Dall’intervista rilasciata alla rivista on line “alleo” e raccolta da Marcello Cella e Elena Pinori nell’aprile1995, riprendo una osservazione di Antonio Tabucchi, un grande scrittore italiano che non abbiamo saputo conservarci. (S.L.L.)
Antonio Tabucci (a destra ) con Ivan della Mea |
Gli autori che non si spiegano bene nei libri, come non mi spiego io, cercano sempre di spiegarsi in una nota a margine, così si inventano questi pretesti per spiegare a qualcuno, al nostro lettore o forse, principalmente, a noi stessi, che cosa è successo in questo libro.
Credo che scrivere un libro sia come vedere un film. Non come scrivere un film o come fare un film, ma come vederlo. Uno arriva alla fine e si chiede che cosa sia successo effettivamente. Allora ha bisogno di conforto. Il conforto lo troviamo nei lettori che ci vengono dati, in noi stessi e in piccole note a margine che possiamo fare.
Probabilmente è un alibi, probabilmente è una scusa, probabilmente è anche un chiedere perdono di quello che abbiamo scritto o di quello che non abbiamo saputo scrivere. Tuttavia è una forma di conciliazione con chi ci legge, con chi potrebbe leggerci, e con noi stessi che ci siamo letti mentre ci scrivevamo.
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