John Ellis McTaggart
pensava che il tempo fosse una semplice illusione. Difficile dargli
torto pensando al mito brasiliano. Egli persiste nonostante il tempo
che passa: questo è l’eredità di Ayrton Senna, di cui oggi si
celebrano i vent’anni dalla scomparsa. Morì facendo quello che
amava.
«Non conosci Ayrton
Senna?!» è la frase che pronuncio stupito ogni volta che qualcuno
non ricorda di un certo pilota brasiliano di Formula 1. Non uno
qualunque: Senna non si iscrive neanche allo sport o a una sua
celebrità. Senna è Senna. Il suo nome basta e avanza. Son passati
vent’anni dalla morte di quello che non è stato solamente un
tri-campione del mondo di Formula 1, ma una vera e propria icona. E
lo è stato non solo per le vittorie in pista, ma anche per uno stile
di vita che lo rendeva amato dalla gente. Specialmente dal suo
Brasile, che Senna non ha mai dimenticato. Un personaggio troppo
importante per esser scalfito dal tempo, un po' come James Dean o
Freddie Mercury. Uno di quei personaggi che rimpiangi di non aver
vissuto (a tal proposito, consiglio la visione a questo link del
documentario prodotto dalla Universal nel 2010).
La carriera e le gesta di
Senna erano già leggendarie prima che accadesse il tragico incidente
sul circuito di San Marino. Ayrton Senna ha ottenuto 41 vittorie, che
lo issano al terzo posto in questa speciale graduatoria, dietro
Michael Schumacher e Alain Prost. Poi ci sono le sue 65 pole
position: era un mostro sul giro secco e in generale un vero prodigio
della guida. Basti pensare che Senna ha trionfato sei volte nel
circuito tecnicamente più difficile, come quello di Montecarlo. Le
sue qualità, derivanti da una preparazione maniacale e dagli anni
passati nei kart, gli sono valse la seconda posizione nella
classifica delle partenze dalla prima posizione. Davanti a lui solo
Schumacher: anche se il tedesco ha disputato il doppio delle gare di
Senna. Ma soprattutto i tre titoli Mondiali di Ayrton, conquistati
nel 1988, nel 1990 e nel 1991.
Al di là di questi dati,
a riassumere meglio Senna ci sono alcune singole imprese che lo hanno
contraddistinto nella sua decennale carriera in Formula 1. Come
quando guidava non la McLaren, ma una Toleman-Hart. Senna svolge dei
test nel 1983 per correre con McLaren, Williams o Brabham, ma nessuna
di queste opzioni si concretizza. Nelson Piquet - tri-campione del
mondo - arriva a definirlo "Il tassista di San Paolo". La
Toleman ottiene dei risultati straordinari grazie a Senna: tre podi,
ma soprattutto la gara di Monaco 1984. La pioggia ferma tutti, ma non
Senna, che con l’antenata della Benetton si issa fino al secondo
posto. Poi i giochi di potere – che tanto non piacevano al
brasiliano – permettono lo stop alla corsa proprio quando Senna
aveva ormai agguantato Alain Prost, allora alfiere numero uno della
McLaren.
Senna vs. Prost.
La loro rivalità non ha
avuto eguali nella storia della Formula 1. Prost era chiamato “il
professore”, perché sempre metodico nelle gare e mai troppo
propenso a prendersi dei rischi. Senna invece era pronto a tutto per
vincere: basti pensare al GP di Monaco del 1988, quando domina la
gara con quasi un minuto di vantaggio su Prost. Tuttavia, pur di
spingere fino alla fine, va a sbattere contro le barriere del
Portier, regalando la vittoria al compagno-avversario. Mentre Senna
si toglie diverse soddisfazioni in Lotus per tre stagioni, Prost
vince il campionato del mondo nel 1985 e nel 1986. E le differenze di
stile permanagono anche in McLaren, dove Senna diventa il compagno di
squadra di Prost nel 1988. Si accendono i primi focolai tra i due,
destinati poi a esplodere nel biennio 1989-1990.
Con la McLaren, macchina
nettamente più forte del circus, i due non esitano a darsele di
brutto, sia in pista che fuori. Fioccano dichiarazioni al veleno,
specie nel periodo trascorso assieme alla McLaren. Per Prost Senna:
«E’ un pilota senza onore, non è bello battersi con lui». Un
astio che esplode però soprattutto in pista: sull’asfalto non c’è
pietà. Alla penultima gara del 1989, sul circuito di Suzuka, Prost –
vedendo a rischio la propria possibilità di vittoria del titolo –
entra in rotta di collisione con Senna. Il francese rimane lì,
mentre il brasiliano riparte e conclude una straordinaria rimonta per
la vittoria.
Il giorno successivo, una
decisione da parte della FIA (Federazione internazionale
dell’automobilismo) annulla la vittoria di Senna e consegna il
titolo nelle mani di Prost. Il presidente della FIA di allora,
Jean-Marie Balestre, era accusato di favorire il connazionale
transalpino: su Autosport, dopo Suzuka 1989, escono accuse sul
favoreggiamento di Balestre nei confronti di Prost. Il contrasto tra
Senna e il presidente della FIA continua anche dopo quella gara,
quando Balestre decise di multare il pilota brasiliano e sospenderlo
per sei mesi, minacciando anche il ritiro della sua super-licenza,
necessaria per correre in Formula 1.
Intanto Senna e Prost
continuano a darsele, anche una volta che si separano: il francese va
alla Ferrari e sono sempre loro due a giocarsi il Mondiale anche nel
1990. L’ultimo atto è ancora a Suzuka, dove Senna conquista la
pole position. Tuttavia la FIA – con una decisione controversa –
decide all’ultimo momento di far spostare la partenza del primo
qualificato sul lato sporco della pista. Un gioco di potere che non
piace a Senna, che promette a sé stesso: "Se le cose non vanno
come dico, allora farò di testa mia". Il brasiliano si prende
la sua vendetta con gli interessi rispetto a quanto accaduto nel
1989. Alla partenza, Senna viene superato da Prost. La Ferrari è
davanti alla prima curva, ma Senna sperona il francese ed entrambi
finiscono la gara dopo pochi metri. Di fatto, si chiude così la
contesa per il titolo 1990 in favore del pilota McLaren. Ma il duello
è tutt’altro che finito e continuerà anche a distanza, quando il
francese prenderà possesso della Williams invincibile di metà anni
’90.
Del resto, dopo tre
titoli mondiali, Senna capisce che la McLaren non è più il posto
vincente di prima. Il binomio Williams-Renault è destinato a
dominare la Formula 1 per un po’ di tempo e il pilota brasiliano lo
capisce prima di altri. A Woking rimarrà fino al 1993, dopo aver
comunque dato prova della sua grande abilità. Un altro esempio è il
primo e unico GP di Donington, vinto dalla McLaren del brasiliano nel
1993: quinto dopo la prima curva, Senna supera tutti nel primo giro e
si porta in testa, senza mai mollare la conduzione della gara. Il
tutto nonostante una pioggia torrenziale e la difficoltà di guidare
in un circuito pieno d’acqua. Solo Hill si salva dall’umiliazione
di esser doppiato da Senna: una danza sulla pioggia alla quale
persino Alain Prost deve arrendersi quel giorno. Ma non basta per
rimanere in McLaren: Senna vuole fortemente la Williams. E alla fine
ci arriva nel 1994, dopo tante contrattazioni (anche la Benetton di
Briatore lo voleva) e l’addio di Prost proprio dalla Williams.
Molti si sono sempre
chiesti come mai uno dei più grandi piloti della Formula 1 non abbia
mai corso in Ferrari. La verità è che non ci fu mai un accordo:
dopo il 1992, la Rossa ci provò, ma venne rifiutata da Senna. In
realtà, come rivelato dal suo manager, il brasiliano aveva preso in
considerazione l’idea di arrivare in Ferrari nel 1996, per poi
ritirarsi nel 2000 all’età di quarant’anni. Un esito mai
avvenuto e infatti nel 1996, a Maranello, arrivò un arci-rivale di
Senna: Michael Schumacher, allora bi-campione con la Benetton.
A caratterizzare la
figura di Senna c'è anche la fede in Dio. Il brasiliano ha sempre
enfatizzato un rapporto vicino e quasi personale con la propria fede,
che lo ha spinto – secondo lui – verso i successi e le
soddisfazioni della sua carriera. Senna afferma di aver visto Dio
accanto a lui sulla griglia di partenza del GP di Giappone del 1988,
in cui conquisterà il suo primo titolo mondiale. Un personaggio ben
diverso da Prost, il San Tommaso della Formula 1. Senna era solito
leggere la Bibbia nei lunghi voli che lo portavano in giro per il
mondo. La stessa mattina della sua morte, Viviane Senna – sorella
di Ayrton – rivelò di come il pilota brasiliano avesse letto un
passo significativo della Bibbia: «In quel mattino finale, si
svegliò e lesse un passo nel quale gli fu rivelato che avrebbe
ricevuto il dono più grande: Dio stesso». Un Dio che lo ha aiutato,
a modo suo, anche il 24 marzo 1991, quando Senna trionfa per la prima
volta nel GP del Brasile. Un traguardo che gli era sempre mancato, ma
che ottiene in modo rocambolesco. La McLaren di quegli anni domina,
ma lui soffre di un problema al cambio dopo una gara dominata, che lo
costringe a girare unicamente con la sesta marcia negli ultimi giri.
Immaginate correre con i cambi di allora e con una sola marcia a
disposizione: il dolore di Senna esce fuori in tutta la sua violenza
nel team radio dopo la fine della corsa. Finalmente vittorioso, il
brasiliano urla come un pazzo per la vittoria ottenuta e l’auto dei
medici deve trasportarlo sul podio per la consegna del trofeo.
Primo maggio 1994.
È un
pomeriggio di sole a San Marino, la stagione è stata difficile sin
lì per Ayrton Senna. Dopo aver firmato per la Williams, la FIA ha
impedito l’utilizzo di alcuni dispositivi elettronici che avevano
reso quella macchina la più desiderata del circus. Senna viene da
due ritiri e dalla delusione per una macchina non corrispondente alla
grandi aspettative di inizio stagione.
I giorni prima avevano
già configurato quel gran premio fu uno dei più funesti nella
storia della Formula 1. L’incidente – senza conseguenze – di
Rubens Barrichello nel venerdì, ma soprattutto la morte di Roland
Ratzenberger durante le qualifiche del sabato: il pilota austriaco
della Simtek perse la vita dopo la rottura dell’ala anteriore della
sua vettura, che causò lo scontro con il muro a 306 km/h. E Senna
non può fare a meno di pensare che quello non fosse un bel segnale;
va a controllare il punto in cui Ratzenberger perse la vita e cade in
un pianto profondo. A questo si deve aggiungere il tremendo scontro
in partenza tra la Lotus di Pedro Lamy e la Benetton di J.J. Lehto,
con i detriti che ferirono nove spettatori. Infine, la perdita di una
ruota da parte di Alboreto ai box della Minardi, che ferì tre
meccanici.
Nonostante tutto, la
domenica si corre. Come da copione, Senna è in prima posizione,
sebbene la Williams gli abbia procurato due ritiri nelle prime due
gare. Il brasiliano spinge nei primi giri per portare a casa la
vittoria, finché non si arriva alla curva del Tamburello. Racconterà
Gerhard Berger qualche anno dopo, che aveva subito lo stesso
incidente nello stesso punto nel 1989: «Con Ayrton convenimmo che
dovevamo togliere quel muro: era pericolosissimo. Dietro a quel
muretto, Ayrton vide che c’era un ruscello. Non si poteva togliere
quel muro, ma lui disse che qualcuno ci avrebbe lasciato le penne».
Senna perde il controllo della sua Williams e va a scontrarsi contro
le barriere. Il piantone dello sterzo cede di colpo e trafora il suo
casco. Non solo: la sospensione si rompe e una gomma lo prende in
pieno. Chi lo tira fuori dalla macchina ha probabilmente già perso
le speranze. Come Sid Watkins, allora medico della FIA e amico di
Senna, che racconta di come vide un rantolo nel corpo di Senna: lui
lo interpretò come un segnale, di un addio dell’anima di Ayrton al
suo corpo. Viene fatto il possibile per salvarlo, ma l’annuncio
dell’equipe medica dell’Ospedale Maggiore di Bologna chiude
l’ultima corsa di Senna, che aveva già lasciato questa Terra alle
14.17 di quella festa dei lavoratori del 1994. Con la beffa finale:
nella sua auto, viene trovata una bandiera austriaca. Se avesse
vinto, Senna avrebbe voluto dedicare la vittoria a Ratzenberger. Un
ultimo omaggio che non ha mai avuto luogo.
Non so se avete mai visto
un funerale di Stato. Se mai voleste averne una buona immagine,
quello di Senna ti toglie il fiato: l’intero Brasile si strinse
intorno al suo eroe, quello che ne aveva portato il nome all’estero.
All’epoca il Brasile non era certo il paese in via di sviluppo che
conosciamo oggi e Senna era uno dei pochi motivi di vanto per i
brasiliani. Come la nazionale di calcio, che proprio quell’anno
centrò il quarto titolo mondiale nella finale di Pasadena contro
l’Italia. Leonardo, attualmente a Parigi, rivelerà di aver
incontrato Senna e che proprio lui aveva predetto che la nazionale
sarebbe diventata Tetracampeão. E che gli dedicò uno striscione
dopo la finale. Il governo dichiarò tre giorni di lutto nazionale e
la bara di Senna fece un viaggio di 25 chilometri per tutta la città
di San Paolo, con 2500 poliziotti a protezione del fu fenomeno. Si
dice che furono tre milioni le persone presenti per le strade di San
Paolo per l’ultimo addio ad Ayrton Senna. Forse il funerale con più
presenze nella storia moderna.
Senna disse una volta:
«La mia carriera durerà solo pochi altri anni, ma spero di poter
migliorare ancora come uomo e continuare a imparare». Oggi avrebbe
54 anni e tante cose da raccontare. Chissà se avrebbe vinto un altro
Mondiale, il quinto della sua carriera. Chissà se avrebbe mai corso
in Ferrari, come molti italiani speravano. Chissà se il dualismo con
Schumacher sarebbe degenerato o se sarebbe passato alla storia come
quello con Prost. Magari oggi lo vedremmo camminare nei paddock,
aiutare il suo Brasile e chiaccherare con chi oggi la storia la sta
scrivendo: vi immaginate un dialogo tra il gelido Raikkonen e il
dinamico Senna? O una sfida in pista con Vettel, Hamilton o Alonso?
Il suo epitaffio, degna chiusura di una vita vissuta al massimo,
recita: «Nulla può separarmi dall’amore di Dio». E forse nessuno
può separarci dal suo ricordo, nonostante un ventennio dalla sua
morte.
Pagina99, 1° maggio 2014
Nessun commento:
Posta un commento