26.10.17

1900. Morte ai diavoli stranieri! In Cina la rivolta dei boxer (Renata Pisu)

Renata Pisu, sinologa, giornalista, scrittrice, donna di grande cultura e, insieme, di grande semplicità e umana simpatia, dopo gli studi nella Cina Popolare degli anni 50, cominciò la sua lunga e intensa carriera giornalistica scrivendo a puntate, per il settimanale “ABC” diretto da Gaetano Baldacci, una storia della Rivoluzione cinese ed ha sempre amato, di tanto in tanto, “tornare alle storie”. Questa sua rievocazione della rivolta dei boxer mi pare assai vivida ed efficace. (S.L.L.)

Nell'afosa estate di Pechino, esattamente cento anni fa, si consumò la tragedia del lungo assedio al quartiere delle legazioni straniere e del massacro indiscriminato di civili cinesi compiuto dalle forze del contingente internazionale arrivate per "difendere la civiltà" dalla furia dei Boxer. Non erano "caschi blu" i russi, gli italiani, i francesi, gli inglesi, gli americani i giapponesi e i tedeschi che si impegnarono in Cina in una missione militare comune (Peace-enforcing, si direbbe oggi), in un certo senso antesignana degli interventi umanitari, con armi più o meno "intelligenti", che hanno contrassegnato l'ultimo decennio del XX secolo, un secolo che ha ricevuto l'estrema unzione con l'intervento in Kossovo ed il battesimo con la Guerra dei Boxer. O forse sarebbe meglio dire con la guerra contro la Cina, un immenso paese in sfacelo, una torta da sbocconcellare, un corpo malato da smembrare. Allora non esisteva l'Organizzazione delle Nazioni Unite ma le potenze più industrializzate, Giappone compreso (le stesse di oggi), concertarono comunque un intervento armato contro un paese sovrano qual era l'Impero cinese, per difendere i propri connazionali, i propri interessi e i cinesi convertiti al cristianesimo, dalla furia xenofoba degli accoliti di una società segreta, quella dei Pugni Giusti e Armoniosi, i quali praticavano la boxe magica (per questo sono passati alla storia come i Boxer, i pugilatori) e si illudevano che bastasse scacciare gli stranieri, divellere le rotaie dei loro "carri di fuoco" (in cinese si chiama così il treno), per sanare il Celeste Impero da tutti i suoi mali.
Raccolti in bande di disperati - erano per lo più braccianti, battellieri, facchini, vagabondi, artigiani e piccoli bottegai in rovina, venditori ambulanti, maestri con i loro scolari, monaci taoisti, tutti giovanissimi - imperversavano già da qualche anno nella Cina settentrionale prima che le notizie della loro folle violenza arrivassero sulle prime pagine dei giornali occidentali. Così li descrive in una sua "memoria" al Trono un prefetto che il 22 maggio del 1900 andò a visitare un loro accampamento entro la cinta di un tempio: "Vidi che erano tutti ragazzi di tredici o quattordici anni, il più piccolo non aveva superato gli otto. Dopo aver salutato le divinità ed essersi rispettosamente piazzati ai due lati dell'altare, i giovinetti assunsero improvvisamente un aspetto morboso, la faccia rossa, lo sguardo fisso; dalle loro bocche usciva una schiuma bianca; si misero a gridare e a ridere e si dettero calci e pugni, anche quelli più piccoli saltavano a un'altezza di parecchi piedi. Avanzavano e indietreggiavano, si alzavano e si coricavano, si giravano in avanti o all'indietro come se fossero diretti da un solo uomo. Un vecchio mi disse che erano gli dei che entravano nei corpi dei ragazzi e che questa era chiamata la boxe divina. Dopo diciotto giorni di esercizio arrivavano alla perfezione, cioè diventavano invulnerabili alle pallottole dei diavoli stranieri".
Nei proclami dei Boxer si leggeva: "La Chiesa cattolica e gli occidentali insieme complottano per distruggere la Cina. Hanno dilapidato il denaro del nostro paese, demolito i nostri templi, distrutto le effigi dei Budda, usurpato le terre dove il popolo ha le sue tombe. Milioni di persone li odiano". Ma i Boxer odiavano anche la dinastia regnante, la Qing. Si riallacciavano infatti, come sostengono gli storici cinesi contemporanei, alla tradizione delle società segrete che, nella storia costante dell'assolutismo cinese, hanno sempre costituito l'unica forma di opposizione al Potere: i loro accoliti, imbevuti di insegnamenti esoterici e di superstizioni, sono sempre stati (e potrebbero esserlo ancora oggi, come sembra temere Pechino che l'anno scorso ha messo fuori legge e perseguita la setta Fa Lun Gong) come un fuoco che cova sotto la cenere e che può divampare da un momento all'altro, come una tigre che si risveglia e che qualcuno può essere tentato di cavalcare. Allora fu l'Imperatrice Vedova Ci Xi, “il Vecchio Budda”, a cavalcare la furia dei Boxer il cui obiettivo di lotta, agli inizi, era: "Sterminare gli stranieri, rovesciare i Qing". Ma poi, manovrati dalla Corte, si diressero unicamente contro i "diavoli stranieri" e dilagarono, nei primi cinque mesi del 1900, nelle campagne e nei villaggi intorno a Tientsin e a Pechino che occuparono il 14 giugno, massacrando i cinesi convertiti, dando alle fiamme tutte le proprietà degli occidentali, colpendo a morte, per strada, il 20 giugno, il Ministro tedesco Von Ketteler. Il giorno dopo l'Imperatrice Vedova dichiarava guerra all' Occidente intero - una mossa avventata che sarebbe costata cara alla Cina, non a lei personalmente che gli occidentali vollero mantenere al potere - e i Boxer posero sotto assedio il quartiere delle undici Legazioni straniere rappresentate nella capitale. Lì rimasero intrappolati fino al 14 di agosto, 475 civili stranieri, 450 militari di otto nazioni, duemila cinesi cristiani e circa 150 cavalli da corsa che fornirono carne fresca alla piccola comunità che aveva organizzato la difesa costituendo diverse unità di combattimento divise per nazionalità, con i comitati di emergenza formati in gran parte da missionari. Sotto assedio e con ancora maggiore penuria di viveri e di munizioni, rimase per due lunghi mesi anche la cattedrale di Bei Tang, dove erano barricati tremila cinesi cattolici, comprese 850 scolare, difesi da 43 marinai, 31 francesi e 12 italiani, la metà dei quali morirono uccisi dai Boxer.
Ma i Boxer morirono invece a migliaia perché non erano affatto "invulnerabili", come si ostinavano a credere lanciandosi all' assalto senza nessuna copertura. Se l'assedio fu una tragedia (morirono 76 combattenti stranieri, 6 bambini occidentali e qualche centinaio di convertiti cinesi), la vera carneficina si ebbe nelle campagne e nei villaggi dove i Boxer trucidarono più di 200 missionari cattolici e protestanti e più di 30 mila cristiani cinesi. Quando, il 13 agosto del 1900, le truppe internazionali entrarono a Pechino, un giovanissimo giornalista italiano, Luigi Barzini, inviato del Corriere della Sera, scrisse che ""la bandiera della nostra civiltà avrebbe dovuto essere ammainata a lutto". Il Kaiser aveva detto ai soldati tedeschi prima che si imbarcassero: "Siano completamente alla vostra mercé tutti coloro che cadono nelle vostre mani. Non prendete prigionieri, uccidete. Fate che il nome della Germania diventi famoso in Cina come quello di Attila che alla testa degli Unni conquistò gloria nella storia. Che nessun cinese osi più guardare negli occhi un tedesco!". Non solo i tedeschi ma anche i soldati di tutti gli altri paesi "civili" si comportarono secondo i consigli del Kaiser: Pechino fu ridotta a un cumulo di macerie, il Palazzo Imperiale fu saccheggiato, i volumi della Biblioteca Imperiale servirono ad alimentare i fuochi dei bivacchi, ai margini delle strade si ammassavano i cadaveri dei cinesi uccisi per "esercitazione".
Un testimone della carneficina, l'inglese Putnam Weale, scriveva: "Uno strano giovanotto di una delle legazioni occidentali si offriva sempre di fare la parte del boia. Era eccitatissimo e mi fece un discorso che non dimenticherò mai. Avete visto i pozzi vicino alla Porta Orientale dove si sono buttate tutte quelle donne cinesi per paura dei nostri soldati? Quando riescono a prenderne una e a violentarla, mi invitano sempre ad assistere. Che ridere!". Gli storici cinesi marx-maoisti, sia pure a mezza voce, hanno sostenuto che l'insurrezione dei Boxer è stato "il primo grande movimento contro il colonialismo moderno la cui forza ha costretto le potenze occidentali a rinunciare al progetto di spartizione della Cina". Qualunque sia il verdetto finale - che non vi sarà perché potrebbe essere soltanto di matrice ideologica - resta la cronaca dei massacri perpetrati.


“la Repubblica”,10 agosto 2000  

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