L'immagine tradizionale di Confucio |
Che incontro
straordinario avrebbe potuto essere quello tra Gesù, il quale
colloquia con il Padre, e Confucio che lapidariamente sostiene "il
Cielo non parla". Un continuo malinteso - scusa, cosa hai detto?
Non ti sento bene - che ancora oggi ci perseguita, se la vogliamo
vedere unicamente dal punto di vista religioso, non da quello della
storia di due civiltà, dove ce n'è una, la nostra, che si presenta
come "fondamentalista" - i cinesi interpretarono infatti il
cristianesimo come un Islam influenzato dal Buddismo - mentre
l'altra, pragmaticamente, sta a guardare, riflette, e si domanda che
cosa mai si vuole da loro.
Invece, mai ci è stato
incontro, sempre scontro, tra noi, i visitatori religiosi, e loro
agnostici, laici, di certo afflitti da un complesso di superiorità
ma, comunque, sulle prime curiosi. All'inizio, da parte loro, c'è
stata una certa condiscendente simpatia, poi è venuta l'ostilità.
Purtroppo, a nulla è valso l'impegno di Matteo Ricci, il gesuita che
morì a Pechino nel 1610, di adattarsi alla Cina, imparare la lingua,
entrare in relazione con la classe colta dei mandarini, tentare di
sedurli mostrando loro le meraviglie della scienza e della tecnica
occidentali. Un famoso letterato cinese, Li Zhi, ha lasciato questa
testimonianza su Matteo Ricci: «E' un uomo di qualità superiore ma
non riesco a capire cosa sia venuto a fare qui. Penso che forse
voglia sostituire i suoi insegnamenti a quelli di Confucio, ma la
cosa mi pare troppo stupida». Vana è stata anche l'opera di
proselitismo tramite la traduzione in cinese, opera dei missionari
colti europei, soprattutto italiani, di opere scientifiche
occidentali che sempre esordivano con un elogio del cristianesimo,
perché la maggior parte di coloro che le leggevano erano interessati
a ciò che i missionari offrivano nel campo delle arti e delle
tecniche, non di certo alle storie bibliche, per loro un guazzabuglio
di leggende incomprensibili e, spesso, immorali.
Il mondo cinese non era
facile presa per una religione che implicava l'esistenza di un
assoluto e di un atto di creazione, eppure vi furono alcuni eminenti
convertiti tra i letterati e, forse, l'evangelizzazione della Cina
non sarebbe stata un totale fallimento se non fosse scoppiata la
Questione dei Riti: potevano o non potevano i cristiani cinesi
celebrare cerimonie in onore dei loro Antenati e di Confucio,
funzioni laiche che riassumevano ciò che c' era di più sacro nella
famiglia, nel clan, nello Stato? Per i gesuiti sì, per i missionari
domenicani e francescani assolutamente no. Su questa questione si
ebbero polemiche a non finire, viaggi a Roma per perorare in Vaticano
la propria causa e, alla fine, il Papato si dichiarò favorevole alle
tesi dei domenicani e dei francescani che sembravano fatte apposta
per offendere i cinesi, e questa ingerenza finì per irritare
l'Imperatore Kangxi. Così ebbe termine il grande esperimento ideato
da Matteo Ricci, minato da rivalità meschine tra ordini religiosi,
da oziose diatribe sulla terminologia da adottare in cinese per
esprimere Dio, cosa di certo non facile. Diciamo, impossibile.
È anche per queste
"dispute teologiche" che oggi il Papa chiede perdono alla
Cina. Ma fosse soltanto questo, purtroppo c'è di peggio nella storia
del perenne malinteso tra Cina e Cristianesimo, tra Cina e Occidente:
nel 1853, pochi anni dopo la prima Guerra dell'Oppio, un contadino
cinese convertito al cristianesimo di nome Hong Xiuquan, dichiarò di
essere il "Fratello Minore di Gesù Cristo" e mise a ferro
e fuoco tutta la Cina centrale stabilendo a Nanchino la capitale del
suo Celeste Impero della Grande Pace. L'Occidente cristiano lo aiuto?
No, praticava il battesimo non con l'acqua - i cinesi hanno
un'avversione per l'acqua, specie se fredda - ma applicando pannolini
bagnati sull'addome di adulti e infanti. Così noi sostenemmo la
decrepita e corrotta dinastia Qing, rifornendo le sue truppe con i
modernissimi fucili Enfield. E il povero profeta armato ma che, tutto
sommato, esprimeva un anelito di rinnovamento, fu sconfitto.
Chi, oggi, osa domandarsi
se il ripudio da parte occidentale del cristianesimo "cinesizzato"
del Fratello minore di Gesù, non abbia per caso spezzato ogni legame
possibile tra dottrina cristiana e masse cinesi? Forse il Papa anche
su questo ha riflettuto, sta riflettendo. La storia del malinteso
prosegue: nell'Ottocento i missionari in Cina sono per lo più
protestanti, anglosassoni, gente dedita al sacrificio e che non
frequenta la Corte imperiale come i gesuiti, ma fa proseliti nelle
campagne. Si comportano come maestri di scuola verso i bambini che
devono essere educati per diventare adulti. Logico che i cinesi si
sentano offesi. Finì il secolo, il diciannovesimo, e nel 1900
scoppiò in Cina la rivolta dei Boxer, movimento xenofobo, certo, ma
soprattutto antireligioso, anti una religione protetta da armi tanto
potenti. Il massacro di cinesi convertiti fu immane, morirono
ammazzati anche molti occidentali.
Un funzionario imperiale
scrisse nel suo rapporto: «Abusando del loro prestigio, i cristiani
opprimono i non cristiani, il popolo non ci capisce niente e l' odio
cresce». Cresce, ha continuato a crescere per tutto il secolo
Ventesimo, in Cina, l' odio non per una religione ma per una civiltà
che, con la religione, è sempre stata sospettata di andare a
braccetto. Così in Cina, oggi, si distingue tra Chiesa patriottica e
chiesa clandestina, che sarebbe quella che obbedisce a Roma. E che,
da domani, potrebbero unificarsi, se il "mea culpa" di
Giovanni Paolo II ottiene il perdono da cinesi pragmatici e,
fondamentalmente, sanamente, atei che mai direbbero "Got mit
uns". Gli viene da ridere. Loro sanno che "Il cielo non
parla".
“la Repubblica”, 25
ottobre 2001
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