la prima guerra mondiale. Si trascina ancora attraverso la grande gara automobilistica del circuito delle Madonie, la Targa Florio: la prima competizione automobilistica internazionale, creata nel 1906 da Vincenzo Fiorio. Ma anche per la personalità eccezionale di Franca Florio, moglie di Ignazio Florio, donna bellissima, famosa in tutto il mondo per eleganza fascino e stile.
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Ma il motivo che ha provocato queste note, che non intendono essere né un commento, né una recensione, al bellissimo libro di Sellerio, è un disegno a matita grassa di Giovanni Boldini, autore di un famoso ritratto di Donna Franca, eseguito a Palermo nel 1900, disegno che trovo riprodotto nel libro, sulla pagina accanto a quella che riproduce, in tutta la sua maestà, il grande ritratto di Donna Franca. Un disegno sconosciuto, credo non soltanto a me, singolare sotto molti aspetti.
Nell’epoca in cui i giovanotti spiavano le signore che scendevano dalle carrozze, per vedere il lampo di una caviglia, la donna più famosa ed elegante del tempo solleva sottane e sottovesti, e scopre le sue gambe inguauinate di calze nere, fino a metà della coscia, e consente al pittore che nello stesso periodo la ritraeva in tutta la maestà della persona, nel lungo vestito da «gran sera», di posare il suo sguardo, di osservare con intensità di disegnatore e di artista una parte segreta delle sue bellezze.
Il disegno rileva un Boldini al pieno della sua abilità, sciolto e veloce d’occhio e di mano, e, credo, emozionato, come raramente gli deve essere accaduto nella sua carriera di pittore di belle donne. Come forse mai era accaduto al suo pennello sempre avvolgente, guizzante, quasi fischiante sulla tela.
Boldini firma il disegno e lo data, 10 novembre (1900, data del ritratto di Franca Florio), e aggiunge «Giornata memorabile». E non stento a crederlo. Nel disegno ci sono varie cose da notare: la mano di Franca Florio che sorregge la veste (ma accarezza anche la coscia), e le scarpine (qualche accento della matita appena più nera). L’intervento, discreto e opportuno, della gomma da cancellare: sulla mano, e un tocco su una coscia per accentuare il lucido della calza di seta.
Non è il caso di far congetture.Il disegno è indizio solo del rapporto particolare che si era generato tra il pittore e il suo modello. Data la personalità, il carattere del modello, una donna conscia della sua bellezza e che vuol mostrare come tale bellezza si riveli anche in una parte del suo corpo solitamente privata e segreta. Una parte che in pubblico non era lecito esibire, come lo erano invece le audaci scollature che scoprivano le spalle e l’inizio dei seni.
Boldini, che all’epoca del ritratto aveva 58 anni, benché buon conversatore e uomo di spirito, non era quel che si dice un «bell'uomo». Piccolo di statura, le sue gambette reggevano una iniziale pinguedine, come può vedersi in una caricatara di Sam.
Vengono in mente Paolina Borghese che posa nuda per Antonio Canova, e la duchessa d’Alba che posa nuda per Goja. Altri tempi, altri costumi! Gli anni che vanno dalla seconda metà dell’800 alla prima guerra mondiale, sono sotto il segno del moralismo vittoriano (la Regina Vittoria faceva ricoprire persino le gambe dei tavoli!). Mentre è noto che l’epoca napoleonica era stata un’epoca libertina; che Canova era un uomo bello, mondano, elegante; e Goja un famoso seduttore che morì di sifilide.
Se mi lascio andare a queste divagazioni è per sottolineare il tipo di rapporto che si era creato tra Boldini e la splendida Donna Franca. Un rapporto fondato sulla «bellezza». Sulla voglia, da parte di Donna Franca, di rendere partecipe il famoso pittore (e c’è anche, forse, un pensiero ai posteri) di una parte non conosciuta, né conoscibile, della sua bellezza. Donna Franca fu una moglie e una madre esemplare. Su di lei, sul suo comportamento non circolò mai la pur minima dicerìa. Soltanto questo foglietto di carta — sconosciuto anche ai suoi più intimi e, ritengo, anche al marito Ignazio, ritrovato tra le sue carte segrete, così come la richiesta a Boldini da parte del marito di ridurre una scollatura considerata troppo audace, sono i segni «anomali» di una vita ineccepibile
Alla base di tutto ciò sta il patto che Franca Florio aveva fatto con la bellezza. Un patto che non poteva tradire, ma che non poteva sostenersi che con una vita privata esemplare. Come seppero tanti suoi adoratori e corteggiatori. Primo fra tutti D’Annunzio.


“l'Unità”, 11 marzo 1986

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