13.10.17

Leo the Lion. 1924-2004: ottanta anni di Metro Goldwin Mayer (Andrea Rocco)

Nel 2004 la più antica delle majors, protagonista della storia del cinema americano e mondiale, dopo una lunga fase di decadenza, venne acquisita da Sony-Columbia e perse la sua autonomia, cambiando completamente identità: oggi produce soprattutto contenuti televisivi, utilizzando la sua ancora cospicua “libreria”. Il necrologio che qui “posto”, affidato dal “manifesto” ad Andrea Rocco, a me è sembrato ricco di informazione critica e ben costruito. (S.L.L.)

Con l’acquisto della Metro Goldwyn Mayer da parte di Sony-Columbia, le sette sorelle sono rimaste sei: Paramount, Universal, Disney, Warner, Columbia, Fox. Il primo a morire degli storici studios hollywoodiani che hanno dominato per oltre ottant’anni rimmaginario di mezzo mondo è stato quello che aveva le più forti caratteristiche identitarie. Non solo quel leone ruggente (ha anche un nome, Leo the Lion) all’inizio di ogni pellicola, circondato dal motto latino «Ars Gratia Artis» , ma per decenni uno stile, lo «stile Mgm» che differenziava i film prodotti negli studios di Culver City da quelli dei concorrenti.
Dalla Mgm «veniva un mondo di sogno» - ha scritto Neal Gabler, autore della storia dei fondatori di Hollywood, An Empire oftheir Own. «Da lì veniva un mondo a volte straordinariamente risplendente, a volte commovente per semplicità ed ingenuità, un mondo nato dalle contraddizioni della vita stessa di Louis Mayer».
Anche se alla nascita ufficiale della Mgm, nel 1924, il nome di Mayer non appare ancora (si chiama Metro Goldwyn), è lui a plasmare e a riempire con la sua enorme personalità la futura «major». Ebreo, nato in Europa dell’est, come tutti i fondatori degli studios di Hollywood (Zukor di Paramount, Cari Laemmle di Universal, Harry Cohn di Columbia, William Fox e i fratelli Warner), Mayer dopo un’infanzia infelice tra il Canada e il Massachussetts aveva cominciato ad interessarsi della nascente industria del cinema, entrando nella distribuzione.
Il colpo grosso lo fa quando si assicura i diritti di distribuzione del capolavoro di D.W.Griffith, Nascita di una nazione e pochi anni dopo, fondata la propria società di produzione a Los Angeles, assume Irving Thalberg. I due vengono chiamati nel 1924 dal proprietario di sale Marcus Loew a dirigere l’appena costituita Mgm. Fin dall’inizio, l’innovazione di Mayer e Thalberg è la «spettacolarizzazione» del business del cinema: un grande party con aerei che fanno piovere fiori sugli invitati all’inaugurazione degli studios Mgm di Culver City, la costruzione delle figure delle dive come inarrivabile modello di identificazione popolare, l’ostentazione dei consumi di lusso (li-mousines, ville, piscine).
Parallelamente, grazie soprattutto a Thalberg, Mgm delinea quel modello di «studio System», di contrattualizzazione a lungo termine delle star, di scrittori e registi che caratterizzerà l’ascesa di Hollywood negli anni ‘30 e ‘40.
Sono anni in cui Mgm sforna decine di film di successo, dal Mago di Oz alla serie di 17 film di Andy Hardy con Mickey Rooney, da Night at the Opera dei fratelli Marx a L'ammutinamento del Bounty. Della «scuderia» Mgm fanno a lungo parte Clark Gable, Jimmy Stewart, Fred Astaire & Ginger Rogers, Gene Kelly, Jean Harlow, Laurel e Hardy, Buster Keaton, Greta Garbo, Bette Davis, Lana Tumer, Joan Crawford, Spencer Tracy e Katharine Hepbum. E tra gli scrittori, Francis Scott Fitzgerald e William Faulkner.

Via col vento? Non renderà
Non sempre l’ossessiva ricerca del meglio e della qualità o la leggendaria intuizione per il successo di Mayer e Thalberg fanno centro. Famoso fl giudizio di Thalberg sulla sceneggiatura di Via col Vento: «Nessun film sulla Guerra civile ha mai guadagnato un centesimo». Mgm respinge il progetto (ma lo distribuisce) che è diventato il film più profittevole della storia del cinema.
Ma Mayer è stato un innovatore anche sotto un altro punto di vista. Ossessionato dall’ansia di assimilazione nella società americana, ferocemente conservatore e moralista, è stato il primo ad intuire il potenziale di forza politica dell’industria del cinema. Primo tra i mogul hollywoodiani ad essere invitato a dormire alla Casa bianca (da Hoover nel ‘28), Mayer era acceso nemico di Roosevelt e soprattutto è stato colui che ha impedito allo scrittore socialista Upton Sinclair di diventare governatore della California nel 1934. Mayer mobilita i colleghi-rivali delle altre «majors» contro colui che prometteva di mettere fine alla povertà in California anche tassando maggiormente la produzione di film. E utilizza per la prima volta le armi della propaganda cinematografica, con falsificazioni molto simili a quelle attuali dei «reduci del Vietnam contro Kerry». La vittoria di Mayer contro Sinclair ne fa per anni uno dei produttori più influenti politicamente (fu presidente del partito repubblicano della California), ma le sue tattiche creano in dipendenti ed attori una reazione che sposta per sempre Hollywood nel campo progressista. Altrettanto feroce è stato atteggiamento di Mayer e della Mgm ai tempi della «caccia alle streghe» maccartista.
Nel frattempo andava sgretolandosi quello «studio System» nel quale Mgm aveva prosperato. Nel 1948 una sentenza della Corte suprema pone fine al monopolio degli studios sulle sale cinematografiche; nel 1950, dopo due tentativi falliti di liberarsi dal cappio dei contratti con gli studios da parte di Bette Davis e di Olivia De Havilland, James Stewart negozia con successo un accordo che lo rende partecipe degli utili dei suoi film. Ad aiutarlo è Lew Wasserman, agente e nuova forza emergente della politica hollywoodiana. È la fine del potere dei vecchi studios, l’inizio del declino di Mgm.
Nel 1939 lo studio di Leo the Lion aveva una posizione dominante, il 22 per cento degli incassi del botteghino statunitense. Nel 1949 la leadership era insidiata da Fox. Ancora nel 1964 Mgm è ai vertici, appaiata a Paramount, ma nel 1972 la sua quota di mercato precipita al 6% (sono Warner e Paramount a dominare). Le cause della decadenza sono molteplici. Mgm resta a lungo una casa cinematografica «pura», mette le «majors» rivali, dopo la scomparsa alla fine degli anni ‘50 della generazione dei fondatori, cambiano pelle. Arrivano grandi gruppi industriali come Gulf and Western, che acquisterà Paramount, Coca-Cola (Columbia), Matsuhisa (Universal) e Sony (ancora Columbia). Sono acquisizioni che in qualche modo limitano l’indipendenza degli studios, ma al tempo stesso danno loro spalle abbastanza larghe da poter entrare nei nuovi settori della tv, del video, dei video-games, dei parchi a tema.
Mgm finisce invece nelle mani di Kirk Kerkorian, un miliardario di origine armena che ha fatto i soldi con alberghi e casinò e che se antropologicamente potrebbe somigliare ai vecchi tycoons hollywoodiani, per il cinema non ha alcun interesse. Proclama che Mgm sarà d’ora in poi soprattutto una società alberghiera, vende parte dei preziosi archivi a Ted Turner (che lancerà il business della colorizzazione dei film), costruisce un enorme albergo a Las Vegas, l’Mgm Grand, il cui ingresso ha la forma di Leo the Lion. Sono gli anni ‘90 e la quota di mercato delle produzioni Mgm cala al 3%.

Un ex cameriere italiano
Poi Kerkorian passa la mano. Con l’aiuto del Crédit Lyonnais, l’ex-cameriere italiano Giancarlo Panetti stupisce il mondo acquistando lo studio del leone. Il suo è un impero breve, che porta in caricatura i segni del potere hollywoodiano «A Hollywood - scriveva Edward Jay Epstein sul suo Diary -Panetti vive con uno stile da Grande Gatsby. Ha comprato una villa a Beverly Hills da 8 milioni di dollari, dove porta i suoi ospiti a visitare un sotterraneo blindato con quadri che lui identifica come Picasso, Mirò e Goya... Affitta una Rolls da 200mila dollari ed « proprietario di un ristorante italiane Madeo, e un night-club, Tramps».
Panetti, scaricato dal Crédit Lyonnais, abbandonato anche dal socio Florio Fiorini, ex-manager Eni e «link» con l’establishment affaristico socialista dell’epoca, finisce in galera un paie di volte, nel 1991 e nel 1999, per riemergere recentemente come candidato a sindaco della natia Orvieto.
Nel frattempo Kerkorian si è ricomprato la Mgm, ha ripreso a fare film, alcuni, come Legally Blonde e Barber-shop, fanno anche dei quattrini, mentre la «library» di 4000 film e di 10.000 titoli televisivi diventa sempre più preziosa nelle sue potenziali declinazioni di contenuto per i nuovi media. Kerkorian fa sapere che Mgm è di nuovo in vendita, ed è storia degli ultimi giorni.
Dopo una durissima battaglia con Time Warner la Sony, sostenuta dal colosso della Tv cavo Comcast, conquista la casa di Leo the Lion. Le attività cinematografiche saranno proseguite da Columbia, già controllata da Sony, che occupa proprio quegli studios di Washington Boulevard a Culver City sui quali nel 1924 Louis Mayer aveva fatto versare una pioggia di fiori da una flotta di aerei nel giorno dell’inaugurazione.

"il manifesto", 18 settembre 2004

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