Acqua e zucchero più
aromi naturali e niente alcol.
La regina è la gassosa,
seguono tutte
le altre,
fino alle spume e al chinotto.
La famosa Frizzan-Tina |
Un prodotto modesto,
rigidamente made in Italy, dove quasi ogni provincia aveva il suo
marchio inconfondibile, Appia a Roma, Arnone a Napoli, Di Iorio a
Isernia, Verga a Como, Paoletti nelle Marche. Quell’acqua e
zucchero con aromi naturali buona per tutti, per i bambini e per le
donne, istantaneo refrigerio nell’arsura dell’estate bollente,
niente alcol e niente stranezze in quell’alba dei sixties, bibita
inventata a partire da pochi ingredienti disponibili ovunque, bianco
e agognato elisir. Un segnale tipico della bella stagione, come
l’odore e il colore delle campanule viola, pianta infestante che
allietava le tante discese agli stabilimenti balneari dove jukebox e
biliardini avevano un posto di riguardo insieme al contenitore dei
gelati, una grossa ghiacciaia rettangolare coi buchi rotondi da dove
si pescavano i vari gusti con lunghe spatole già plastificate. La
gassosa (o gazzosa) era l’autentica regina di quell’epoca eroica
di boom economico, epoca povera ma bella, la schiuma con le bollicine
e il gusto diretto e dolciastro, la bibita che gli adulti spesso
usavano per allungare la birra o il vino, il soft drink per
eccellenza, quello che addolcisce talvolta i pasti e certamente i
ricordi adolescenziali di numerose generazioni.
Kamata Ramune è il nome
occidentalizzato (perché, in originale, si scrive con gli ideogrammi
nipponici) di una gassosa industriale giapponese che richiama quelle
di una volta. Su Youtube un filmato semiamatoriale ce la mostra in
tutto il suo splendore di bollicine che sgasano e travalicano fuori,
a velocità da schizzo. Un involucro di vetro inevitabilmente
nostalgico perché ricorda la bottiglia con la pallina, quella ideata
oltre cento anni fa da Hiram Codd, l’inventore che varò il primo
esemplare, in Inghilterra nel 1872, per chiudere ermeticamente le
bibite usando la pressione della gasatura, dell’anidride carbonica.
Da noi qualcuno gli diede anche il soprannome «ul sciampagn de la
baleta» (lo champagne della pallina) nell’epoca dove la bibita
bianca e fredda, a base di acqua dolcificata e aromatizzata, gassata
con anidride carbonica, si diffuse un po’ dappertutto. La bottiglia
con la pallina di vetro dentro era riempita con una particolare
macchina dove veniva posta con l'apertura rivolta verso il basso, il
prodotto si iniettava a pressione e una volta piena, la pallina di
vetro in essa contenuta per effetto della gravità cadeva verso il
basso finendo a contatto con la guarnizione collocata nella bocca
della bottiglia. Rimettendo la bottiglia in posizione normale, la
pallina rimaneva schiacciata verso l'alto dalla stessa pressione del
gas contenuto nella gassosa, sarebbe quindi bastata una leggera
pressione su di essa, come molti usavano fare, per aprire la
bottiglia. Le due rientranze ricavate nel collo della bottiglia
servivano a bloccare la pallina nel caso in cui il prodotto veniva
consumato senza l'ausilio di un bicchiere, evitando che la stessa
andasse ad ostruire la fuoriuscita del liquido contenuto, inoltre la
bottiglia era schiacciata al centro, evitando in tal modo alla
pallina bruschi movimenti. Kamata Ramune potrebbe essere la
traduzione di Bibite Sacco o Gassosa Gallo, quelle bevande d’infanzia
da consumarsi rigidamente con la cannuccia, sapore dolciastro con una
reminescenza di limone che avrebbe aperto la strada poi alla Sprite,
alla 7Up, alla Schweppes il tentativo di industrializzare quella
passione per la bibita facile all'aroma di limone.
Bottiglia della Partannina, gazzosa di Palermo. Particolare |
Poco dopo l'avvento del
tappo a corona portò con sé la nascita di partite e campionati di
tappini (che vennero presto intesi come evoluzione dei dischetti di
metallo con le foto di calciatori e ciclisti, che già si
collezionavano). Generalmente c'era un pallone e delle squadre che si
combattevano, su un campo da gioco disegnato con le linee laterali e
le porte. Naturalmente si poteva usare qualunque dito per «calciare»
il tappino e «centrare» la casa degli avversari. Col tempo anche i
formati delle bottiglie si imbizzarrivano, sulla falsariga della Coca
Cola, maestra nella promozione pubblicitaria attraverso vassoi,
bicchieri, cavatappi, asciugamani e molto altro, con la sua bottiglia
tutta stilizzata e panciuta. In Francia l'orangina, un'aranciata né
troppo dolce né troppo gassata, si è segnalata per la piccola
bottiglia rotonda zigrinata e chi ricorda le foglie di carciofo in
rilievo sul vetro della bibita Cynar, peraltro presto imitata da
Carciò, altra soffice bevanda dall'ortaggio con le spine, bottiglia
anch'essa con le foglie ma color viola e di plastica, molto da
falsari. Una «bella alcalchofa» era apostrofata Natalia Estrada,
soubrette spagnola che ha fatto la pubblicità del famoso liquore in
tv dopo Ernesto Calindri e prima di Elio e le Storie Tese. Il Cynar
fa il paio col Rosso Antico Buton e il Punt e Mes, altri liquori
prettamente d'aperitivo estivo, lisci o col ghiaccio.
E veniamo alla spuma,
l'equivalente italiano della soda (che invece è una bevanda alcolica
gassata, nella cultura anglosassone), una qualunque bevanda con
acqua, zucchero, aromi, anidride carbonica. Dovrebbe essere nata e
consumata soprattutto nel nord Italia ma anche nel Centro, in
particolare in Toscana, a cavallo tra l'800 e il '900 (probabilmente
nei primi anni '20, e nel 1925 già vinceva a Bruxelles un concorso
internazionale). In quel periodo molti paesi e città d'Italia
avevano il proprio produttore locale di bibite gassate. Ognuno di
questi piccoli bibitai artigianali, detti anche gazzosari, preparava
e personalizzava con i propri ingredienti queste bevande, tanto da
creare una varietà di marche e di gusti decisamente ampia grazie
alla loro semplicità di preparazione. È per questo che è difficile
attribuire il merito dell'invenzione della spuma ad una sola persona.
Sappiamo che in Italia l'antenata della spuma è stata la celebre
gassosa, che risale addirittura al 1888, prima che la Coca Cola
arrivasse dall'America sul mercato italiano. Sappiamo inoltre che
esistono spume all'arancia, al cedro, al bitter, alla menta e anche
spume bianche (molto simili alla gassosa), scure o bionde. Le più
conosciute sono senza dubbio queste ultime due varietà, per la
preparazione delle quali ogni produttore ha una propria ricetta che
differisce leggermente l'una dall'altra.
Etichette di un passito soda, la variante siciliana della spuma |
L'altro grande scuro
rivale è il chinotto, troppo spesso inteso come una versione povera
della Coca Cola ma che ha invece una sua forte identità e una
propria evoluzione, tanto da essere vista come una scelta da
intenditore contro l'omologazione del gusto dilagante. Osannato anche
in un indimenticabile brano degli Skiantos, «Un chinotto ogni due
ore/ fa passare il malumore/ Il chinotto è la mia droga/ io lo bevo
senza posa/ quando sono un po' depresso/ mi riaggiusta con me stesso/
Un chinotto ogni due ore/ è un gran viaggio da signore». Il
documento più antico colloca la data di nascita del chinotto nel
1932 ad opera della San Pellegrino. Tuttavia altre fonti
sembrerebbero avallare la tesi di chinotti nati ben prima di questa
data. Comunque nel 1949 Pietro Neri iniziò a produrre e
commercializzare chinotto in una maniera assolutamente innovativa. Il
chinotto Neri ebbe, nell'immediato dopoguerra, e per tutti gli anni
'50 e '60 una larghissima diffusione in tutta la penisola. Il signor
Pietro Neri riuscì a costruire un'autentica fortuna con l'agrume
preferito, il Chinotto. Ebbe anche un'intuizione moderna, legare il
suo prodotto a una squadra di calcio che giocava al Velodromo Appio,
nella capitale. Maglia giallo-verde-nera, gli stessi colori
dell'etichetta della bibita, formazione che arrivò fino alla serie C
negli anni Cinquanta allevando alcune generazioni di giocatori romani
di talento. Il suo numero fortunato era l'otto e lo slogan arrivò
facile e veloce, «Non è Chinotto se non c'è l'Otto» seguito
dall'ultranoto «Se bevi Neri, Ne Ribevi» a metà tra lo
scioglilingua e il finto palindromo, piazzato in una delle prime
forme promozionali sulle autovetture. Neri divenne milionario e
cavaliere ma poi abbandonò la squadra che cambiò nome e divenne
Tevere Roma. In molti ritengono che l'epoca «moderna» del chinotto,
quella degli «slogan» e della «réclame» inizia con il signor
Neri. Da non dimenticare però che documenti non ufficiali ci danno
presenza di una bibita chiamata chinotto già dal 1931 e vassoi e
posacenere recanti la scritta chinotto, purtroppo non facilmente
databili, riporterebbero, come stile, questa data ancora più
anteriormente.
Importato probabilmente
dalla Cina, il suo nome scientifico è Citrus Myrtifolia. Si tratta
di un alberello alto un metro e mezzo circa con pochi rami che però
sono carichi di foglie piccole di colore verde scuro di dimensioni
simili a quelle del mirto, da qui il nome in latino. I fiori sono
abbondanti e profumatissimi, i frutti sono a grappolo, di una
coloritura arancio intenso. Non aspettatevi frutti di pezzature
simili all'arancio, pesano non più di 50/60 grammi l'uno e non sono
grandi ma delle dimensioni di una pallina giocattolo. Abbastanza poco
commestibile, la buccia è aderente alla polpa e al morso si prova un
gusto amaro-acido. In Italia questo splendido agrume lo si può
trovare in riviera ligure (più precisamente nel savonese) e in
Calabria e in Sicilia (nella zona di Taormina).
In questo profluvio di
bibite di nuova generazione come Red Bull, Enervit, Gatorade anche la
semplicemente immaginata Kamata Ramune ci riporta indietro nel tempo,
in quel caleidoscopio di sapori introvabili. Quella delle gassose su
base locale è stata una decimazione determinata
dall'industrializzazione della produzione e dalla modernizzazione
della logistica distributiva. Una specie di mini-globalizzazione
interrotta, in cui la diffusione poco più che regionale di alcuni
marchi resta a testimonianza di uno scenario antico ben distante
dalle logiche commerciali di Sprite e Seven-Up.
Oggi consumare una
gassosa, aldilà dei gusti e delle inevitabili passioni, appare
spesso quasi un atto nostalgico, sicuramente fuori moda, mentre
alcuni gassosari rilanciano i propri prodotti con una immagine retrò
in senso accattivante. Il mondo di FrizzanTina, allora giovanissima
ed irriconoscibile sulle prime etichette delle Bibite Paoletti, oggi
adulta testimonial della stessa azienda. Uno stile decisamente
«vivace» caratterizzata da disegni che ricordano le pose di un diva
d'altri tempi, grazie soprattutto alla sua sensualità innata e
spontanea. FrizzanTina è una splendida pin-up, sorridente,
ammiccante, amabile grazie alla sua bellezza e al suo sguardo sereno
e armonioso. Non solo gassose, ma anche cedrate, chinotti e aperitivi
sulle cui etichette ammiccano immagini seppellite almeno da decenni,
un mondo più frizzantino e sensato dove il carattere di quelle
bibite era davvero intramontabile, al passo coi tempi e fieramente
glocal.
alias, il manifesto, 15
agosto 2015
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