30.10.17

Contro il freddo due paia di calze sottili. Consigli medici anni 50 (Angelo Viziano)

 Al mercatino del modernariato, ieri mattina, attratto dalle foto di Patellani scattate durante la tremenda alluvione del Polesine nell'autunno 1951 e da quelle da Berlino Ovest di Cartier Bresson, ho comprato una vecchia copia del “Tempo” settimanale, il cosiddetto “Tempo illustrato”, del 1 dicembre di quell'anno. Vi ho trovato nella rubrica di “Medicina” l'articolo che segue.
Ho ragione di ritenere, dopo qualche ricerca in reste, che l'autore sia un medico, ma non sono in grado di dire se tutti i consigli che dà siano tutti validi (alcuni, del tipo “coprirsi quando è freddo”, lo sono di sicuro). A me è sembrata umoristica (forse involontariamente) e, a suo modo, brillante la scrittura, divulgativa nelle intenzioni e pullulante di fantasiose similitudini e briose metafore, dalla iniziale “combriccola di malfattori” alla conclusiva “salva di sternuti”. A ciò si aggiunga un tono che va dal sapienziale ciarlatanesco, nelle parti più tecniche, al petulante di certe considerazioni moralistiche. Uno spasso insomma. (S.L.L.)

Non tutti sanno vestire razionalmente per difendersi dai freddo. Molti errori li commettono le donne; ma ad uno almeno potrebbero porre rimedio senza pregiudizio dell’estetica e della moda

Il freddo nell’inverno è stato preso a comune esponente di tutta una combriccola di supposti malfattori, (come l’umidità, la pressione barometrica, l’elettricità atmosferica), soprattutto nei riguardi dello sviluppo e della diffusione delle malattie acute più frequenti in tale stagione, le respiratorie. Gli è stata attribuita un’azione debilitante l’organismo in genere e le mucose delle vie aeree in specie; sì da offrire ai germi infettivi tanto da far baldoria e regalarci una catena di malanni che van dal semplice raffreddore alle tracimiti, alle bronchiti eppoi a qualcosa di più grosso, polmoniti e broncopolmoniti, quando non si arrivi addirittura a turbare lo stato di quel doppio sacco che avvolge i polmoni, la pleura.
Una difesa, quindi, contro il freddo è lapalissiano che si imponga. Madre natura, onorandoci di differenziare il nostro mantello cutaneo dal vello degli animali, ci ha fornito un’apparecchiatura interna intesa a difendere pur noi dalle variazioni termiche ambientali, tanto da mantenere pressoché costante la nostra temperatura corporea col mutar di quella atmosferica. Il gioco è regolato da un servizio periferico cutaneo d’avvistamento delle condizioni ambientali e da una centrale di comando collocata alla base del cervello, un complesso di «nuclei» incastonati in un angoletto chiamato «ipotalamo».
Di mano in mano che i recettori periferici trasmettono con i fili nervosi le sensazioni termiche raccolte sulla cute alla stazione cerebrale, di qui si dipartono ordini difensivi netti ed immediati per la periferia stessa. In seguito ad essi, se è il freddo che infastidisce, come nel caso che ora ci interessa, le ghiandole sudoripare son richiamate all’inattività, per non disperdere con la loro secrezione calore immagazzinato nel corpo (come è lecito ed utile in estate) e i vasi sanguigni cutanei son invitati tosto a restringersi. In tal modo si riduce al minimo il passaggio della massa circolante di sangue alla superficie del corpo, da cui altrimenti tornerebbe troppo raffreddata agli organi interni. Si attua in tal modo una difesa meccanica per impedita termodispersione. Ma v’ha di più; dai centri regolatori termici partono altri ordini, per via nervosa od umorale, e subito c’è qualche ghiandola endocrina che provvede ad incrementare la produzione autonoma del calore del corpo, attizzando una specie di fuoco interno con l’aumentare delle ossidazioni cellulari. Si mette, in altri termini, in moto il meccanismo della termogenesi, al quale concorre pure lo stimolo dell’accresciuto appetito. Il freddo, difatti, par che inviti a gettar nel forno della macchina umana maggior carburante da trasformare in gran parte in calore.
Tutto ciò, tuttavia, non basta. È utile sì per i passaggi sia pur bruschi dal caldo al freddo, ma di breve durata; che altrimenti la vasocostrizione cutanea è fonte essa stessa di guai. D’altra parte perché le combustioni interne si accrescano ed il ricambio organico si equilibri bisogna che ravviamento al freddo sia graduale. Solo allora la tiroide s’adatta meglio al suo ufficio di vestale, di mantice della vita. Ragione per cui, visto che le buone intenzioni di madre natura non sono in ogni caso praticamente sufficienti, bisogna supplire con sagge e tempestive variazioni dell’abbigliamento. E non è certo questa una clamorosa scoperta!
Ma c’è davvero chi sa vestirsi razionalmente per ripararsi contro le vicissitudini atmosferiche? All’assistere a certe incongruenze della moda parrebbe di no. Si commettono errori da scontare a caro prezzo. Vi incorre la donna, ma anche l’uomo talora e magari per diverso angolo visuale. Mentre le signore, ad esempio, non tardano ad imbrigliare la loro fluente capigliatura con un cappellino di capriccio, ci son uomini di ogni età che contano ai inoltrarsi nell'inverno a testa scoperta. È un guanto di sfida che gettano al freddo, al vento, all’umidità, supponendo d’esservisi allenati... nell’estate. Fortunati quando ne escono con semplici raffreddori, che non abbiano spinto germi “di sortita” ad emigrare nelle insenature di ossa limitrofe al naso ed a darvi luogo a sinusiti, a quelle infiammazioni, frontali specialmente, tanto dolorose, persistenti e pericolose se si trasformano in purulente.
Non si dica che una buona scatola cranica è la tutrice assoluta di quell’importante viscere che è il cervello. Una sferzata di freddo al capo può avere riflessi vasomotori nello interno, mutamenti cioè improvvisi e strambi dell’idraulica cerebrale, che possono avere conseguenze più o meno violente. Certo gli è che molte nevralgie ed emicranie ribelli, oltre le riniti, possono essere prevenute col semplice uso del copricapo. Il che non esclude l’igienica aerazione della capigliatura nei momenti adatti, che non coincidono proprio con i passaggi bruschi dagli ambienti caldi al freddo.
Se ora dal vertice della persona scendiamo allo zoccolo, lì troviamo materia per incriminare a sua volta la donna. Essa è responsabile, difatti, con i suoi errori di calzatura (suole sottili, tomaia forata, calze di velo), non solo di qualche gelone sporadico ai piedi, ma particolarmente di quelle asfissie cutanee che dal collo del piede s’innalzano per un buon terzo della gamba e trapelano, con la lor tinta violacea ed un lieve turgore della pelle, attraverso quelle tele di ragno che son le calze femminili. Son queste favoreggiatrici di un ristagno di sangue nei capillari cutanei, a causa di una paralisi transitoria di tali piccoli vasi, determinata dall’azione del freddo su una loro minorata innervazione.
Dire alle signore di usar calze di lana è in molti casi vano discorso; ma il consiglio di calzarne due paia sottili di altro tessuto, forse verrà accettato quando se ne sarà spiegato l’ufficio igienico, quello di trattenere aria nella loro intercapedine, a guisa di cuscinetto lieve ed insospettato, cattivo conduttore del freddo dall’esterno e del caldo dall’interno. Vien da pensare che un suggerimento del genere ce l’abbiano offerto quei passerotti che vivono all’aria aperta e verso la notte, quando la temperatura particolarmente s’abbassa, si accoccolano su un ramo e drizzano le piume, con l’evidente intento di aumentare tra quelle lo strato d’aria per proteggersi dal freddo. La lana, in fondo, con la sua morbidezza e porosità realizza qualcosa di simile e perciò mantiene calore nel suo spessore. Sempre ligi al principio attuato dal passerotto miriamo a condizionare pure la protezione del tronco (torace ed addome, serbatoi di visceri sensibili) non sovraccaricandolo d’abiti, ma abbigliandolo con capi comodi, come si suol dire.
Tener conto bisogna infine del riscaldamento degli ambienti, erroneamente portato sovente al surriscaldamento. Naturalmente quando si debba di consuetudine soggiornare in essi a lungo, siano uffici o abitazioni, è assurdo indossar vesti non leggere; ma bisogna allora provvedere che proporzionalmente più caldi siano soprabiti e cappotti per l’uscita, ad evitare i danni dei trapassi termici; soprabiti e cappotti van tenuti per lo meno in luogo tiepido prima di essere indossati. La signora che poi s’affida a quel superbo termostato che è la pelliccia sia circospetta nello spogliarsene, allorché entra in un locale dal dubbio riscaldamento. Essendo facilmente essa in traspirazione potrebbe andare proprio incontro a malanni di raffreddamento, inaugurabili con una salva di sternuti.


“Tempo”, anno XIII n.48 1 dicembre 1951

1 commento:

Anonimo ha detto...

Spendi ρoco ma sarai sempre аlla moda cߋn Kiabi.

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