Il quinto centenario
della Riforma protestante induce a richiamare l’attenzione
sull’importanza e sulla forza della personalità di quell’ex
monaco agostiniano che risponde al nome di Martin Lutero. Importanza
e forza che spiegano come la figura di Lutero abbia suscitato echi
profondi anche nelle file della socialdemocrazia tedesca e del
movimento comunista internazionale. Correva l’anno 1890 quando
Antonio Labriola, il primo e forse il maggior teorico marxista del
nostro Paese, avviò una corrispondenza di eccezionale interesse con
Friedrich Engels, cofondatore, insieme con Karl Marx, del socialismo
scientifico e figura prestigiosa della Seconda Internazionale, e con
Filippo Turati, fondatore e direttore della rivista “Critica
Sociale”, nonché esponente di primo piano del movimento socialista
italiano che di lì a poco, nel 1892, si sarebbe costituito in
partito. Un documento importante dell’impegno pratico profuso da
Labriola nella formazione del partito socialista è costituito, a
questo proposito, dal messaggio di saluto al congresso della
socialdemocrazia tedesca, tenuto a Halle nell’ottobre del 1890, che
Labriola redasse d’accordo con Turati. In esso troviamo l’auspicio
di un rapido progresso del movimento operaio internazionale, insieme
con affermazioni classicamente marxiste, e una conclusione molto
significativa, che vale la pena di riportare: «Voi congregati ad
Halle potrete esclamare come Lutero innanzi alla Dieta dell’Impero:
«Noi siamo qui e noi non possiamo altrimenti» [frase che in tedesco
suona: “Hier stehe ich, und kann nicht anders”]. Ma non
soggiungerete come Lutero: “Dio, aiutaci”, anzi direte: “questo
è il fatto della storia”; - e in tale sentimento è la insegna e
la sicurtà del nostro diritto. Salute e fratellanza!». Il
riferimento a Lutero, in quanto emblema di coraggio e di fermezza, è
peraltro un ‘topos’ ricorrente nella letteratura comunista della
fine dell’800 e dell’inizio del ’900, come dimostrano anche le
pregnanti considerazioni che Stalin espresse verso la fine del 1920
nell’articolo intitolato Tre anni di dittatura del proletariato:
«La Russia sovietica vivrà, si svilupperà e vincerà i suoi
nemici. È certo che il nostro cammino non è dei più facili, ma è
anche certo che le difficoltà non ci mettono paura. Parafrasando le
note parole di Lutero, la Russia potrebbe dire: “Mi trovo qui, al
confine tra il vecchio mondo capitalistico e il nuovo mondo
socialista; qui su questo confine io unisco gli sforzi dei proletari
dell’occidente con gli sforzi dei contadini dell’oriente al fine
di sconfiggere il vecchio mondo. Mi aiuti l’Iddio della storia». E
«l’Iddio della storia» è stato dalla parte della rivoluzione
russa e della classe operaia internazionale per alcuni
indimenticabili decenni.
Così Antonio Labriola,
sul finire del XIX secolo, evocò in terra tedesca il protagonista
della Riforma protestante. Avrebbe potuto aggiungere, se non fosse
stata una postilla in qualche misura pedantesca, che allora i
socialisti si riconoscevano (e oggi i comunisti si riconoscono)
nell’ala rivoluzionaria della Riforma, da cui sarebbero germinati
gli anabattisti, negatori, in nome di Dio, del principio della
proprietà privata e sostenitori del comunismo religioso ed
egualitario, propagandisti ed organizzatori dei moti contadini di
quel periodo storico: ala che ebbe come massimo rappresentante Thomas
Müntzer. Nel maggio 1525, mentre si estendeva a tutta la Germania la
rivoluzione contadina, Martin Lutero fece dunque una scelta forse
ancor più importante, per le conseguenze che ebbe, di quella che nel
1521, con grande coraggio e forza d’animo, aveva compiuto davanti
all’imperatore Carlo V e alla sua corte in occasione della Dieta di
Worms, quando pronunciò la frase famosa citata da Labriola. Il
protagonista della Riforma pubblicò infatti, per rafforzare
l’appoggio dei principi e della borghesia al suo movimento
religioso, uno scritto intitolato Contro le masnade dei contadini
saccheggiatori e assassini, che conteneva una presa di posizione
decisa e durissima contro i contadini in rivolta e in favore delle
autorità e dell’ordine costituito. In questo scritto ricorrono
anatemi ed incitamenti che fanno rabbrividire per la violenza della
repressione che viene invocata: «…essi [i contadini] predano e
infuriano e fanno come i cani arrabbiati; da ciò appare…come fosse
solo menzogna e doppiezza quello che hanno proclamato nei dodici
articoli [si tratta del programma politico-sociale dei contadini]…In
questo caso un principe e signore deve pensare d’esser servo e
ministro di Dio e dell’ira sua…e che appunto contro tali ribaldi
gli è data la spada…Per la qual cosa…ferisca, scanni, strangoli
chi può…in obbedienza alla parola ed al volere di Dio…per
salvare il prossimo dall’inferno e dai lacci del demonio…questo è
il tempo dell’ira e della spada, non quello della grazia» .
Per quanto riguarda il
duplice profilo di riformatore religioso e di profeta della
borghesia, che caratterizza la personalità intellettuale di Lutero,
merita di essere rammentato, in questa sede, un rilievo estremamente
acuto formulato da un grande poeta e saggista della seconda metà del
Novecento, Franco Fortini, il quale, nel delineare la sua “via al
marxismo”, partita dall’ebraismo paterno e passata dal
protestantesimo valdese, si è soffermato su un punto capitale della
riforma luterana, ossia sulla negazione della presenza reale del
corpo di Cristo nell’ostia consacrata. È questo un punto che
merita di essere approfondito, andando oltre la celebre ‘boutade’
di Voltaire che, nel tratteggiare sarcasticamente le differenze tra
cattolici, luterani e calvinisti rispetto all’eucaristia, soleva
dire che i primi ingeriscono il corpo e il sangue di Cristo
(transustanziazione), i secondi il corpo e il sangue assieme al pane
e al vino (consustanziazione) e i terzi soltanto il pane e il vino
(in ricordo della sacra cena). Orbene, la disputa, come è noto,
concerne la presenza simbolica o non simbolica (quindi reale) del
corpo di Cristo, talché nella visione cattolica della
transustanziazione una persona, un oggetto, un evento è “quello
che è” e nel contempo è “allegoricamente” altro, il che
significa che esistono livelli d’interpretazione degli eventi
biblici che sono al tempo stesso prefigurazione, profezia ecc.
Avviene pertanto che l’esistenza concreta, singola e temporale,
trova la sua ragione in un ‘al-di-là’ di essa, in un
adempimento, di cui essa è solo l’anticipazione. Così, l’idea
di un’identità che si deve realizzare sia sul piano storico sia
sul piano extratemporale è qualcosa che, secondo Fortini, trova
conferma non solo nel dogma cattolico della transustanziazione, ove
l’ostia è ostia e corpo di Cristo (e ha perciò un significato
allegorico), ma anche in tutt’altro campo, ad esempio nella sfera
della cosiddetta psicologia del profondo, dove come nel sogno una
persona o una cosa è quella ed è altro. Concepire questo tipo di
contraddittorietà è certamente insostenibile per la logica formale,
non per la logica dialettica: basti pensare al valore della merce
così come è analizzato da Marx nella prima sezione del primo libro
del “Capitale”, valore che, a livello della singola merce, si
sdoppia in valore d’uso e valore di scambio. Sennonché, tornando a
Lutero, Fortini sottolinea che il riformatore sassone aveva torto,
nel senso che porre il rapporto tra simbolo (ostia) e cosa
simboleggiata (sacrificio di Cristo) equivale ad anticipare la
divisione interna alla personalità umana, rappresentata in modo
paradigmatico dal verso di Goethe che fa dire a Faust nel suo poema:
«Zwei Seelen wohnen, ach! in meiner Brust», che in italiano si
traduce nel modo che segue: “Dentro il cuore, ah, mi vivono due
anime”, laddove Goethe precisa: “e una dall’altra si vuole
dividere”: una divisione che è essenziale al mondo borghese in
quanto mondo della scissione.
D’altra parte, rispetto
alla “positività” cattolica secondo cui la grazia divina può
essere conseguita con le opere e con la liturgia dei sacramenti, va
riconosciuta l’originalità dialettica che contraddistingue
l’interpretazione che della fede dà Lutero, laddove egli ritiene
che opposizione e contraddizione siano i tratti peculiari del
rapporto tra Dio e l’uomo, talché proprio da questa premessa
dialettica deriva la sua ripulsa di quella concezione mediocremente
utilitaria di tale rapporto che giungeva sino al commercio delle
indulgenze. Per Lutero l’esperienza di fede è impregnata invece di
una drammatica negatività e si esprime come una “unità
paradossale”, basata sull’antinomia fondamentale per cui «Dio,
per salvare, perde». L’essenza della teologia luterana è infatti
racchiusa nella concezione secondo cui non nella gloria, ma nel suo
opposto, nell’umiliazione della croce, si manifesta la potenza di
Dio. Così, l’opposizione tra l’uomo e Dio pervade, secondo
Lutero, tutta la vita del credente e la fede consiste proprio
nell’unione di questi opposti, dimodoché il credente è “simul
peccator et iustus”: nella realtà del mondo è un peccatore, ma
nella fede è giustificato. È evidente che attraverso queste
antinomie Lutero riprende l’insegnamento di Paolo (un insegnamento
che, coniugandosi con l’attività organizzativa dispiegata da
questo ebreo convertito, è talmente costitutivo del cristianesimo da
rendere necessaria, sia sul piano storico che su quello teologico, la
sostituzione di quel termine con il termine di paolinismo). Secondo
la concezione dell’“apostolo dei Gentili”, nella fede essere e
non essere, sapienza e stoltezza, si trasformano l’uno nell’altro:
la redenzione è «stoltezza di Dio», che si realizza negli opposti;
«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i
sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i
forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e
ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono». È indubbio
che la ‘forma mentis’ a cui corrispondono questi asserti sia
dialettica, così come è indubbio che, a prescindere dal fatto di
credere o di non credere nell’esistenza di Dio, il movimento
suscitato dalla predicazione di Paolo e dalla Riforma di Lutero siano
fatti storici reali, talché non si possono disconoscere né la
carica dirompente che l’insegnamento di Lutero ha avuto né il
colpo micidiale che esso ha dato ad un mondo spirituale ossificato.
In conclusione, il
cinquecentesimo anniversario della Riforma luterana, che cadrà il
prossimo 31 ottobre (giorno, secondo la tradizione, in cui il monaco
agostiniano affisse le 95 tesi, da lui redatte, sul portale della
cattedrale di Wittenberg), se costituisce uno stimolo a discutere ed
approfondire, sul piano storico, religioso, politico e teologico, la
figura e il pensiero del protagonista di tale riforma, non deve però
essere un pretesto per avvolgere in un mistico alone di
indeterminatezza ‘ecumenica’ ed immergere in una pesante nebbia
di omissioni o reticenze i precisi e talora inquietanti contorni
della personalità di Martin Lutero (basti pensare a temi come il
cesaropapismo, di cui lo scritto contro i contadini testé citato è
un esempio impressionante, l’antisemitismo, le persecuzioni
scatenate contro le streghe nei secoli XVI e XVII, che unirono
cattolici e protestanti, e il rapporto della Chiesa luterana con il
regime nazista). Quei precisi ed inquietanti contorni della
personalità di Martin Lutero, che un grande poeta della storia,
quale è Giosuè Carducci, ha saputo incidere con acume dialettico
pari alla finezza letteraria in due sonetti dedicati al grande
riformatore […]
da “Sinistra in rete”
Nessun commento:
Posta un commento