Lev Davidovic Trotzkij giovinetto |
Eccomi
dunque scolaro. Mi alzavo presto, buttavo giù il mio
tè, ficcavo nella tasca del cappotto la merenda incartata e correvo
a scuola per non perder la preghiera del mattino. Non arrivavo mai in
ritardo. Stavo quieto nel mio banco, ascoltavo con attenzione e
copiavo accuratamente dalla lavagna. A casa facevo i miei compiti con
diligenza. Andavo a letto all’ora fissata per sorbire, la mattina
dopo, il tè in fretta e correre a scuola col timore di perdere la
preghiera del mattino. Ero promosso regolarmente. Incontrando un
maestro per la strada, salutavo con rispetto.
Tipi strani
La
percentuale dei tipi strani è grande fra gli uomini, ma è
grandissima tra i maestri. Nella scuola tecnica di S.
Paolo il livello dei maestri era forse superiore alla media. La
scuola aveva un buon nome e non a torto: il regime era severo e si
esigeva moltissimo, e di anno in anno si stringevano sempre più i
freni, specie dacché il potere era passato da Schwannebach a Nikolai
Antonovic Kaminskij, un misantropo, insegnante di fisica. Parlando
con le persone non le guardava mai in faccia, passava silenzioso
colle suole di gomma per gli anditi' e aveva una voce rauca di
falsetto che quando l’alzava incuteva spavento. A
vederlo, Kaminskij sembrava calmo, ma dentro gli coceva
un'irritazione continua. Persino coi migliori scolari viveva in
istato di neutralità armata.Kaminskij aveva inventato un suo
apparecchio per dimostrare la legge dell’elasticità dei gas di
Boyle-Mariotte. Quando compariva quell’apparecchio, si trovavano
sempre due o tre scolari che si sussurravano, studiando il tono:
«Bello, vero?». Qualcuno si alzava e chiedeva impacciato: «Chi è
l’inventore di codesto apparecchio?». Kaminskij rispondeva
sbadatamente: «L’ho costruito io». Tutti si guardavano in faccia
e i peggiori facevano i sospiri ammirativi più forti.
Un furbacchione
dalla barba rossa
Quando Schwannebach
dovette cedere il posto a Kaminskij in nome della russizzazione della
scuola, Antonio Vassilievic Kryscianovskij,
il docente di lettere, diventò ispettore. Era un
furbacchione dalla barba rossa, un ex-seminarista, grande amico delle
mance, con un’infarinatura appena percettibile di liberalismo, che
sapeva velare di finto candore i suoi secondi fini. Nominato
ispettore, diventò subito più severo e conservatore. Egli insegnava
il russo dalla prima classe in su. Da lui ebbi degli elogi per le mie
cognizioni e il mio amore per la lingua. Leggeva in classe i miei
compiti e mi dava cinque con lode.
Disgraziato in
amore
Il
professore di matematica, Jurcenko, era un tipo robusto,
flemmatico e sornione, che chiamavamo il Carrettiere. Jurcenko dava
del tu a tutti gli scolari, piccoli e grandi, e non era schizzinoso
nella scelta dei vocaboli. Per la sua ruvidezza incuteva un certo
rispetto, che diminuì quando gli scolari seppero che accettava le
mance. Anche gli altri maestri si potevano corrompere in vari modi.
Se un esterno non era promosso, lo si metteva a pensione da quel
maestro che aveva la massima voce in capitolo. Se lo scolaro era di
Odessa, allora prendeva lezioni private dal maestro più pericoloso,
pagandolo bene.
Il secondo insegnante di
matematica, Slocianskij,
era il contrario di Jurcenko: magro, coi baffetti a punta sulla
faccia verdognola; con gli occhi torbidi, i movimenti
impacciati di chi s’è appena destato, tossiva e sputacchiava per
la classe. Si sapeva che era disgraziato in amore, che faceva una
vitaccia e beveva. Era un buon matematico, ma si occupava poco degli
scolari, dell’insegnamento e della matematica. Qualche anno dopo si
squarciò la gola con un rasoio.
Coi due insegnanti di
matematica vivevo in armonia, tutti e due mi volevano bene, perché
la matematica era il mio forte. Quand’ero nelle ultime classi avevo
persino l’intenzione di studiar matematica pura.
Occhiali d'oro sul
nasetto piccolo
La
storia era insegnata da Ljubimov, un uomo alto, dignitoso, con gli
occhiali d’oro sul nasetto piccolo e un bel barbone
intorno alla faccia tonda. Ma quando sorrideva, capivamo che
quell’aspetto dignitoso era orpello e che in fondo era timido,
svogliato, con qualche dissidio interno e il timore continuo che si
sapesse o si venisse a sapere qualche cosa di male sul suo conto.
Alla storia mi dedicai con interesse crescente, ma confuso. Allargai
pian piano la mia cerchia di studi piantando i miseri manuali
ufficiali e ricorrendo ai compendi universitari e ai volumoni dello
Schlosser. La mia passione per la storia aveva certamente un che di
sportivo: imparavo un monte di nomi e particolari inutili, pura
zavorra della mente, per mettere in imbarazzo gli insegnanti.
Ljubimov non sapeva guidare una classe. Durante le lezioni s’alzava
di scatto, lanciando occhiate furibonde, come per afferrare dal
bisbiglio qualche parola offensiva. Allora la classe ammutoliva, in
agguato. Ljubimov insegnava anche in un ginnasio femminile e anche là
si notavano le sue stravaganze. Fini che in un accesso di pazzia
s’impiccò ad un’inferriata.
Come una belva
Del
maestro di geografia, Sciukovskij, avevamo paura come del diavolo.
Egli bocciava gli allievi automaticamente, come una
macchina. Durante le lezioni pretendeva un silenzio impossibile.
Spesso interrompeva la risposta di uno scolaro e aguzzava gli orecchi
come una belva che senta il pericolo. Tutti sapevano cosa volesse
dire: bisognava stare immobili, trattenendo magari il respiro. Per
quanto mi ricordo, Sciukovskij allentò le briglie un’unica volta:
fu, credo, nel suo compleanno. Uno scolaro gli comunicò una notizia
quasi privata, cioè non riguardante direttamente la lezione.
Sciukovskij lasciò passare. Era un avvenimento. Allora si alzò
Wacker, uno striscione, e disse con un sorriso insinuante: «Tutti
dicono che Sciukovskij dà dei punti a Ljubimov». Sciukovskij
s’inalberò. «Zitto, sieda!» E si senti quel silenzio ch’era
possibile soltanto nelle ore di geografia. Wacker si sedette come
sotto una mazzata. Tutti gli lanciarono delle occhiate di rimprovero
o di disgusto. « Eppure è la verità » mormorò Wacker che non
rinunziava alla speranza di toccare il cuore del geografo nemico.
Un tedescone enorme
L’insegnante
di tedesco era un tedescone enorme, certo Struve, con
un testone grosso e una barba che gli arrivava alla cintola. Il suo
corpo pesante, un vaso di bontà, arrancava portato da due piedini
quasi infantili. Struve, era una persona onestissima e soffriva al
vedere che i suoi scolari non progredivano, e cercava di far capire
la ragione. Ad ogni due gli piangeva il cuore (all’uno non arrivava
mai) e faceva degli sforzi per non bocciare nessuno. Aveva fatto
ammettere alla scuola il nipote della cuoca, il suddetto Wacker, che
però si dimostrò privo di talento e senza attrattive. Struve era un
po’ comico, ma in compenso simpatico.
Burnand soffriva di
stomaco
Insegnava
il francese Gustavo Samojlovic Burnand, uno svizzero, secco,
dal profilo piatto come uscito da un torchio, dalla chierica in capo,
dalle labbra sottili, azzurre, cattive, dal naso aguzzo e con una
cicatrice misteriosa sulla fronte in forma di X. Nessuno lo poteva
vedere, e v’erano delle buone ragioni. Siccome soffriva di stomaco,
masticava continuamente non so che pasticche e vedeva in ogni scolaro
un nemico. La cicatrice era argomento di mille ipotesi e
supposizioni. Si diceva che da giovane aveva avuto un duello e che il
fioretto avversario gli aveva disegnata in fronte quella croce. Dopo
un mese circolava un’altra versione. Non era stato un duello, ma un
intervento chirurgico, per cui una parte della fronte era stata
impiegata per aggiustare il naso. Gli scolari osservarono
attentamente il naso del francese e i più arditi affermavano di
vederci benissimo la sutura. I meno bollenti erano propensi ad
ammettere un incidente durante la sua infanzia: era caduto dalle
scale e s’era ferito. Ma questa spiegazione non ebbe fortuna, era
troppo prosaica. D’altro canto non era possibile figurarsi Burnand
bambino.
Da La mia vita,
Trad. di Ervino Pocar, Mondadori editore, 1961 (I^ ed. 1930)
Sottotitoli S.L.L.
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